Schegge di boss. All’imprenditore: “Dammi i soldi o ti sparo appresso”. Le pistole e i ferri del mestiere di Vincenzo e Antonio Ucciero

31 Luglio 2021 - 18:43

VILLA LITERNO – La vicenda, prima di tutto di cronaca nera e poi, conseguentemente, di cronaca giudiziaria, relativa alla recente ordinanza che ha unito due indagini, una operata dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, l’altra dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale, offre sicuramente, anche agli occhi di chi come noi ne ha viste e raccontate migliaia di storie di camorra, un fatto originale, unico nel suo genere: non è una novità in assoluto che un padre e un figlio delinquano contemporaneamente, appartenendo alla malavita e alimentandola con la propria attività.

Ma mai ci era capitato di leggere e raccontare di un padre e di un figlio che lavoravano autenticamente in equipe. Vincenzo Ucciero, 52 anni, e Antonio Ucciero, 28 anni, si muovono all’unisono e si consultano continuamente sulle mosse da adottare per mettere sotto scacco gli imprenditori.

Il capitolo che cominciamo ad affrontare oggi riguarda la relazione tra le armi, le pistole che servono a sparare e a intimidire, e i due esponenti di questa notissima famiglia criminale, che ha avuto nell’ergastolano Massimo Ucciero, fratello di Vincenzo, una sorta di capostipite, quale personaggio temutissimo in quanto pronto ad uccidere in ogni momento e protagonista di quella che è stata forse l’ultima vera sanguinosa guerra di camorra tra gruppi divenuti rivali.

Da un lato gli uomini di Bidognetti, dall’altro quelli della fazione storica liternese dei tavoletta.

Sono 4 le intercettazioni riportate nell’ordinanza quale elemento di riscontro dell’incolpazione, riguardante la detenzione di armi, volta a realizzare i disegni criminali del clan dei casalesi, nei confronti di Ucciero Senior e Junior.

Sono tutte interessanti: la prima risale al 13 novembre 2020, 8 mesi fa, e contiene un atto di spavalderia di Ucciero, il quale dice al padre di non preoccuparsi, perché dall’imprenditore (che, evidentemente, hanno intenzione di taglieggiare) ci andrà lui e gli metterà la pistola sul tavolo per far capire che loro non scherzano. E non basterà il gesto, perché a questo Antonio Ucciero dice di voler associare la seguente frase: “Datemi i soldi altrimenti vi sparo appresso”.

La seconda, del 4 dicembre 2020, vede padre e figlio dialogare in auto alla presenza della moglie del primo e madre del secondo. Antonio Ucciero chiede al padre dove abbia messo “il ferro”, che è il modo gergale con cui i criminali chiamano la pistola. Il padre gli risponde: “Sotto”.

La terza, datata 5 dicembre 2020, il giorno dopo, racconta della preoccupazione che percorre Antonio Ucciero in quanto il papà Vincenzo non dà notizie di sé da qualche ora e lui sa bene che è andato “a farsi”, cioè a drogarsi, senza dir nulla, per evitare che la moglie se ne accorgesse.

Ma la preoccupazione è frutto della combinazione tra due circostanze: l’assunzione di droghe evidentemente eccitanti (non viene citata la cocaina ma è molto probabile che di quella si trattasse) e la detenzione della pistola, che Vincenzo Ucciero ha portato con sé.

Di questo, il figlio parla con un loro sodale, anch’esso coinvolto in questa ordinanza, Giuseppe Carannante.

La quarta e ultima intercettazione utilizzata dalla Dda e dal Gip del Tribunale di Napoli Isabella Iaselli, che ha firmato l’ordinanza, è ugualmente fondata su un atto di esuberanza criminale di Antonio Ucciero. Questi si trova in auto con l’altro esponente del clan Raffaele Granata.

Devono recarsi da un imprenditore a cui estorcere danaro. Ucciero insiste più di una volta affinché Granata porti con sé la pistola, che evidentemente si trova in auto.

Granata si rifiuta affermando che per il momento non serve, dato che cercherà di ottenere i soldi senza minacce armate.

Questi quattro episodi rappresentano, per il giudice, solidi elementi per contestare agli Ucciero il reato di porto e detenzione di armi per finalità camorristiche.