STORIE DI CAMORRA. La straziante testimonianza di Daniela Nugnes: “Il corpo di mio padre, ucciso dal clan, sepolto in una fossa comune del cimitero di Caserta”
9 Febbraio 2019 - 19:33
MONDRAGONE (Tina Palomba) – “E’ stato tutto surreale, ma poi è diventato tutto grottesco, perchè a noi le ossa di papà, non ci sono state restituite…I carabinieri le hanno ritrovate nella fossa comune al cimitero di Caserta, perché dopo il processo, invece di restituircele, le hanno portate lì”.
E’ una toccante testimonianza di Daniela Nugnes, figlia di Antonio Nugnes, assessore del Comune di Mondragone, a sua volta politico di spicco in quanto consigliere regionale e poi assessore regionale dell’ultima giunta Caldoro.
Antonio Nugnes fu ucciso dal clan La Torre l’11 luglio del 1990.
Il collega Raffaele Sardo riporta in un capitolo del suo ultimo libro “La sedia vuota”, per ricordare con grande dignità alcune storie di vittime innocenti della criminalità organizzata, la vicenda delle “ossa perdute” di Antonio Nugnes.
È come se questa famiglia avesse subito un nuovo lutto, ancora più grave. Questa volta, infatti, ad agire, non sono stati i camorristi ma il silenzio dello Stato. Le poche ossa ritrovate e mai consegnate alla famiglia per una degna sepoltura, almeno per poter lasciare un fiore, o per poter recitare una preghiera, come è giusto che si faccia a quasi 30 anni dalla terribile esecuzione, rappresentano una storia che non può essere lasciata nel silenzio.
Come scrive l’ex procuratore aggiunto di Napoli, coordinatore della Dda e successivamente capo della stessa dopo un breve intermezzo da procuratore della Repubblica, Franco Roberti, nella prefazione del libro di Sardo: “Leonardo Sciascia diceva che i mafiosi odiano i magistrati e i giornalisti perché ricordano. La memoria è, infatti, l’arma più potente che abbiamo”.
Allucinante è ripercorrere questo efferato omicidio voluto da Augusto La Torre, oggi collaboratore di giustizia, recluso nel carcere di Campobasso, in un’ala riservata ai pentiti e dove lavora come bibliotecario. Non sappiamo se l’ex boss abbia mai chiesto scusa alla famiglia per questa pagina di sangue. Fu proprio lui che sparò uno dei colpi fatali contro l’assessore e poi fece gettare il corpo in un pozzo insieme ad un altro cadavere, quello di Vincenzo Boccolato. Fu sempre lui a lanciare una bomba in quel pozzo per cancellare e far sparire per sempre persino le ossa.
Nel 2003, dopo 13 anni, Augusto La Torre si pente e fa ritrovare dai carabinieri diretti all’epoca dal pm Raffaele Cantone i resti di quelle poca ossa consumate dal tempo ma soprattutto dall’odio umano. Le parole amare di Daniela Nugnes possono dare il senso di questa storia: “Quando abbiamo fatto il riconoscimento, questo è avvenuto grazie a una scarpa che si era salvata ma la cosa che ci ha fatto male è che abbiamo ritrovato le chiavi di casa che aprivano ancora il nostro cancello. Le ossa di papà erano insieme alle altre ossa. Bisognerebbe fare il Dna e a livello privato per noi farlo è molto complicato. Dopo 30 anni non abbiamo un posto dove piangere papà e non è giusto“.
Davvero non è giusto e speriamo che le istituzioni e anche le associazioni che si occupano di legalità possano dare un contributo burocratico e fare in modo che si avveri questo sogno per ora infranto.