TORTURE IN CARCERE. 126 le parti civili ammesse nel maxi processo agli agenti del penitenziario di S.MARIA C.V

14 Dicembre 2022 - 19:33

La Corte d’Assise presieduta dal giudice Roberto Donatiello ha sciolto la riserva ed accolto la costituzione in giudizio delle vittime o di associazioni che sono portatrici di interessi collettivi, in particolare quelli delle persone detenute

SANTA MARIA CAPUA VETERE – Sono 126 le parti civili ammesse nel maxi processo per le torture avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020 per cui sono imputate 105 persone tra agenti, funzionari dell’amministrazione penitenziaria e medici . 

La Corte d’Assise presieduta dal giudice Roberto Donatiello ha sciolto la riserva ed accolto la costituzione in giudizio delle vittime o di associazioni che sono portatrici di interessi collettivi, in particolare quelli delle persone detenute. I giudici hanno ammesso, dunque, la costituzione di parte civile di 117 detenuti o loro eredi, come nel caso di Hakimi Lamine – morto appena un mese dopo i pestaggi in carcere per un’overdose di farmaci assunta “in rapida successione e senza controllo sanitario” – e di Vincenzo Cacace, il detenuto in carrozzina preso a manganellate e deceduto a casa nel giugno di quest’anno. Ammessa la costituzione anche delle associazioni Antigone, Italia Stato di Diritto, il Carcere possibile onlus, Yairaiha e Contro gli abusi in Divisa. 

Ammessa anche la costituzione dei garanti dei detenuti, sia nazionale che regionale, in quanto ritenuti dai giudici “autonomi” l’uno rispetto all’altro. Ammessa anche la doppia veste in giudizio del Ministero della Difesa che come l’Asl è sia parte civile sia responsabile civile per le azioni dei propri dipendenti nei confronti delle persone offese che avrebbero provocato un danno d’immagine nei confronti dell’Istituzione.

Agli indagati sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020.

Il 6 aprile del 2020, circa 200 agenti – molti dei quali ancora non identificati – fecero irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle. Poi vennero pestati con i manganelli ed umiliati: molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Dopo la mattanza vennero individuati una quindicina di detenuti quali promotori della protesta del giorno prima. Vennero messi in isolamento per giorni, ingiustamente. Tra loro c’era anche Hakimi Lamine, poi morto.