ESCLUSIVA S. MARIA C.V. Rivolta in carcere: sono quasi tutti della provincia di CASERTA i 57 agenti di polizia penitenziaria indagati. C’e anche un dirigente
12 Giugno 2020 - 17:18
L’inchiesta partita dopo la denuncia di alcuni parenti dei detenuti
SANTA MARIA CAPUA VETERE (Tina Palomba) – Sono quasi tutti della provincia di Caserta, i 57 agenti della polizia penitenziaria, in servizio al carcere di Santa Maria Capua Vetere, indagati a vario titolo per maltrattamenti, lesioni, tortura, violenza privata e abuso di autorità. Un’indagine che nasce dalle denunce che alcuni reclusi avrebbero fatto al garante dei detenuti per i presunti pestaggi avvenuti nella rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere tra il 5 e il 6 aprile scorso nel corso dell’emergenza Covid. Alcuni sono proprio di Santa Maria Capua Vetere, altri di Caserta, Carinola, San Prisco, Aversa. Tra gli indagati c’è anche un dirigente, il comandante della Penitenziaria Gaetano Manganelli. “Abbiamo fiducia nella magistratura e martedì prossimo attendiamo l’avvocato nel nostro sindacato”, hanno annunciato sui social gli agenti dopo le polemiche di ieri che li hanno visti protagonisti. “Un mondo rivoltato”, è stato definito quando ieri alcuni dei poliziotti sono saliti sui tetti del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Un istituto che da quando è stata aperto nel 1996 fino ad ieri, non ha mai registrato episodi così gravi. Gli operatori del carcere hanno contestato le modalità delle operazioni di notifica degli avvisi di indagine. Ora si attendono ulteriori risvolti dopo che sono stati sequestrati i telefonini e alcuni verbali che riguardano la protesta di aprile. La contestazione è partita appena dopo che i carabinieri in borghese e tre magistrati Alessandro
Milita, ex pm della Dda di Napoli, Daniela Pannone e Alessandra Pinto si sono recati al carcere ed hanno fermato le auto all’ingresso dell’istituto e i militari avrebbero effettuato perquisizioni anche dinanzi ai parenti dei detenuti in visita nella struttura.
Sul modo con cui è avvenuta la notifica dei decreti di perquisizione agli agenti indagati il Procuratore generale Luigi Riello ha dichiarato: “In qualità di capo della Polizia giudiziaria del distretto mi attendo una dettagliata e sollecita relazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e ai vertici regionali dell’Arma dei carabinieri al fine di accertare ogni dettaglio della vicenda e la veridicità o meno di quanto riferito dalla stampa e denunciato da alcuni esponenti della Polizia Penitenziaria sulla correttezza del modus procedendi”.
L’inchiesta sarebbe partita dopo la denuncia di alcuni parenti dei detenuti che usciti dal carcere dopo il sei aprile scorso hanno denunciato le aggressioni e dopo alcune intercettazioni telefoniche tra una parente con un detenuto: “Erano le quattro e mezza, cinque, quando vi hanno picchiato”, dice lei. “Si” risponde il detenuto. “Hanno picchiato anche te?” ancora la donna. Il recluso: “Hanno picchiato tutti. E lo fanno tutti i giorni. Ci picchiano a turno. Ti acchiappano e ti incastrano in tre o quattro nella cella”. Insomma una storia che è ancora tutta da chiarire. Il 23 agosto del 1983, in un altro carcere casertano, il vecchio penitenziario di S. Francesco, si verificò un altro fatto eclatante che fino al verdetto definitivo (sentenza Mallozzi) fece parlare della nostra provincia a livello nazionale. Ci riferiamo al conflitto a fuoco tra cutoliani e nuova famiglia, nel corso delle perquisizioni vennero rinvenute tre pistole con matricola abrasa, nel settore nuova Famiglia, il cui possesso verrà attribuito (e condannato) a Francesco Schiavone del ’54 detto Sandokan.