MARCIANISE. Mistificazioni e bugie del sindaco Velardi anche sulla corona del Crocifisso. Ecco il vero motivo per cui la sua posizione è stata archiviata

12 Marzo 2021 - 17:58

Ritenendo di poter “tirare per la giacchetta” la Procura della Repubblica, lascia trasparire, con il bordone de “Il Mattino” nel quale ha ancora qualche fedelissimo, che lui aveva ragione mentre il vescovo e il parroco avevano torto

 

 

 

MARCIANISE (G.G.) – Antonello Velardi deve avere ancora dei significativi appoggi all’interno della redazione casertana de Il Mattino. Lo sosteniamo perché sopra l’articolo pubblicato stamattina a firma del suo fedelissimo di sempre Franco Agrippa (che un ruolo ebbe anche nella vicenda delle firme), c’è un titolo che solo apparentemente fornisce allo strafalcione evidente la matrice della colposità, della dabbenaggine, della incompetenza: “La corona d’oro contesa, assolto il sindaco Velardi”.

Al più caro dei nostri amici, finanche a un congiunto di sangue, non regaleremmo, per etica e decoro professionale, un errore formale di tal fatta, che se non è rilevato dalla gente comune, sicuramente viene notato da un avvocato o da un magistrato che vi si imbatta.

Leggendo l’articolo, che riassume un post di Facebook in cui Velardi definisce correttamente come archiviazione l’atto giudiziario che chiude la famosa vicenda della corona del Crocifisso, si capisce che la parola “assolto” fosse l’unica che potesse essere efficace per la gente comune.

È completamente sbagliato in termini di procedura penale spicciola, ma pur di fare un favore al loro vecchio capo, quelli (o qualche cellula ancora attiva) della redazione di Caserta si sono per l’ennesima volta immolati.

Scrivendo correttamente quel titolo, la parola “archiviato” non avrebbe reso allo stesso modo di quanto può farlo, a livello di comprensione immediata, il termine “assolto”.

Secondo noi non è un errore perché nell’articolo è poi scritto chiaramente che si tratta di un’archiviazione e a Il Mattino sanno distinguere una assoluzione, rappresentativa della fine di un processo, da un’archiviazione, che in termini giuridici è peraltro ancor più favorevole di una assoluzione, visto che quest’ultima viene pronunciata da un giudice dopo una probabile anche se non scontata richiesta di condanna del PM, cioè della Procura della Repubblica, mentre la prima scaturisce dal convincimento che la stessa pubblica accusa matura sul fatto che non esistano neppure gli elementi per chiedere il processo a carico dell’indagato.

Dunque, l’archiviazione la certifica un giudice, ma quel non luogo a procedere si arricchisce anche della non irrilevante valutazione di chi, per definizione e per natura tende all’idea di far processare l’indagato, trasformandolo in imputato ed, eventualmente, di farlo condannare.

E questo è un punto rispetto al quale esprimiamo con franchezza la nostra idea, senza pretendere che rappresenti quello che per i primi e più antichi filosofi greci era l’Arché delle cose, cioè il fondamento e allo stesso tempo il fine ultimo.

Per quanto riguarda lo scritto di Velardi, invece, nulla di nuovo sotto il cielo. Chi non ha, infatti, nell’onestà intellettuale e nel punto di discrimine tra questa e la disonestà intellettuale, una preoccupazione costante della propria esistenza (quelli che parlano bene lo definiscono relativismo etico), non si pone il problema di aggiungere a un catalogo che ne è già cospicuamente pieno l’ennesima mistificazione.

Velardi non è stato mai un’arca di scienza. La sua è una cultura da bignamino (oggi si chiama Wikipedia), quand’anche bene acchittata. Ma non è un completo analfabeta né uno stupido.

Al contrario, è un furbissimo, come ha dimostrato in molte circostanze partendo dalla citata vicenda delle firme, fino a quella dei falsi permessi che gli è costata il posto a Il Mattino. Sa bene che nel marasma contemporaneo degli strumenti della comunicazione lanciare una balla significa che al massimo questa ti ritornerà indietro solo con qualche scheggia innocua.

Casertace farà il suo articolo, letto da un numero cospicuo di persone, ma la maggior parte di quelli che avranno incrociato il post del sindaco rimarranno convinti che le cose siano andate come lui le ha raccontate.

Per fronteggiare tutto ciò, occorrerebbe che gli avversari politici di Velardi organizzassero una democratica contro-informazione che vada a tallonare ogni ora e ogni momento le mosse social del sindaco così come (siamo in tema, in questi giorni) le barche della Coppa America si marcano durante il match race.

In poche parole, Velardi scrive “davanti” e i competitor lo seguono a ruota e lo confutano con precisione chirurgica. Lui ne fa tre? E i competitor ne fanno quattro. Lui ne fa cinque? E gli avversari ne fanno sei.

Questo non accade e dunque il sindaco continua ad avere un certo vantaggio nella comunicazione social dentro alla quale quello della veridicità, verità sarebbe pretendere troppo, dell’informazione data, del tema proposto, è un inutile orpello, un optional che fa perdere solamente tempo, dato che quello che conta non è ciò che è vero ma ciò che si narra e ciò che è vero diventa quello che si narra, al di là del fatto che sia autenticità o mistificazione.

Da parte nostra, quando abbordiamo un post del sindaco decidiamo di non occuparcene nel 90% dei casi. In rare occasioni, come questa, riteniamo invece che sia utile farlo. Ma non perché serva alla nostra soddisfazione e alla nostra emotività rintuzzare, rimbrottare una persona che, onestamente, non ci stimola sotto il profilo del dibattito culturale; ma semplicemente perché il signor Antonello Velardi, che come tale non produce in noi alcun interesse è, per legittimo voto democratico del 50,8% dei suoi concittadini, il sindaco pro tempore della terza città della provincia di Caserta.

Celebrare, allora, come una vittoria delle proprie ragioni sulle ragioni altrui il fatto che la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere abbia chiesto e ottenuto dal Tribunale l’archiviazione del fascicolo sulla storia della corona sottratta da un uomo di Velardi, il componente del Comitato Festeggiamenti Raffaele Salzillo, con successivo trasferimento della stessa nel Comando di Polizia Municipale, significa affermare il falso, erogare l’ennesima balla. Mistificare, per l’appunto.

L’esercizio dell’azione penale relativamente a questo caso è stata frutto di una querela di parte, presentata a suo tempo, attraverso l’avvocato Renato Jappelli dall’allora vescovo di Caserta, il compianto Giovanni D’Alise.

La Diocesi di Caserta, da cui la chiesa di San Michele Arcangelo dipende, si attivava dunque ai suoi massimi livelli proteggendo e coprendo istituzionalmente la posizione che sulla vicenda aveva assunto il parroco pro tempore don Paolo Dello Stritto.

Giustamente, logicamente, la Procura della Repubblica che aprì un fascicolo di indagine come atto dovuto, al cospetto di quella querela, con una ipotesi di reato di appropriazione indebita, avendo capito di trovarsi di fronte a una disputa politico-psichiatrica, svolse un’azione che non possiamo definire pacificatrice, dato che un Pubblico Ministero non è un giudice di pace, ma una sorta di moral suasion che potesse servire a far capire, soprattutto a Velardi, che quella storia nata fuori dal perimetro di chi elabora e compie un atto sapendo di fare un reato, poteva finire male, qualora la Diocesi avesse mantenuto fermo il suo proposito di tenere viva la querela.

Velardi, e lo scrivemmo con chiarezza a quel tempo, fece una precipitosa marcia indietro e dopo il colloquio con il Pubblico Ministero dottoressa Gerardina Cozzolino fece consegnare la corona alla stessa PM attraverso i vigili urbani che l’avevano in custodia.

E qui Velardi fece il Velardi e, mutuando un ardito e licenzioso proverbio, cominciò a svolgere l’attività di gay con il culo dei marcianisani.

Perché non li tirò fuori di tasca sua i soldi con l’ennesimo incarico dato all’ennesimo professionista esterno attraverso il quale il Comune di Marcianise intentò un’azione civile nei confronti del parroco, poi puntualmente ritirata perché tanto l’avvocato di turno aveva esaurito la sua mission, rimpinguando il proprio conto corrente.

Ritornando al piano strettamente penale, se è vero che la pubblica accusa può anche decidere di agire d’ufficio quando di mezzo c’è il reato di appropriazione indebita, è anche vero che tutta la struttura di quel caso aveva connotati pubblicistici, dato che solo noi ci scrivemmo sopra almeno una decina di articoli.

Di fronte, dunque, alla remissione della querela da parte della Diocesi è chiaro che la Procura non ebbe alcun motivo per proseguire nella sua indagine.

D’altronde, esaminando le ragioni che il Pm Cozzolino espone nella sua richiesta di archiviazione formulata al Gip, viene evidenziata la circostanza decisiva della restituzione, da parte del sindaco, della corona.

Un atto determinante per la remissione della querela, quand’anche da Velardi non accettata.

E anche su quest’ultimo punto c’è da fare una chiosa: oggi il sindaco ritiene di poter utilizzare la sua non accettazione della remissione di querela come un fatto che evidenzierebbe l’esistenza di una valutazione di merito da parte della Procura che, in maniera un po’ surrettizia, avrebbe dato in questo modo ragione a lui e torto al parroco e al vescovo. Non è così, perché la Chiesa ha rimesso la sua querela facendo il mestiere della Chiesa, abbandonando la guerra solo perché c’era stata la restituzione della corona.

Se Velardi voleva fare il duro, se voleva rivendicare totalmente e fino alle estreme conseguenze le sue ragioni, non avrebbe dovuto restituirla, affrontando anche il pericolo di un processo nel quale avrebbe potuto esprimere le sue ragioni, nonostante queste fossero totalmente infondate sul piano storico, come noi dimostrammo al tempo pubblicando documenti degli anni ’50 nei quali era scritto che il Comune non avesse mai avuto la titolarità della proprietà di quella corona.

E invece l’intellettualmente disonesto, nonché uomo molto pratico, ha prima restituito la corona, ben sapendo che ciò avrebbe determinato la remissione della querela, e poi ha fatto il bullo, non accettandola, ma ben sapendo che a quel punto l’archiviazione sarebbe stata scontata.

E su ciò ha costruito l’ennesima pantomima su quelli che lui ha definito ancora una volta giornali e sui siti spazzatura, che conta meno di zero perché in questi anni non ha mai spiegato ad alcuno e non ha mai esposto una sillaba che, partendo dalla confutazione delle nostre tesi e proseguendo con l’elaborazione delle sue a demolizione di quelle esposte da Casertace, potesse arrivare in maniera più legittima al giudizio sui siti spazzatura.

Al contrario, “questo qua” continua a scrivere che uno è ladro, quell’altro è giostraio, quell’altro ancora è camorrista, senza porre mai uno straccio di argomentazione a supporto del suo giudizio.

Per cui, lui e quello che dice noi lo archiviamo a nostra volta come irrilevanti.