ORE 14.08 ESCLUSIVA. OMICIDI Don Diana e Mario Iovine. Ecco perchè a breve il boss 70enne Nunzio De Falco ‘o lupo potrebbe tornare in libertà

18 Dicembre 2020 - 14:10

La prima Sezione della Corte di Cassazione ha, infatti, rinviato alle Sezioni Unite il ricorso dei difensori, i quali contestano il verdetto della corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere in funzione di tribunale dell’Esecuzione, che ha trasformato un solo ergastolo in 30 anni di reclusione, lasciando immutato il carcere a vita per il delitto del sacerdote. Ciò, sostiene la difesa, in violazione all’ordinamento spagnolo che esercitò a suo tempo la potestà sull’estradizione

CASAL DI PRINCIPE (Gianluigi Guarino) – Se le Sezioni penali Unite della Corte di Cassazione, dovessero dar ragione alle tesi esposte dall’avvocato difensore del boss Nunzio De Falco, 70 anni, detto o lupo, capoclan detronizzato definitivamente dagli allora giovani rampanti e fondatori del clan dei casalesi Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti, il noto camorrista fratello di Vincenzo De Falco ‘o fuggiasco, altro pezzo da 90 della camorra di Casal di Principe negli anni 80 e agli inizi degli anni 90, potrebbe uscire dal carcere in poco tempo, visto e considerato che in questi giorni scade il 23esimo anno di reclusione, calcolato dal 15 novembre 1997, giorno in cui fu catturato in Spagna.

Non sappiamo infatti se possa far valere dei bonus per la buona condotta, qualora i due ergastoli fossero commutati entrambi (uno lo è già stato) a una condanna a 30 anni di reclusione.

Ma se l’avvocato si è mosso in questo periodo, vuol dire che l’obiettivo di una sua scarcerazione, grazie anche all’istituto della continuazione del reato, potrebbe anche essere a portata di mano e a portata di calendario.

Il dettaglio della vicenda è ben spiegato nel dispositivo con cui la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, presidente Mariastefania Di Tomassi, relatore Giuseppe Santalucia, ha disposto di trasmettere gli atti relativi al ricorso dell’avvocato difensore di Nunzio De Falco alle già citate Sezioni Unite.

Questo succede quando le questioni poste da una procura generale oppure, come in questo caso, da difensori di persone che scontano una pena definitiva, articolano le loro tesi collegandole a circostanze che la seppur ampia giurisprudenza della Cassazione, non ha ancora regolato e che hanno un’ampiezza e una complessità tale da necessitare che tutti i giudici, tutti i presidenti di Sezione si riuniscano insieme per trovare una linea che possa informare poi una decisione che, essendo stata presa dalle Sezioni Unite, fa giurisprudenza e anche di più, nel senso che andrà a condizionare tutto ciò che i vari tribunali potranno decidere in futuro su vicende simili o assimilabili.

Invitando chi volesse approfondire dettagliatamente la vicenda, a leggere il testo integrale del provvedimento della Prima Sezione della Cassazione che pubblichiamo in calce a questo articolo, proviamo a sintetizzarlo rapidamente.

Partiamo da un presupposto: la Spagna, evidentemente uscita da una lunghissima dittatura militare, ritornando, alla fine degli anni 70, dopo la morte del caudillo Francisco Franco, ad un ordinamento democratico, dimostrò di voler essere liberale anche al di la di quanto lo fossero le altre democrazie occidentali. In questa ottica, va letta la decisione, diventata corpo fondamentale dell’ordinamento penale iberico, di abolire, non solo la pena di morte che durante la dittatura esisteva, ma anche il carcere a vita, l’ergastolo.

In poche parole, in Spagna il massimo della pena attribuibile ad un reo, è di 30 anni di reclusione. 

Quando Nunzio De Falco fu arrestato in questa parte della penisola iberica, nel 1997, fu, di conseguenza, proprio la Spagna ad assumere il controllo, la potestà nella procedura di estradizione, attivata da una procura italiana. In casi come questi, si pone sempre un problema di omogeinizzazione degli ordinamenti, in questo caso, di quello penale, cioè di quello che è declinato nei codici penali italiano e spagnolo.

Quella estradizione fu firmata dall’autorità giudiziaria iberica e riguardava, così è scritto nel provvedimento della Cassazione, “un omicidio avvenuto a Casal di Principe il 19 marzo 1994“. Come si può ben capire, si tratta evidentemente, come le cronache giudiziarie hanno scritto in migliaia di articoli e raccontato in special, servizi televisivi, dell’omicidio di don Peppe Diana, consumato da Giuseppe Quadrano, su ordine di De Falco che in quel periodo si vedeva sempre più stretto nella morsa dei boss rampanti e che, secondo ciò che il processo ha stabilito a suo tempo, ordinò quel delitto anche per creare una condizione diversa, di vero e proprio assedio da parte delle forze dell’ordine di un territori, in modo da poter arginare l’avanzata di Schiavone, Bidognetti e compagnia.

Attenzione, però: l’estradizione fu concessa a conclusione di un cammino piuttosto tormentato. Il 14 luglio 1998, infatti, proprio nei giorni in cui fu arrestato Francesco Schiavone Sandokan, la Spagna dichiarò inammissibile l’estradizione in Italia, concessa, invece, in prima battuta, in quanto fu stabilito che De Falco dovesse essere giudicato nel paese in cui era stato arrestato, in quanto accusato di un altro delitto, declinato in un’ordianzna cautelare datato primo dicembre 1997.

Alla fine, precisamente l’11 aprile 2000, De Falco toccò il suolo italiano e per il delitto don Diana fu condannato all’ergastolo il 23 gennaio 2003. Un anno dopo, l’Italia rispettò la condizione dei giudici iberici e riconsegnò il detenuto alla Spagna nel gennaio 2004 affinchè fosse giudicato da un tribunale di quello stato, per i reati commessi nei confini dello stesso.

Secondo punto su cui stare attenti: quando la Spagna estradò Nunzio De Falco, non pose alcuna condizione sulla determinazione temporale della pena. Dunque, l’ergastolo passò, tranquillamente, in giudicato.

Le autorità italiane ne chiesero una nuova estradizione per l’omicidio di Mario Iovine, avvenuto il 6 marzo 1991 Cascais, località turistico balneare del Portogallo, dove, giusto per fare una breve digressione, il re “di maggio” Umberto II trascorse il suo esilio, dopo aver raggiunto lo stato lusitano dopo qualche giorno, peraltro molto tempestoso, dall’esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

Ritornando a De Falco, in occasione di questo secondo procedimento, l’estradizione fu concessa ma scattò una condizione che nel primo caso non era stata posta e che si ricollegava direttamente ai contenuti delle pene detentive dell’ordinamento spagnolo: ve lo diamo, a patto che non lo condanniate all’ergastolo, pena non prevista nel nostro codice penale.

I tribunali, evidentemente sbagliando come poi i fatti hanno dimostrato ultimamente, non considerarono valida questa condizione e Nunzio De Falco rimediò la seconda sentenza di carcere a vita, l’8 luglio 2009.

E arriviamo ai giorni nostri e al ricorso presentato dai difensori alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, in funzione dei tribunale dell’esecuzione della pena. In parole povere, i giudici sammaritani hanno operato una netta distinzione tra i due prcomenti. Partiamo dal primo, conclusosi con la condanna all’ergastolo per il delitto don Diana e iniziato con l’estradizione, concessa dalla Spagna all’Italia senza condizioni, seppur inizialmente bloccata dalla controversia che portò al già citato annullamento del 14 luglio 1998, che le autorità iberiche avevano annunciato in relazione alle pendenze giudiziarie che De Falco aveva in quel paese.

Nellaa seconda procedura, invece, quella relativa all’omicidio di Mario Iovine esisteva invece una espressa condizione che impediva la possibilità di infliggere il “fine pena mai” a De Falco.

Questa impostazione ha prodotto un accoglimento solo parziale del ricorso presentato dal difensore di De Falco; la pena dell’omicidio di Cascais è stata commutata, dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, in versione tribunale dell’Esecuzione, trasformandosi da ergastolo a reclusione trentennale. Mentre quella relativa all’omicidio di don Diana, è rimasta invariata, dunque carcere a vita, in quanto la corte d’Assise considera dirimente il fatto il che autorità spagnole non avessero posto, in questo primo caso, la condizione escludente del carcere a vita.

La difesa di De Falco ha presentato, a questo punto, un ulteriore ricorso, stavolta in Cassazione, sostenendo che nel caso del primo procedimento, esisteva già una condizione a monte, cioè la garanzia di restituzione dell’imputato alle autorità spagnole. Una condizione che di per sè rendeva del tutto inutile l’ulteriore appostizione di quella relativa all’esclusione dell’ergastolo, visto e considerato che esisteva la certezza che il De Falco sarebbe comunque rientrato in Spagna.

Per la difesa, in sostanza, così sintetizziamo noi che riteniamo di aver capito bene il senso di questa vicenda molto interessante, non è concepibile che un vincolo granitico dell’ordinamento penale spagnolo, cioè l’assenza della pena del carcere a vita, sia stato utilizzato per un procedimento e non utilizzato per un altro procedimento.

In verità, sembrano piuttosto logiche le tesi della difesa nel momento in cui sostiene che il vincolo al procedimento su don Diana non fu agganciato alla concessione della prima estradizione, visto e considerato che la Spagna aveva la certezza di tornare ad esercitare la sua piena potestà sulle modalità della carcerazione di De Falco.

In conclusione, la difesa sembra sostenere (non lo scrive espressamente, ma il senso da noi interpretato è questo) che, nell’ordinamento spagnolo, non esiste una riserva, un’eccezione, una possibilità offerta all’autorità giudiziaria di far valere o non far valere, dunque esercitando una dicrezionalità opzionale, relativa ad una condanna all’ergastolo. Questo vincolo, questa condizione ci sono sempre e dunque la loro estensione anche al primo procedimento di estradizione dovrebbe essere, secondo al difesa di De Falco, automatica.

Nei prossimi giorni approfondiremo ulteriormente questo caso, ma possiamo già mettere un punto fermo e cioè che il ricorso dei difensori di De Falco ha insinuato il dubbio nei giudici della Corte di Cassazione, al punto da trasmettere l’intero fascicolo al vaglio solenne, che non avviene certo usualmente, delle cosiddette Sezioni Unite.

 

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