L’INTERVISTA. PADRE GIOVANGIUSEPPE, uomo umile e Servo di Dio, risponde alle domande dei suoi ragazzi
30 Luglio 2019 - 08:20
Il parroco racconta, commuovendosi, ai suoi ragazzi della sua vocazione.
Religioso in primis, ma anche molto umile, paziente, generoso e carismatico. Di aggettivi potremmo aggiungerne tanti per trasmettere quello che è per noi Padre Giovangiuseppe, ma quello che forse preferiamo è UNICO, perché unici sono i suoi modi di fare. In questi anni si è mostrato molto accogliente, ha dato una mano a questa parrocchia per “risorgere” nel pieno del suo splendore, infatti già entrando sul sacrato della chiesa ti senti a casa. E se hai una casa accogliente, devi avere anche chi ci abita e lui ci è riuscito. Ha portato l’Oratorio, si è affidato all’Anspi. Cosa è stato per i ragazzi? Spesse volte si è mostrato più di un frate, più di un sacerdote, è diventato quasi loro amico, il più stretto amico, al quale puoi confidare i tuoi più stretti segreti e problemi senza che lui ti giudica e anzi riesce anche a suggerirti cosa fare. Padre Giovangiuseppe ci sta proprio insegnando come stare in famiglia, aiutandoci gli uni gli altri, imparando ad ascoltarci e rispettandoci a vicenda. Stare con lui è proprio come stare con i nostri genitori e abbiamo sfruttato l’uscita del nostro secondo giornalino per conoscerlo un po’ meglio e scoprire come il nostro amore reciproco sia così immenso.
Anche se è tanto che la conosciamo, non abbiamo mai chiesto cose particolari della sua vita. Per esempio come e quando è nata la sua vocazione? E come è stata presa in famiglia?
Tutto è nato con la Cresima che ho fatto a circa 18 anni. Dopo aver ricevuto questo Sacramento, l’anno successivo, mi diplomo all’industriale a Caserta e mi viene fatta la proposta di andare a Lourdes come barelliere insieme ai miei genitori, accompagnandoli poi a quello che era un festeggiamento per i loro 25 anni di matrimonio. Andai insieme a loro, non conoscevo nessuno di quelle persone, però andare con gli ammalati e con l’UNITALSI è sempre una cosa bella e poteva essere un ringraziare la Madonna perché mi ero affidato a Lei durante gli studi. Li a Lourdes io e i miei genitori alloggiavamo in due alberghi diversi, ci incontravamo solo per le grandi celebrazioni. Io ero sempre impegnato insieme ai barellieri e alle damine per il servizio di volontariato agli ammalati e quindi ci si vedeva da lontano loro. Quell’esperienza mi ha segnato tanto e lì ho cominciato a capire che Dio esiste: perché mi rendevo conto che più stavo con gli ammalati in carrozzina e più mi rendevo conto che Dio esiste, perché loro erano contenti e non potevano essere felici e contenti se Dio non esisteva e chi dava loro questa forza era proprio il Signore. Così riflettevo e consideravo che forse l’ammalato ero io. Ritorno da Lourdes e comincio ad andare a trovare gli ammalati a casa loro. Con quelli che avevo conosciuto si instaura un rapporto di amicizia sia con gli ammalati che con i volontari, così comincio a far parte in modo più attivo della famiglia di preghiera di Santa Maria a Castello, di cui faceva parte anche il carissimo don Antonio Iadicicco, che all’epoca era anche lui barelliere volontario. Comincio a conoscere tante persone che mettevano Dio al centro. Piano piano ho cominciato a ragionare in questi termini: la messa la domenica, andare a trovare gli ammalati, il Rosario in famiglia. Ormai anche se quasi subito ho cominciato a lavorare come elettricista nelle fabbriche, il pensiero di Dio c’è stato sempre. Anche nel breve periodo in cui sono stato fidanzato, riflettevo se quella poteva essere la mia strada oppure c’era qualcos’altro che il Signore mi chiedeva. Le donne hanno uno sguardo intuitivo e mi aiutarono a capire che era quella la strada, che poi ho scoperto successivamente e non subito dopo. Così nel 1995, non potendo partecipare al pellegrinaggio a Lourdes per motivi di lavoro (dovevo fare la manutenzione alla fabbrica Pirelli a Pozzuoli sul quadro generale della Ventimila, quindi tenere staccata tutta la fabbrica, il 15 agosto), le mie ferie si spostano a settembre e non potendo andare da nessuna parte, perché erano saltati tutti i programmi, vado a fare le mie ferie nel Convento di Sant’Antonio in Teano, perché conoscevo quel frate che stava lì e gli dissi “voglio vedere il Signore cosa vuole da me”. Queste parole si rivelarono profetiche perché poi il Signore si rivelò e nelle sue parole fece conoscere il suo progetto di amore per me. Così finite le due settimane, ritornai a lavoro, diedi le mie dimissioni ed entrai tra i frati minori, che non conoscevo e nell’arco di un mese mi trovai a fare il passaggio da pinze e cacciaviti ai libri di filosofia, alla facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Ci fu uno shock intellettuale non indifferente, però con la grazia di Dio sono riuscito a fare tutti gli esami che ci stavano da fare. Quindi, poi, l’iter si è completato con la specializzazione in Teologia spirituale dai Gesuiti, un percorso che è iniziato nel 1995 e si è conclusa con l’ordinazione sacerdotale il 2 maggio del 2004.
Tra le varie esperienze che ha vissuto, quale l’ha più arricchita? Qualche volta ha avuto momenti di scoraggiamento?
Dopo la formazione iniziale, penso che sia stesso il Signore che ci forma come lui ritiene più opportuno. Quindi sono stato nei vari conventi, come nel convento di San Pasquale a Marcianise, dove esiste l’associazione Santa Maria dell’accoglienza, in cui si fanno da più di 30 anni opere di carità nell’accoglienza degli ultimi, gli emarginati, ragazze madri, persone sole per cui tocchi con mano la presenza di Gesù. Sono stato anche nel convento di Orta di Atella, di Sant’Antimo, dove ho svolto la missione di rettore, dell’annuncio del Vangelo. E ultimo, sono arrivato qui a Santa Maria Capua Vetere come parroco e da premettere che il parroco non lo volevo fare, perché non sono cresciuto in parrocchia, non ho mai avuto esperienze parrocchiali, ma quello che il Signore ci chiede, noi come uomini di fede dobbiamo dire di sì. E quindi, eccomi qui a svolgere questo compito di pastore di una comunità. Tutte le esperienze sono belle, sono arricchenti, perché il Signore te le chiede di fare e quindi devi prendere tutto quello che il Signore ti dà, tutte le difficoltà e le gioie che possono esserci, che servono per la propria crescita. Non nascondo che ci sono stati momenti di difficoltà, di disagio, in tutto il cammino formativo, però ricordo un episodio particolare in cui sentii dentro di me la forte voce del Signore, che mi diceva “Non ti preoccupare, ti basta la mia grazia; sappi che io ti sono vicino”.
Cosa significa per lei essere frate francescano e poi parroco?
Alla fine io ho fatto questa considerazione. I francescani non li conoscevo, pensavo ad Assisi e a tutte le cose belle. Non sapevo come erano organizzati. Dovendo scegliere all’epoca tra essere prete diocesano o religioso, scelsi di essere religioso perché mi dicevano qualcosa in più, perché ho visto i religiosi sempre come coloro che stanno vicino al popolo, riescono a capire i problemi delle persone. I francescani non li conoscevo e feci questa considerazione in sintesi: se li conosci li eviti, ma se non riesci ad evitarli, rimani calamitato.
Ha creato una struttura accogliente, ha voluto fortemente in questa parrocchia l’oratorio e si è affidato all’Anspi. Cosa significa per lei avere tanti giovani che frequentano la parrocchia?
Quando arrivai qua nel settembre del 2013, tutte le persone, specialmente gli anziani, mi dicevano di fare qualcosa per portare i giovani in Parrocchia, perché qui ci erano sempre stati, ma in quel periodo non si vedevano. Era un grande desiderio delle persone, un desiderio di Dio e un compito che mi è stato affidato. In questi anni, come fraternità, abbiamo lavorato molto su questo aspetto nel creare una struttura accogliente, fisicamente e strutturalmente per mettere in sicurezza tutta la realtà conventuale. Il giovane ha bisogno anche di strumenti adatti, come la cassa-trolley, il video-proiettore, il tavolo di ping pong, computer, biliardino e poi piano piano i giovani vanno dove stanno altri giovani. E quindi dopo 1, 2, 3, 10, 20, 30 arriviamo a un oratorio con 100 ragazzi e 20 animatori. Devo dire che il salto di qualità mi fu suggerito dal carissimo Don Luigi Moretti, il quale mi disse “Non ti preoccupare, ti starò vicino” e quindi con il suo suggerimento, ci siamo affidati all’oratorio ANSPI, perché tra i tanti forse è quello strutturato nel miglior modo possibile, radicato a livello nazionale. Questa associazione ci ha dato la possibilità di fare il salto di qualità. E quindi non abbiamo un oratorio “secondo le idee del parroco”, ma secondo a quelli che sono gli orientamenti nazionali. L’Oratorio ANSPI è stato voluto e sponsorizzato anche da Papa Paolo VI, santo.
Un’ultima domanda, con tutto ciò che ha fatto, si sente soddisfatto e cresciuto anche lei?
Sicuramente è stata un’esperienza arricchente, non prevista, e che porterò nel mio cuore. Mi auguro in futuro di non fare più il parroco, perché voglio portare quest’esperienza come un unicum nella mia vita. Mi sento soddisfatto, fino a un certo punto, perché si può dare sempre di più. Io fatto la mia parte e il resto sta a voi [ragazzi] continuare.
L’invito che il Parroco fa a Valentino, MariaGrazia, Rosaria, Francesco L., Michele, Luca G., Gaetano, Francesco G., Martina, Serena, Dora, Domenico, Luca C., Gianluca, Andrea, Vincenzo, Ylenia, Roberta, Pietro, Alberto è un invito a continuare quello che lui ha fatto nascere. Ma come ogni squadra, anche la nostra ha bisogno di un capitano che ci sostenga, che ci rialza quando siamo giù, ci aiuta a portare fuori la felicità che abbiamo dentro e che spesso non tiriamo fuori. Abbiamo bisogno insomma di Padre Giovangiuseppe, con la speranza di averlo sempre con noi, perché ascoltando le sue parole, non ci sentiamo sconfitti, non ci sentiamo persi e soli di una figura davvero speciale, capace di insegnarci quella che è veramente l’amore di Dio. E quindi, diventa questa l’occasione anche per dire grazie a nostro parroco, per tutto ciò che ha fatto per noi, perché anche per noi tutto ciò che è stato fatto rimarrà nel nostro cuore.