“Poche SPIAGGE LIBERE” in Campania. Il caso limite di MONDRAGONE

29 Luglio 2019 - 14:28

MONDRAGONE – Una regione dove le SPIAGGE libere sono spesso un miraggio e in alcuni casi quelle presenti sono di serie B e poste vicino a foci dei fiumi, fossi o fognature dove la balneazione e’ vietata. E’ questa la fotografia scatta dal reportSPIAGGE 2019 di Legambiente che soppesa anche “l’impatto che i cambiamenti climatici, l’erosione e il cemento selvaggio stanno avendo sulle coste campane ridisegnandole“, a cui si aggiungono “il problema dell’inquinamento, l’accessibilita’ negata e quello delle concessioni senza controlli“.

Da controcanto c’e’ pero’ il dato che negli ultimi anni lungo il litorale campano si e’ registrato un fermento green che punta, “in maniera sempre piu’ concreta, sulla sostenibilita’ ambientale, su un impegno plastic-free e sulla difesa della biodiversita’“. In Campania sono 3.967 le concessioni demaniali marittime, di cui 916 sono per stabilimenti balneari, 137 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, mentre le restanti sono distribuite su vari utilizzi.

Per capire quanto delle coste campane e’ occupato da stabilimenti balneari occorre incrociare fonti diverse e verificare con le foto aree l’occupazione da parte degli ombrelloni, considerando anche le diverse dimensioni degli stabilimenti nelle Regioni italiane. Complessivamente si puo’ stimare che le concessioni superano il 67% di occupazione delle SPIAGGE campane. Cio’ significa che solo il 33% del litorale e’ “free”.

Un caso limite e’ quello di Mondragone dove su 8,4 km di costa sono presenti ben 51 stabilimenti pari al 54% di costa occupata.

Quando si parla di SPIAGGE e concessioni non si dovrebbe parlare solo di Bolkestein come si fa in Italia – commenta Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania – Si dovrebbe invece cominciare a ragionare su come valorizzare queste straordinarie potenzialita’ e come affrontare i problemi trovando soluzioni innovative, come fanno gia’ molti Paesi europei dove si e’ scelto di premiare le imprese locali che scommettono sulla qualita’ e al contempo garantire che una parte maggioritaria delle SPIAGGE sia garantita per la libera fruizione. La sfida che vogliamo lanciare ai balneari – aggiunge – e’ di ragionare insieme sul futuro delle SPIAGGE italiane partendo da una lotta ai veri nemici del litorale: l’erosione costiera, il cemento e i cambiamenti climatici“.

E per la presidente dell’associazione sono i balneari “i primi ad essere interessati ad avere prospettive credibili di lavoro e di sicurezza, ma anche ad isolare quanti compiono abusi e illeciti. La proposta – sottolinea Imparato – e’: ragioniamo assieme su regole per garantire un’offerta di qualita’ e al contempo l’accessibilita’ dei cittadini, su criteri che premino coloro che scommettono sulla valorizzazione del patrimonio ambientale e su strutture a impatto zero“.

Se si considerano anche i tratti di costa non balneabili per ragioni di inquinamento in Campania un ulteriore 7,5% della costa sabbiosa risulta non fruibile. In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di SPIAGGE che si possono dare in concessione, tale scelta viene lasciata alle Regioni che il piu’ delle volte optano per percentuali molto basse. La Campania ha imposto un limite minimo – “irrisorio” per Legambiente – del 20% della linea di costa dedicato a SPIAGGE libere.

Sul fronte economico c’e’ poi la forte sperequazione nella definizione dei canoni concessori, con situazioni paradossali che fanno registrare il pagamento di canoni demaniali bassissimi per concessioni spesso molto remunerative (spesso meno di 2 euro a mq all’anno). Nel complesso nel 2016 lo Stato ha incassato poco piu’ di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui.