Ops, la Pignetti invece di dar conto delle delibere usa il sito dell’Asi per parlare dei processi a Guarino. E su Enzo Palmesano…
30 Settembre 2019 - 19:22
CASERTA (g.g.) – Mentre da un lato viene negata ai cittadini l’informazione trasparente sul modo con cui vengono spesi milioni e milioni di euro, di pubblico danaro, il sito dell’Asi, un tempo (non sappiamo se ancora oggi) curato da una mia ex giornalista, Iolanda Chiuchiolo da Benevento, che a me e solo a me deve l’assunzione al Corriere di Caserta e l’esame da professionista, con conseguente contratto, pubblica un notiziario di cronaca giudiziaria, annunciando per il 25 ottobre la conclusione del processo che mi vede imputato per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti della presidente Pignetti.
Rinvio a giudizio che, come ebbi a dire già a suo tempo, avvenne senza che il sottoscritto si avvalesse, così, per noia, perché avevo cose più importanti da fare, del diritto di un imputato di giocare la carta del proscioglimento, chiedendo di essere ascoltato o presentando memorie difensive nei 20 giorni successivi alla chiusura dell’indagine, ai sensi dell’articolo 415 bis del codice di procedura penale.
Insomma, un rinvio a giudizio che non poteva essere tale e che nulla significa, dunque, prima di una sentenza che scriverà l’iniziale capitolo, non certo l’ultimo, della lunga querelle giudiziaria del sottoscritto e la presidente dell’Asi che per tutte le denunce ai miei danni ha speso più di 60 mila euro di soldi pubblici.
Piccolo dettaglio, piccola dimenticanza: la presidente non ha mai pubblicato l’articolo che dava notizia dell’archiviazione, senza alcun passaggio processuale, sancita già dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, che conosce meglio le situazioni, a differenza di quella di Benevento che, essendo più sfidante, non è così dentro alle questioni casertane, per altra querela presentata dalla Pignetti.
Per la causa civile abbiamo già detto, in quel contesto il sottoscritto mai si è costituito e mai ha presentato un avvocato, salvo poi adesso cominciare ad occuparsene, dal momento in cui ha presentato un robusto ricorso in corte d’Appello con la citazione di testimoni importantissimi di grande nome e reputazione. Sull’esecutività del titolo conseguito legittimamente senza, ripeto, che il sottoscritto si presentasse nemmeno con un avvocato in aula, ci inchineremo alla legge così com’è giusto e serio che sia.
Capitolo Palmesano: la presidente Pignetti che ancora una volta mi taccia di sessismo quando in realtà, il riferimento a Barbie, come ho spiegato più volte rappresentava una similitudine ad un modello positivo di una donna bella ma anche intelligente e impegnata nella vita, pubblica roba vecchia che ci costringe a ripetere per l’ennesima volta la nostra versione dei fatti che non è una roba giusto per dire, una difesa impossibile davanti all’evidenza di due sentenze pronunciate. Oggi e davanti a qualsiasi giudice, anche un mese fa quando sono stato assolto da una querela presentata da Palmesano, ho detto e ribadito che Enzo Palmesano non ha mai firmato un solo articolo su quello che al tempo si chiamava Corriere di Caserta e non Cronache di Caserta. Lui ha collaborato con due pseudonimi: Maria Cavalieri per gli articoli di Pignataro Maggiore e Antonia Panassi per gli articoli di Sparanise.
Più volte chiesi a Palmesano, e questo lo può testimoniare la stessa Chiuchiolo già citata, con me in quella valorosa redazione, di condurre le sue battaglie giuste utilizzando il proprio nome e il proprio cognome, così come faceva il sottoscritto rischiando in proprio, e in altri giornalisti di quella redazione. Non ci fu nulla da fare! Non ho mai cacciato Palmesano da quella redazione. Gli ho solo detto che non avrei pubblicato articoli con pseudonimi, anche perché l’uso dello pseudonimo comportava, almeno in prima battuta, la responsabilità diretta del sottoscritto imputabile non solamente per l’omesso controllo.
Questo ho dichiarato nel processo di primo grado in cui è stato condannato Pezzella, parente acquisito del boss Lubrano e collaboratore di Telealternativa, al tempo partner e consocia del Corriere di Caserta. Una condanna fondata sull’assunto che Palmesano sia stato fatto fuori del giornale per ordine della camorra. Quindi da questo Pezzella che avrebbe fatto pressione sul sottoscritto. A riguardo, il Palmesano ha sempre portato a supporto delle sue tesi, alcune intercettazioni telefoniche in cui a suoi dire, io avrei rassicurato il Pezzella. In effetti, questo Pezzella era un giornalista del gruppo editoriale di cui ero dipendente anche io. Con lui più volte ho parlato della questione Palmesano e in più di un’occasione, gli ho detto che per me il problema era solo uno: quello relativo agli pseudonimi. L’inspiegabile diniego del Palmesano a firmarsi con le proprie generalità mi faceva affermare, anche nelle telefonate con Pezzella, che la presenza dello stesso Palmesano nel Corriere di Caserta non era più tollerabile in quanto, nascondersi dietro all’anonimato di uno pseudonimo, non mi sembrava né serio, né giusto.
Il giudice di Santa Maria Capua Vetere che condannò Pezzella, dovette giocoforza, spedire gli atti delle mie dichiarazioni date in aula nelle vesti di testimone alla Dda, per verificare se esistessero possibilità di un’indagine sul sottoscritto ipotizzando il reato di falsa testimonianza.
Ebbene, da allora, sono trascorsi 5 anni, la Dda non ha mai svolto alcuna indagine né ha ritenuto neanche lontanamente di contestarmi alcunchè.
Da quel momento in poi, quando Enzo Palmesano ha utilizzato la sentenza di primo grado e anche la sentenza di secondo grado per darmi in pratica del bugiardo, io ho sempre replicato colpo su colpo, lamentandomi della gravissima carenza etica che Nadia Toffa, pace all’anima sua, dimostrò quando permise al Palmesano, sponsorizzato da Roberto Saviano, un altro a cui stavo sulle scatole perché non mi ero mai unito ai mandolini dell’orchestrina decantandone acriticamente le gesta e le parole per anni e anni, senza porsi il problema di un’analisi approfondita dei contenuti delle stesse, di fare un monologo contro il sottoscritto, con la solita storia dell’epurazione voluta dalla camorra, senza che in quel programma, condotto su Italia Uno, proprio da Nadia Toffa, venisse garantito al sottoscritto, il diritto di replica.
Io dico e ribadisco, non per arroganza, ma perché altrimenti direi una bugia, che per quanto mi riguarda Palmesano è andato via dal Corriere di Caserta solo ed esclusivamente per gli pseudonimi. La verità giudiziaria di due sentenza va rispettata. Ma la verità giudiziaria, esimia presidente Pignetti, non è verità rivelata. Le sentenze si rispettano, ma si possono confutare e criticare. Non so se Pezzella agisse in nome e per conto dei Lubrano. So invece che io non avrei mai permesso, non avendo per altro in questo territorio né parenti, né amici stretti vivendo ancora oggi in un’altra provincia, che un giornalista fosse allontanato per ordine della camorra. Se è successo così, evidentemente sono stato fregato anche io da coincidenze sfavorevoli. Una cosa è certa, però: da quell’uscita del Corriere di Caserta Palmesano ha avuto un’enorme pubblicità, presenze televisive e tanta solidarietà delle anime belle. Probabilmente se avesse firmato col suo nome e cognome, semplicemente, accettando una mia richiesta giusta, oggi avremmo tutti gli elementi per poter dire che lui fu fatto fuori dalla camorra e che il sottoscritto era almeno un cacasotto.
Ma non andò così.
Per la precisione, presidentessa Pignetti, e per completezza d’informazione.