Clan dei Casalesi o dei Sanciprianesi? La “bacchetta” di Casapesenna sui 70 mila euro presi da Emilio Martinelli e la “nuova legge” di Oreste Reccia: “Casale ci ha abbandonati, pensiamo ai nostri interessi e alla galera di Rafilotto”
23 Ottobre 2023 - 16:27
La prima parte del provvedimento giudiziaria dell’arresto di Emilio Martinelli è occupata da una trattazione tecnico giuridica riguardante l’utilizzabilità dei termini di carcerazione, nel dispositivo di questa ordinanza e di una precedente, in cui viene spiegato il motivo per cui i quattro super indagati – i 4 di San Marcellino, i fratelli Marco e Remigio Testa, più Gianluca Alemanni e Luigi Annibale, più l’aversano Luciano Carpiniello – non sono stati arrestati assieme al figlio di Enrico Martinelli. Poi c’è una conversazione tra quest’ultimo e Oreste Reccia che riteniamo molto interessante in quanto sviluppa un format del tutto nuovo rispetto a quello tradizionale basato su una cupola intercomunale e basato, invece, sulla totale autonomia della piazza di San Cipriano, rispetto a quelle di Casal di Principe (“Casale ci ha abbandonati“) e Casapesenna
SAN CIPRIANO D’AVERSA (g.g.) – Quella dell’altro giorno firmata da Isabella Iaselli, vera e propria decana del Gip del Tribunale di Napoli, è una mini-ordinanza, applicando questo termine alla quantità delle pagine che la formano e non certo al peso della stessa.
28 pagine rivelatrici di una presenza attiva del clan dei Casalesi nel suo storico territorio, nelle sue storiche roccaforti, con modalità di azione e di organizzazione commisurate, però, all’esiguità degli uomini a disposizione e ad una struttura fortemente ridimensionata, anzi decimata dagli arresti e dalle indagini che hanno anche disarticolato molte relazioni che consentivano a quello divenuto uno dei più potenti clan del mondo di dominare letteralmente quasi tutte le espressioni di relazione sociale, socio-politiche, socio-economiche di tutta la provincia di Caserta, a partire dalle roccaforti dove il gruppo criminale si è generato.
Però, la conversazione tra Oreste Reccia ed Emilio Martinelli, arrestato venerdì ad epilogo di una indagine svolta dalla Squadra Mobile di Caserta, sotto il coordinamento della Dda di Napoli ha un qualcosa da cui promanano elementi di leadership.
Reccia si ritiene un capozona. D’altronde, nel momento in cui esce dal carcere, dopo aver scontato la pena definitiva subita negli anni scorsi, riprende totalmente le redini dell’organizzazione. Lo fa soprattutto nella piazza di San Cipriano. E questo è già un dato interessante, visto che prima dell’ulteriore arresto di Reccia, si ha la sensazione che non esista più una cupola, come quella comandata, nella seconda parte degli anni ’90, fino alla sua cattura del luglio ’98, di Francesco Schiavone Sandokan, il quale dalla morte o presunta morte di Antonio Bardellino, avvenuta nel 1988, in poi, diviene capo di un’organizzazione che negli anni ’90 è già imperniata sulla sua persona, coadiuvata strettamente, seppur per poco tempo, da Francesco Bidognetti detto Cicciotto e’ mezzanotte, catturato a sua volta 7 anni prima di Sandokan, cioè nel ’91, da Mario Iovine, anche lui con vita breve, e fino alla resa dei conti ben nota, anche da Vincenzo De Falco.
Oggi bisogna arrangiarsi, ma questa gente ha emesso il suo primo respiro inalando aria di camorra, ha succhiato latte di camorra, ha mangiato pane e camorra e non conosce altra idea esistenziale che non sia quella di camorra.
Si ha la sensazione, leggendo il citato colloquio intercettato tra Oreste Reccia ed Emilio Martinelli, che anche se ne dovesse rimanere uno solo in libertà, questo continuerebbe a praticare estorsioni e intimidazioni cercando di raccogliere soldi da inviare, in quota parte, in carcere a quelli che vengono definiti “i compagni”, soprattutto a quelle firme “di eccellenza” che alcuni di loro, i più giovani, non hanno neppure conosciuto di persona, ma a cui sono legati da evocazioni quasi leggendarie, come nel caso di Raffaele Caterino detto “Rafilotto” che, al contrario, Oreste Reccia ha conosciuto e su cui questi indirizza i suoi sforzi criminali per raccogliere soldi per alleviare il duro regime carcerario a cui è sottoposto.
Qui emerge la ragione aritmetica differente rispetto al passato. Non esiste più una cupola confederale, non esiste più una cassa comune confederale, che mette insieme i soldi raccolti dalle attività criminali dei gruppi di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Casapesenna.
Ognuna va per sé e le parole che Reccia rivolge al suo compaesano Martinelli sono ampiamente esplicative di questa diversa modalità di ripartizione dei proventi: “Noi dobbiamo pensare solo ai sanciprianesi“.
Il clima della conversazione non è tranquillissimo, ma si capisce anche che Oreste Reccia ed Emilio Martinelli non potranno mai litigare, perché è il padre di Martinelli, cioè il superkiller nonché boss del clan dei Casalesi che a San Cipriano è uno di quelli che ha maggiormente rappresentato la famiglia Schiavone, è un mastice, una colla che nessuna voce e nessun pettegolezzo può mettere in discussione.
“Io a tuo padre gli voglio bene come a un fratello, ma purtroppo ci hanno abbandonato…A te ti considero come un fratellino piccolo“.
Ma chi ha abbandonato Oreste Reccia e i sanciprianesi?
Chi conosce la mappatura relazionale tra esponenti del clan dei Casalesi e le famiglie dominanti, lo capisce facilmente. Come abbiamo scritto prima, Enrico Martinelli è stato a lungo il primo riferimento della famiglia Schiavone, cioè di “quelli di Casal di Principe” per antonomasia.
Per cui “Io voglio bene a tuo padre come un fratello ma “loro (ndd) ci hanno abbandonato“.
Loro sono quelli di Casal di Principe. Per cui se ci hanno lasciati soli – questo è il ragionamento che Reccia porta avanti al cospetto di Emilio Martinelli, erede di questa relazione con la famiglia Schiavone, noi dobbiamo pensare ai detenuti e agli interessi di noi sanciprianesi.
Ma qual era la voce che ha creato un minimo di tensione tra Reccia e Martinelli? Chi conosce bene la storia del clan dei Casalesi sa anche che la cosiddetta “bacchetta” ha rappresentato uno strumento di pari importanza rispetto al piombo.
Quelli che Oreste Reccia definisce durante l’incontro con Martinelli avvenuto nella casa di Massimo Cecoro a San Cipriano, hanno messo in giro la voce che Emilio Martinelli abbia intascato, tenendosela per sé, una tangente di 70mila euro per “una fatica di zio Alfonso”.
Martinelli nega, affermando che si tratta di una vicenda di diversi anni prima. Si ha la sensazione che Oreste Reccia ci tenga a comunicargli che lui viene a sapere tutto, anche se non contesta la valenza criminale del figlio di Enrico Martinelli: “Se te li sei presi – così gli risponde, dimostrando di non aver preso per oro colato la smentita di Martinelli – mi fa solo piacere“.
C’è poi un altro episodio che Reccia vuole chiarire con il suo interlocutore, quella di un’altra estorsione, un’altra fatica a Melito, per la quale 10 (presumibilmente 10 mila euro) furono mandati ai “compagni miei di San Cipriano“, mentre “Pinuccio non ha avuto ancora niente“.
“Ma questa cosa qua è di Pinuccio, non è di Bianco…Emilio questo caffè l’ha fatto Pinuccio“.
Qui ci sono in ballo due Pinuccio, Giuseppe Bianco, che avrebbe preso i soldi, e Pinuccio Diana, vicino ad Oreste Reccia. Questi ricorda a Martinelli che quest’opera sarebbe stata realizzata da Pinuccio Diana e che, quindi, a lui sarebbero dovuti andare questi soldi.
Secondo Martinelli, invece, l’estorsione non sarebbe stata compiuta da Diana, come sostiene Reccia. Il figlio di Emilio Martinelli dice di essere andato a parlare con Reccia “perché ti ho visto (ha visto Reccia) con Pinuccio“. Reccia conferma la circostanza di essere stato il giorno prima a casa di Pinuccio.
E qui Oreste Reccia fornisce un particolare finalizzato a far capire a Martinelli che Pinuccio Diana non sia uno qualsiasi, bensì che recupera denaro anche per Peppinotto Caterino e lo destina probabilmente al sostentamento carcerario di quest’ultimo.
“Quello Pinuccio è per Peppinotto […] te lo dico perché tu lo devi sapere […] io ti considero un fratello piccolino, Pinuccio è Peppinotto, oggi Pinuccio è la moglie di Peppinotto […].
“Noi – ribadisce Reccia – dobbiamo pensare solo ai sanciprianesi”. Come dire, aggiungiamo noi, che Bianco è uomo di Schiavone, ai quali la vostra famiglia è legatissima. Ma è di Casale che, come ho detto prima, ci ha abbandonati.
Dunque, tante parole al miele nei confronti di Oreste Reccia nei confronti di Emilio Martinelli (“ti considero un fratellino, come un figlio“), ma anche la volontà di piegarlo ad una causa ormai asimmetrica rispetto alle storiche alleanze familiari. Una causa finalizzata a creare un cartello pressoché autonomo a San Cipriano rispetto a quelli di Casale e Casapesenna.