La Domenica di Don Galeone: “…il credente non è più uno schiavo curvo sotto il giogo della legge, non è più un precettato che deve presentarsi in caserma. È una persona liberata, è un invitato alla festa!”
15 Ottobre 2023 - 08:51
15 ottobre 2023 ✶ XXVIII Domenica TO (A)
Invitati a nozze, ma nella gioia!
Nella parabola di Matteo risalta subito la volontà salvifica universale di Dio: egli chiama tutti, buoni e cattivi; saranno puniti solo quanti rifiutano l’invito. Accettare di entrare nel convito comporta, però, un cambiamento: indossare la veste nuziale, fuori di metafora, occorrono le opere di giustizia. La versione di Matteo è più drammatica e violenta rispetto a quella di Luca. Nel racconto di Matteo è un re che invita, gli invitati uccidono i servi del re, il re distrugge i nemici e le loro città; infine, tra gli invitati, il re ne scopre uno senza la veste nuziale, e anche per lui è “pianto e stridor di denti”. Il racconto di Luca, invece, presenta un Gesù in armonia con la grande famiglia ebraica, a pranzo addirittura in casa di uno dei capi dei farisei. Luca scrive che a invitare non è un re ma un uomo comune, che gli invitati non sono criminali che ammazzano i servi, ma persone civili che si scusano di non poter partecipare al banchetto; manca poi lo sciagurato senza la veste nuziale. Insomma, vi domina l’amore di Dio e la gioia del banchetto.
Una cosa emerge subito da questa parabola: la stupida cattiveria degli uomini. A che cosa li invita, questo re? A una noiosa conferenza? A una cerimonia funebre? No, li invita a nozze! Anche nel parlare comune, “mi inviti a nozze” significa una grande gioia. E poi, non c’è nulla da perdere! Tutto è pronto! Tutto è gratuito! Basta solo venire! Anche a mani vuote! Il re torna alla carica assicurando che sulle mense non ci sono fichi secchi ma “buoi e animali ingrassati”. Pare di vedere gli animali allo spiedo, sui carboni accesi, tra il profumo del grasso bruciato! Da perfetti arroganti (è sempre un re che invita!), gli invitati si rifiutano. Ma non basta! Non solo respingono l’invito al mittente, ma insultano e uccidono gli stessi soldati del re. E a questo punto, via i primi invitati e avanti gli altri, che sono raccolti per le strade e le piazze, tutta gente comune, straccioni, gente di colore, sfaccendati, baraccati, emarginati, clandestini, prostitute, barboni … Ora la sala è piena, ma ecco la sorpresa! Non basta essere invitati per partecipare al banchetto. Fuori di metafora: scartato Israele, basta essere chiamati per entrare nel Regno? No, perché Gesù non ha mai predicato il privilegio, la raccomandazione, la razza superiore, la “limpieza de sangre”. Per fare parte degli eletti, occorre meritarselo. Cioè: occorre indossare la veste nuziale.
Che strano questo re, che abolisce le differenze, le patacche, gli anni di servizio. Noi laureati, noi teologati, noi blasonati, noi religiosi, noi “buoni” al fianco di persone “cattive”! E poi, il re si infuria solo con quel poveretto ritenuto “indegno” perché non indossa l’abito nuziale. In fondo, erano stati tutti invitati all’improvviso, nessuno aveva avuto la possibilità di lavarsi e di cambiarsi. Davvero strano questo re, questo Dio! È un avvertimento: la logica, lo stile, il gusto di Dio è infinitamente diverso dal nostro. Dobbiamo cambiare idee: il credente non è più uno schiavo curvo sotto il giogo della legge, non è più un precettato che deve presentarsi in caserma. È una persona liberata, è un invitato alla festa! Ecco perché quell’invitato viene gettato fuori dalla sala. Credeva di dover partecipare ad un funerale e non a nozze. Quell’infelice è il prototipo di tanti cristiani che si vestono di severità e di gravità, anziché di gioia e di speranza. E noi? Nelle nostre assemblee liturgiche esprimiamo la gioia nel Signore risorto? I cristiani hanno tradito la gioia? Georges Bernanos si chiedeva: “Ma dove diavolo voi cristiani avete nascosto la vostra fede nel Signore risorto?”. BUONA VITA!