S. MARIA C.V. Antonio Mirra trasforma il Comune nel salotto di casa sua: solo venerdì da le carte (e nemmeno tutte) del bilancio e umilia la norma regolamentare delle 72 ore

2 Giugno 2021 - 19:13

SANTA MARIA CAPUA VETERE (gg) –  Il sindaco di Santa Maria Capua Vetere Antonio Mirra è un avvocato. Magari non di grido, ma comunque un avvocato. Ma certe volte non sembra proprio.

Dovrebbe avere, infatti, una particolare sensibilità per le strutture normative costituenti la cornice giuridica entro la quale possono muoversi e manifestarsi l’organo che lui incarna e gli altri con i quali si sviluppa la cosiddetta amministrazione attiva, ma anche la fondamentale azione del consiglio comunale, nel quale il principio della rappresentanza si allarga e si stratifica incrociando molteplici segmenti della cittadinanza, divenendo in questo modo l’espressione forse più viva della sovranità popolare per quel che riguarda questo tipo di ente locale.

Se un consiglio comunale ha un proprio regolamento che ne sovrintende le dinamiche, questo strumento ordinativo è ancora più importante, dunque è il più importante, tra tutti i regolamenti che un comune ha approvato nel tempo non a caso attraverso delibere di consiglio comunale.

Quando poi la questione riguarda un fatto grosso, vistosamente percepibile come quello dell’approvazione di un bilancio di previsione, cioè la massima espressione della programmazione di un governo locale, per capirci, una sorta di Finanziaria comunale, l’attenzione e la tensione al rispetto intransigente delle regole non è solamente un fatto formale, ma diventa sostanza dell’agire amministrativo. Trasgredire rispetto a una procedura relativa all’approvazione del bilancio di previsione vale cioè il triplo.

Lunedì scorso, 31 maggio, la maggioranza di Antonio Mirra ha approvato il bilancio. Lo ha fatto nell’ultimo giorno utile, dato che il 31 maggio costituiva l’estrema data possibile e, fra le altre cose, già conseguenza  di una proroga di due mesi concessa dal governo nazionale.

Ma questo non vuol dire che se il bilancio di previsione non fosse stato approvato il 31 maggio, l’amministrazione di Antonio Mirra sarebbe caduta. Com’è noto, l’Italia è il paese dei penultimatum. Un sindaco presenta le dimissioni? Ok, le ha presentate, ma in realtà non è vero, visto che ha venti giorni di tempo per ritirarle, e dunque nel momento in cui le da, apre un vero e proprio mercato delle vacche, per accontentare chi non lo appoggia più. Dunque, questo istituto non serve a regolare la procedura attraverso la quale i cittadini tornano al voto, ma è un contributo che potremmo definire criminogeno, perché fomenta le trattative più inconfessabili. Su cento sindaci che hanno usato lo strumento delle dimissioni, uno, forse al massimo due non le hanno ritirate prima della scadenza del ventesimo giorno. Un dato numerico, dunque oggettivo, che dimostra il nostro assunto.

Secondo esempio e seconda domanda: il governo del Paese stabilisce che il bilancio di previsione, che con questo nome, in un posto normale, dovrebbe essere sempre approvato prima del 31 dicembre, debba essere votato entro il 31 marzo? Non ricordiamo che una sola volta sia successo che ai comuni non siano state concesse una o due proroghe, e abbiamo assistito a esercizi provvisori, cioè alla cosiddetta gestione in dodicesimi, durata per l’intero anno di un esercizio, con il bilancio, cioè sempre quello di previsione, relativo a un anno tot, approvato l’anno dopo, che una roba del genere nemmeno il più surreale ed onirico degli scrittori o dei registri cinematografici avrebbe potuto concepire. Roba da “aereo più pazzo del mondo”, ma forse anche al di là.

Per cui, Mirra non sarebbe caduto, ma avrebbe solamente dovuto attendere quella che con molta enfasi viene definita “diffida prefettizia“, con la quale il governo, attraverso le prefetture, concede 15 giorni di tempo dal momento della comunicazione per approvare. Ad occhio e croce, dunque, considerando tutti i casi che abbiamo trattato negli anni, Mirra, tra i 15 giorni, la tempistica letargica della Prefettura, avrebbe tutto il mese di giugno per approvare il suo bilancio di previsione.

Finirà: però è sempre meglio rispettare i termini. Certamente che è meglio. Ma rispettare i termini significa rispettarli in piena armonia con la legge, perché purtroppo non è che uno per fare la carità ad un povero può godere di una moratoria – che depenalizza, nel caso specifico il reato di rapina a mano armata.

E allora, se nel regolamento del consiglio comunale di Santa Maria Capua Vetere, come del resto capita nei regolamenti di tutti i consigli comunali d’Italia, è previsto all’art 29, il cui testo pubblichiamo integralmente in calce, che questa delibera debba essere messa a disposizione dall’amministrazione comunale di ogni consigliere almeno 72 ore prima dell’adunanza consiliare, ma soprattutto prevede che le 72 ore vengano computate inderogabilmente tra quelle che consentono un’effettiva consultabilità o un’effettiva acquisizione documentale, ciò può avvenire solamente se le 72 ore, stiano dentro a tre giorni lavorativi, in cui gli uffici comunali siano aperti.

Ci risulta che qualche consigliere, si sia recato venerdì 28 maggio qualche ora dopo la comunicazione sulla disponibilità dei documenti, al comune per acquisire la documentazione del bilancio di previsione. Tra questi documenti, non era disponibile quello fondamentale, rappresentato dal parere dei revisori dei conti. Quel consigliere è tornato  alla carica sabato mattina, ritenendo che, magari, proprio per ottemperare all’obbligo previsto dal regolamento, gli uffici fossero aperti. Al contrario, li ha trovati chiusi come del resto succede ogni sabato ed ogni domenica. Badate bene che l’adunanza consiliare era stata fissata per le ore 14:00 di lunedì 31 maggio. Ora, al di là del fatto che il bilancio di previsione in un posto civile, come non è in tutta evidenza la provincia di Caserta e come non è in tutta stra-evidenza il comune di Santa Maria Capua Vetere, è una cosa tanto seria da necessitare un lavoro mirato ad allargare il più possibile il perimetro dell’agibilità democratica che può essere garantita dando la possibilità ad ogni consigliere di svolgere pienamente la propria funzione leggendo per tempo e col tempo che occorre, la complessa e ponderosa documentazione di un bilancio di revisione. Ma almeno le 72 ore Mirra le poteva rispettare. Per cui, come si può pensare che possa essere peregrina l’iniziativa assunta da alcuni consiglieri che hanno chiesto, invano, ai loro colleghi della maggioranza di votare una eccezione di invalidità della seduta?

Non ci risulta, almeno questo ce l’hanno risparmiato, che la seduta del bilancio, la quale è programmabile a settimane di distanza, sia stata formalmente contrassegnata dallo status di “seduta d’urgenza”, che rappresenterebbe (ma ripetiamo, sarebbe stato il primo caso applicato al voto per un bilancio di previsione, anche in questo cesso di provincia), di ridurre ulteriormente il termine delle 72 ore per la messa a disposizione degli atti.

Come sempre, questa storia finirà a tarallucci e vino, dato che in prefettura sono tarati per attuare stabilmente la strategia della decantazione. Della serie: sì, c’è stata un’irregolarità, forse addirittura un’illegalità, ma adesso che facciamo? Alteriamo la legge non scritta del compromesso, della transazione aumm aumm, della dilazione, del cloroformio? Meglio non piantare casini. Al massimo scriviamo una lettera con un rimbrotto al sindaco, e arrivederci e grazie.

Da anni scriviamo che anche a causa di questo atteggiamento permissivo, anzi, accondiscendente da parte della Prefettura, ma anche da parte di altre autorità costituzionalmente rilevanti, i politici locali si sentono sempre più incoraggiati dall’impunità e dalla immunità a straffottersene della legge.

Ma l’Italia è l’Italia, il sud non ne parliamo, la Campania non ne parliamo al quadrato, la provincia di Caserta, quella poi andrebbe cancellata dalla cartina geografica.