CASERTA. Mazzette per i lavori nelle caserme, condanna definitiva per gli imprenditori Caprio e Mautone

18 Agosto 2019 - 12:29

CASERTA – La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi e confermate le condanne a carico dell’imprenditore Francesco Caprio, residente a San Nicola La Strada e Gaetano Mautone, confermando le condanne a 3 anni e due mesi e a 5 anni e sei mesi, comminate in Appello. Si tratta della inchiesta sui lavori nelle caserme della provincia di Caserta.

Gli imputati erano accusati di corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti. In particolare, si è accertata la elargizione di Caprio della complessiva somma di 44.000 euro a beneficio di Gaetano Mautone, capo amministrazione del X Reparto, in relazione a due diverse gare di appalto aggiudicate in favore di imprese del suo gruppo, nonché la promessa da parte dell’imprenditore di versamento della ulteriore somma di 12.000 euro in favore di Mautone per l’assegnazione di ulteriori lavori da svolgere presso la Caserma Salomone di Capua.

Secondo i giudici della Cassazione “il ricorrente aveva rinunciato a tutti i motivi di appello relativi anche alla qualificazione giuridica, in funzione del patteggiamento della pena, pena che risulta determinata nella identica misura richiesta“.

Il ricorso di Mautone, invece, “propone censure che non superano la soglia della ammissibilità, in quanto a tratti generiche o di precluso merito o comunque all’evidenza prive di fondamento“.

Inoltre hanno sottolineato come “la Corte di appello ha accertato che la procedura per i lavori di Carditello era stata alterata con la visione preventiva da parte del ricorrente della offerta presentata dalla ditta concorrente di quella favorita e con la successiva apposizione a penna della percentuale di ribasso sulla offerta di quest’ultima. Era emerso che il Mautone era solito richiedere alle ditte concorrenti la preventiva trasmissione delle offerte via fax e che la stessa busta contenente l’offerta della ditta concorrente risultava priva di timbri postali e di protocollo. Infine, la Corte di appello ha evidenziato che il ricorrente aveva bloccato la stipula del contratto fin tanto che non avesse ricevuto la tangente pattuita. In tal modo, risultava provato l’accordo intercorso tra il ricorrente e il Caprio sin dalla fase della procedura della gara al quale poi era seguita la dazione corruttiva promessa. Le critiche infatti non si correlano al ragionamento probatorio sviluppato ed esposto dalla Corte di appello, nel quale sono richiamate tutte le fonti prova, costituite anche per la vicenda di Carditello da captazioni, da acquisizioni documentali e quindi non solo dalle dichiarazioni del Caprio, che aveva ammesso il versamento della tangente al ricorrente. In particolare le captazioni avevano consentito di svelare la suddetta vicenda e nei dialoghi intercettati del ricorrente, nel fare l’elenco delle somme incassate e da incassare, era stato fatto riferimento tanto alla ditta di Caprio – Golden Green – aggiudicatrice dei lavori di Carditello, quanto al luogo dei lavori – “Carditello” e alle somme dovute. Il ricorrente mira piuttosto ad una parcellizzazione delle evidenze probatorie in funzione di una più logica loro lettura, finendo per avanzare critiche di mero fatto, notoriamente precluse in questa sede“.