CAMORRA & PIZZO D’ORO. Michele Zagaria raccoglieva 200mila euro in pochi minuti. Poi “scintilla sr. e jr. fecero la cresta, il boss si arrabbiò e arrivò il fratello Carmine. L’incontro con Pino Fontana nella pasticceria Garofalo

16 Novembre 2020 - 13:43

Continua il racconto dei principali collaboratori di giustizia a chiarimento delle dinamiche ma anche delle sfumature differenti che connotavano la relazione tra il boss, quegli imprenditori che lui riteneva suoi soci di fatto, e tutti gli altri che invece dovevano pagare. Prima silurò Massimo Di Caterino ed Enzo il meccanico…

 

CASAPESENNA – (g.g.) Non ha rappresentanto, nel corso degli anni, quelli della sua lunga latitanza, un’operazione semplicissima che Michele Zagaria, l’organizzazione e soprattutto la tenuta del meccanismo organizzativo, di cruciale importanza, per raccogliere tutti i ratei estorsivi, che se, da quando Zagaria era diventato lui stesso un imprenditore a tutti gli effetti o quasi, non erano più la parte prevalente del business di questo grupp del clna dei casalesi, rimanevano comunque pezzo significativo, sostanzioso, del fatturato criminale.

Già in passato, trattando le cose relative all’organizzazione del boss di Casapesenna, abbiamo incrociato e commentato decisioni di riposizionamento, di ridefinizione dei ruoli, di avvicendamenti, come per esempio accadde dentro allo specifico settore delle estorsioni o delle compartecipazioni attinenti alle cosidddette macchine mangiasoldi, alle slot e tutti i loro derivati.

Per cui non stupisce più di tanto che all’uscita dal carcere di Michele Barone e in un momento in cui anche Salvatore Nobis detto la scintilla, personaggio di rilievo del cartello di Michele Zagaria, si trovavano a piede libero, il capo decise di cambiare, cogliendo l’occasione al volo per togliere la competenza a chi se n’era occupato fino ad allora, cioè a Massimo

Di Caterino e ad Enzo il meccanico, i principali raccoglitori delle somme versate dagli imprenditori sottoposti al pizzo.

Massimo Di Caterino ed Enzo il meccanico, avevano in Giovanni Garofalo, un altro dei fedelissimi di Michele Zagaria, un altro di quelli che aveva contribuito pesantemente alla gestione della sua latitanza, ospitandolo anche nelle dimore di famiglia, il proprio riferimento a cui dare conto ogni volta che accumulavano una certa cifra, frutto di estorsioni effettuate.

La notizia dell’avvicendamento fu data a Di Caterino e ad Enzo il meccanico da Michele Barone in persona, il quale organizzò un incontro all’interno della pasticceria di Armando Zara a Casapesenna. La comunicazione fu la seguente: saremo io e Salvatore Nobis a sovraintendere all’attività estorsiva.

Di Caterino e Enzo il meccanico se ne mostrarono sorpresi ma ovviamente nulla potettero obiettare, visto che quella non era una proposta, bensì la notifica di un ordine indiscutibile.

Ma andando un attimo in avanti con i mesi, nemmeno l’organizzazione imperniata su Barone e Nobis funzionò. Al riguardo, il collaboratore di giustizia, peraltro cugino ed omonimo dell’ugualmente noto ex sacerdote don Michele Barone, recentemente condannato in primo grado a 12 anni di reclusione per la storia degli esorcismi e per altri reati, racconta un episoodio specifico. Cioè di quando, si incontrarono a casa di un meccanico, Michele Barone e Mario Nobis, figlio di Salvatore “Scintilla” e personaggio poi tornato di attualità in occasione dell’ordinanza che ha colpito Nicola Inquieto, il reuccio, ormai detronizzato, dell’edilizia di Romania, frequentato più volte proprio da Mario Nobis allo scopo di mettere in piedi diversi affari.

Quell’incontro aveva l’obiettivo di realizzare un conteggio di soldi in contanti estorte agli imprenditori. Banconota per banconota, si arrivò, questo giusto per capire quale fosse il fiume di danaro che affluiva nelle casse del clan, a circa 200mila euro. Di questa domma, Michele Barone, evidentemente già autorizzato da Zagaria, trattenne 20mila euro che servivano per pagare le parcelle professionali degli avvocati.

Qualche altra somma servì per le incombenze che Zagaria aveva con altri associati (Barone, al riguardo, fa il nome di Carlo Bianco), mentre Mario Nobis portò con sè, per consegnarla al padre, che a sua volta avrebbe portato questi soldi direttamente a Zagaria con qualche ulteriore detrazione concordata, la somma di 120mila o 130 mila euro.

E qui nacque l’inghippo: Michele Barone racconta ancora che Giovanni Garofalo gli chiese, in nome e per conto di Michele Zagaria, l’indicazione precisa su quanto avesse consegnato nelle mani di Mario e quindi di Salvatore. Ciò a dimostrazione che trattandosi di criminali, non è che tra loro c’era una fiducia assoluta. Ed evidentemnte Michele Zagaria qualcosa già sospettava, se ritenne necessario far avvicinare Michele Barone per chiedergli la somma precisa che aveva spedito a Salvatore Nobis.

Quando Michele Zagaria apprese l’importo trasmesso da Michele Barone a Nobis, si arrabbiò di brutto. Il collaboratore non specifica il perchè, anche se si può immaginare che da quella somma furono stornati altri soldi, stavolta senza l’autorizzazione di Michele Zagaria.

Non erano più i tempi delle guerre e guerricciole interne. Semplicemente Michele Zagaria visto che, a sua detta, si fidava solo di Michele Barone, incaricò in pratica se stesso, intervenendo direttamente nella gestione dei proventi delle estorsioni, affiancandogli suo fratello Carmine Zagaria.

Uno dei primi atti realizzati da Carmine Zagaria fu quello di chiedere a Michele Barone di contattare immediatamente Pino Fontana in modo da indurlo “ad accucchiare” la somma di 30mila euro. Attenzione, Barone specifica che non si trattava di un’estorsione, visto che Pino Fontana era uno di quelli considerati soci di fatto e di fratellanza di Michele Zagria. Questi grossi calibri venivano interpellati solo quando c’erano problemi di liquidità e loro non si tiravano indietro, contribuendo alle spese, ai costi del clan, legati soprattutto al mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie.

Barone incrociò Pino Fontana all’interno della seconda pasticceria di questa vicenda, cioè la Garofalo di Casapesenna, per formulargli questa richiesta, davanti alla quale l’imprenditore (che poi sarebbe stato arrestato il 14 luglio 2015 e successivamente condannato a 10 anni di reclusione con pena divenuta definitiva nel settembre scorso), non avrebbe obiettato alcunchè, assentendo immediatamente.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA