Ricettazione, condanna definitiva in Cassazione per il nipote del superboss Antonio Bardellino

5 Marzo 2020 - 18:18

SAN CIPRIANO D’AVERSA (g.g.) – Da un mese e mezzo è definitiva l’ennesima sentenza di condanna di Silvio Giuseppe Bardellino, nipote del superboss e capo della Nuova Famiglia Antonio Bardellino. In questi giorni, infatti, la corte di Cassazione, nella sua settima sezione penale, ha respinto il ricorso presentato dai difensori del 46enne contro il verdetto di Appello che aveva condannato il pluri-pregiudicato alla pena di 3 anni, 1 mese e 15 giorni per il reato di ricettazione. Una pena già decurtata, sempre in sede di corte d’Appello, della parte che in primo grado aveva riguardato il reato di truffa, per il quale i giudici di secondo grado hanno dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Il ricorso si basava su due motivi. Nel primo, gli avvocati lamentavano un’errata applicazione dell’articolo riguardante il reato di ricettazione, segnalando, nel contempo, quella che definivano una “manifesta illogicità della motivazione”. Il secondo motivo si basava su un mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e sulla conseguente non proporzionalità della pena, rispetto al comportamento posto in essere dall’imputato, cosa che in termini giuridici, proprio la corte di Cassazione ha definito come “dosimetria della pena”.

Gli ermellini di piazza Cavour hanno respinto entrambi i motivi dichiarandoli “inammissibili”. Nel primo caso, il problema sollevato dai legali di Silvio Giuseppe Bardellino ha rappresentato una sorta di primizia, dato che  in Appello l’imputato non aveva sollevato questi problemi specific che, dunque, non possono essere ulteriormente appellabili in Cassazione, semplicemente perché non esistono proprio per volontà della difesa. Per quanto riguarda la dimensione della pena, i giudici hanno sancito l’inammissibilità del ricorso in quanto ha già precedenti specifici molto gravi (aggiungiamo

noi, nel 2015, entra in carcere per un esecuzione di una pena definitiva a 10 anni di reclusione). Anzi, la corte della legittimità segnala l’Appello ha “fissato la pena base pressoché ai minimi, sottostimando l’aumento per la ritenuta recidiva specifica ed infraquinquennale ed operando un modesto aumento a titolo di continuazione.”