IL FOCUS. La saga delle ecoballe. Il Consiglio di Stato dà ragione alla Provincia. Via libera agli espropri di tutti i terreni martirizzati dal 2003 e “perculati” da De Luca

16 Marzo 2021 - 20:42

In calce all’articolo che sintetizza i punti di una vicenda che meriterebbe la scrittura di un libro, il testo integrale del verdetto dei giudici romani. In 17 anni e rotti, movimenti di quattrini sonanti e collegati ad azioni giudiziarie per almeno 18 milioni di euro

 

CASERTA (g.g.) – La sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato, presidente Luigi Maruotti, resa pubblica nella giornata di ieri, lunedì, assume un significato che va al di là, ma proprio molto al di là del fatto specifico che il provvedimento giudiziario va a regolare, a determinare definitivamente.

Va dato atto – perché noi quando c’è da “menare” batoste ai politici non ci siamo mai tirati indietro e l’abbiamo potuto fare con piena legittimità morale perché quando c’era da riconoscere un merito abbiamo parimenti sempre risposto presente -, ripetiamo, allora, va dato atto al presidente della provincia Giorgio Magliocca di aver avviato un meccanismo che sviluppa una strategia concreta dinanzi alla patente, vergognosa, ingiustificata, prolungata, anzi prolungatissima inadempienza della Regione Campania, la quale, pur avendo avuto (e avendo ancora) la disponibilità dei circa 500 milioni di euro stanziati ad hoc dal governo Renzi qualche anno fa, ha disatteso tutti i cronoprogrammi formali, non ne parliamo proprio degli impegni da marinaio relativi alle scadenze assunti pubblicamente dal presidente Vincenzo

De Luca, della bonifica delle aree martiri della provincia di Caserta che dal 2003 sono divenute monumento emblematico, estremo e radicale, di tutto ciò che è stata ed ha rappresentato la gestione criminale o paracriminale del circolo (si fa per dire) dei rifiuti in questo territorio. 

Ad oggi, si tratta di dati ufficiali e certificati, la Regione Campania è riuscita a bonificare solamente il 12% di queste aree. Per cui, restano sostanzialmente intatti nella loro configurazione disonorevole e inaccettabile, i quattro siti casertani (Villa Literno, Capua, Santa Maria La Fossa e onestamente la quarta non la ricordiamo) che ospitano le ecoballe, la quali, in origine dovevano essere la risultante del trattamento dei rifiuti all’interno dei cosiddetti CDR, qui da noi quello di Santa Maria Capua Vetere divenuto successivamente Stir, ma che, al contrario, tali non sono state mai. E mai sono divenute possibilità di stoccaggio di combustile da rifiuto, CDR, appunto, bensì una massa informe formata da migliaia e migliaia di tonnellate e da migliaia, migliaia e ancora migliaia di metri cubi di monnezza giacente in forma di ecoballe (un nome che parla da sè come una enorme presa per il culo) ormai da decenni.

Se la Regione avesse fatto il suo dovere, il Consiglio di Stato, con ogni probabilità, non avrebbe attribuito piene ragioni a ciò che il presidente della provincia Magliocca ha fatto nel 2019, prima con due suoi decreti, poi con una determina dirigenziale, con cui ha, prima di tutto, dichiarato l’esistenza di un pubblico interesse nel perimetro di queste aree e, in seguito, dopo aver modificato con una variazione il Bilancio di previsione, ha acquisito al patrimonio della provincia le medesime aree che dal 2003 al 2012 sono state sul groppone dei cittadini d’Italia, dopo che la famigerata FIBE, ai tempi di una delle tante emergenze rifiuti, datata 2001, fittò i terreni da proprietari privati per un importo complessivo dei relativi canoni di locazione superiore al milione di euro all’anno.

Successivamente (riassumiamo altrimenti ci dilunghiamo troppo) la FIBE, cioè l’insana unione tra Stato e poteri forti della storica imprenditoria privata assistita del nostro Paese, trasferì diritti ma soprattutto oneri pubblici relativi a quelle aree all’amministrazione provinciale di Caserta la quale, da quel momento in poi, era il mese di luglio dell’anno 2008, avrebbe dovuto pagare ogni anno più di un milione di euro in affitti a quei proprietari che avevano letteralmente trovato l’America e che, in qualche circostanza, non erano lontani, bensì assimilabili alle famiglie criminali e, in particolare, al clan dei Casalesi.

In verità, scialarono nei primi 5 anni, cioè durante il periodo in cui il loro inquilino si chiamava Fibe, visto che dal momento in cui la provincia subentrò, dichiarandosi questa eternamente in bolletta, non corrispose un solo euro di affitto, aprendo però la strada a un vero e proprio uragano di decreti ingiuntivi esecutivi che molto contribuirono ad un dissesto durante il quale, poi, i proprietari dei terreni delle ecoballe si costituirono nella massa passiva, ricevendo dalla commissione liquidatrice importi mediamente pari al 50% di ciò che avevano rivendicato tra il 2008 e il 2014, dunque anche al di la del periodo contrattuale. 

I contratti stipulati a suo tempo dalla FIBE e assorbiti dalla provincia andarono infatti in scadenza nell’anno 2012. Siccome, però, questa terra è molto peggio del far west, una terra senza legge, piena, automaticamente, di soggetti che altrove sarebbero considerati dei fuorilegge, nulla è successo da allora in poi. Per cui, la provincia ha continuato ad occupare quei terreni che complessivamente, qualora fossero stati venduti tutti, avrebbero dato ai proprietari la possibilità di spartirsi una cifra non superiore ai 3 milioni, ripetiamo, complessiva.

E invece la provincia ha continuato ad occuparli sine titulo, mentre i proprietari sono riusciti a far riconoscere, in sede di dissesto, crediti per mancata corresponsione dei canoni, anche relativi a una parte dell’anno 2012, al 2013 e al 2014, periodo durante il quale avveniva il citato sine titulo della Provincia. Questa, da un lato non ha potuto togliere il disturbo in quanto a Roma e a Napoli hanno dormito per una vita per creare quantomeno una linea di finanziamento per la bonifica, né benché meno ha potuto rinnovare, stipulare nuovi contratti, in considerazione del disastro economico che questi negozi giuridici stipulati da FIBE avevano creato ad una provincia che, non a caso, ribadiamo, anche per questi motivi, ha dovuto dichiarare dissesto finanziario.

La sentenza, la cui copia integrale mettiamo a disposizione dei nostri lettori in calce all’articolo, contiene anche il racconto di queste vicende. Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso presentato dalla provincia, che ha impugnato una sentenza del giudice di primo grado, ha fatto quello che fa di solito: ha smentito in maniera netta, inequivocabile, radicale e, concedetecelo, anche un pò imbarazzante, ciò che ha deciso il Tar della Campania. Al riguardo, sarebbe interessante stabilire quale sia la percentuale dei verdetti del Tar Campania ribaltati dal Consiglio di Stato, confrontandola con le percentuali dei ribaltamenti di sentenze dei Tar di tutte le altre regioni. Se dovessimo riuscire a farla, scriveremo una cosa sola, molto chiara e netta: così facendo il Tar Campania presta il fianco a molte cose che si dicono, che costituiscono illazioni, avvalorate purtroppo dalla frequenza dei rovesciamenti totali dei verdetti.

Il Tar aveva accolto il ricorso presentato da uno dei proprietari dei terreni in zona Villa Literno, precisamente da Mario Golia, titolare della ditta Mario Golia, riteniamo impresa individuale, annullando in pratica tutta la procedura attivata dai già citati decreti presidenziali e dalla già citata determina dirigenziale che procedeva all’acquisizione del patrimonio pubblico delle aree, naturalmente aprendo la strada ad un’equa procedura di indennizzo per i proprietari i quali, ripetiamo, dall’intera operazione ecoballe hanno ricavato tanti, ma proprio tanti quattrini, caduti letteralmente dal cielo.

Sempre sintetizzando (il resto lo leggete in calce), diciamo che il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso della Provincia, rappresentata dall’avvocato Antonio Romano, ha ripristinato l’esecutività dei decreti presidenziali e della determina dirigenziale ed evitando in questo modo un effetto a cascata, visto e considerato che tutti gli altri proprietari – messi a riflettere da un’altra iniziativa provinciale, pronta a denunciare tutti per usura – hanno accettato l’esproprio, attendendo l’indennizzo e ritenendosi soddisfatti di tutto quello che hanno incassato per un fitto di terreni che, in caso di utilizzo diverso, non avrebbe reso loro nemmeno la ventesima parte, nemmeno la trentesima forse, della rendita che hanno reso, avendo dall’altra parte un locatario spendaccione, deficiente e allegramente sereno nella consapevolezza che, tanto, i quattrini li ha sempre messi e sempre li avrebbe continuati a mettere Pantalone.

In poche parole e concludiamo, invitandovi per la terza volta a leggere il testo integrale della sentenza, sottolineamo che per il Consiglio di Stato esistono tutti i requisiti per la validazione della procedura attuata dal presidente Magliocca, ai sensi dell’articolo 16, comma 10 dello Statuto il quale prevede che in presenza di ragioni eccezionali di necessità ed urgenza, il Presidente può esercitare i poteri del Consiglio provinciale. Questo articolo 16 comma 10 fa il verso, in pratica, a quello della Costituzione che regola l’istituto del decreto legge: in casi eccezionali, dunque, la Provincia può decretare, attivando un processo esecutivo e sostituendo queste fonti normative alla competenza del Consiglio provinciale, il quale è investito di questo potere dalle previsioni del Tuel 267 del 2000.

Una potestà, quest’ultima, che viene garantita – ecco perché l’abbiamo paragonati ai decreti legge previsti dalla Costituzione – dall’obbligo di ratifica dei decreti presidenziali da parte del Consiglio provinciale con un termine perentorio di 60 giorni (lo stesso dei decreti legge), superato il quale gli effetti esecutivi decadono. Il Consiglio provinciale ha effettivamente ratificato uno dei due decreti che secondo il Consiglio di Stato assorbe anche l’altro. Ma soprattutto, perché questo è il punto centrale della storia, leggerete nella sentenza perché il massimo organo della giustizia amministrativa ritiene sussistenti le ragioni di urgenza e necessarietà che rendono legittima questa procedura straordinaria di intervento amministrativo. Una procedura che trova fondamento nelle previsioni dell’articolo 47 del dpr 327/2001, che in pratica definisce questa particolare e allo stesso modo complessa, originale acquisizione al patrimonio pubblico di aree utilizzate, abbiamo visto, non certo a costo zero, per anni e anni, sine titulo dalle amministrazioni pubbliche.

Vi diciamo solo una cosa e chiudiamo. Una delle ragioni che hanno convinto il Consiglio di Stato sulla validità di questo procedimento di esproprio è rappresentata dai costi abnormi che la Provincia avrebbe dovuto fronteggiare per riconsegnare i terreni ai proprietari, dopo averli bonificati e totalmente ripristinati. Costi che secondo la tesi di Magliocca, sostanzialmente accettata dal Consiglio di Stato, si sarebbero scaricati sulla bolletta dei rifiuti pagata da ogni cittadino casertano. Se invece, come detto, la Regione avesse fatto il suo dovere, rimuovendo tutte le ecoballe con l’utilizzo dei 500 milioni di euro stanziati a suo tempo dal governo, le tesi esposte da Mario Golia avrebbero potuto attecchire un po’ di più anche presso il Consiglio di Stato, dopo essere state, con motivazioni piuttosto raffazzonate, come a questo tribunale capita sovente nei suoi pronunciamenti, accettate dal Tar Campania.

L’esito del Consiglio di Stato determinerà dunque la continuazione di una fase transazione tra la Provincia e i proprietari fondata su un’offerta del 50% dei canoni scelleratamente maturati di fatto nel periodo, ugualmente sine titulo, che va dal 2014 ad oggi. Indubbiamente il risparmio per le casse pubbliche c’è rispetto a quello che avrebbe potuto rappresentare dalla situazione diversa creata dalla prima sentenza del Tar.

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