Dal sogno della 100 km all’impegno culturale: il Club Vai! modello di sport e cittadinanza
13 Settembre 2025 - 09:00

Un sodalizio sportivo capace di coniugare corsa, cultura e ambiente che ha lasciato un’eredità che vive ancora oggi
SANTA MARIA CAPUA VETERE (Pietro De Biasio) – Come disse Enzo Tortora dopo le note vicissitudine al rientro in televisione: «Dove eravamo rimasti?». Eravamo rimasti a una città intera che correva. Nella prima puntata abbiamo raccontato la nascita del Club «Vai!», dal piccolo gruppo di ragazzi che nel 1976 si trasformò in un fiume umano con la «Sgambettata», fino all’impresa epica della «100 km dei Gladiatori» (rileggi qui). Ma il Club «Vai!» fu molto più di una società sportiva.
Era una famiglia allargata, in cui non esistevano distinzioni tra forti e meno forti, tra giovani e adulti. Tutti avevano un ruolo. E tutti, in qualche modo, contribuirono a scrivere una pagina irripetibile dello sport popolare nella provincia di Caserta. Dopo la grande stagione della «Sgambettata» e della «100 km», il Club ampliò il suo raggio d’azione.
Partecipazioni a marce nazionali ed europee, trasferte memorabili, collaborazioni con associazioni di altre discipline sportive. Nel 1982, proprio da Santa Maria Capua Vetere partì la «X Marcia per l’Europa», nove tappe fino a Strasburgo. Non era solo sport, ma simbolo di un’idea di comunità internazionale che, allora, sembrava pura utopia. Era la conferma di un sodalizio capace di guardare oltre i confini.
Si moltiplicava le iniziative: sezioni dedicate a fotografia e storia locale, collaborazioni con altre realtà sportive, trasferte in giro per l’Italia e all’estero. Ogni volta la corsa diventava pretesto per costruire legami, conoscere culture, promuovere la città. Le cronache de Il Mattino raccontavano con stupore la precisione organizzativa e la capacità di attrarre migliaia di partecipanti, nonostante i pochi mezzi.
Un aspetto fondamentale fu l’impegno civile. I percorsi delle corse erano pensati per valorizzare monumenti e paesaggi dimenticati; i premi trasformati in strumenti di memoria storica; le manifestazioni concluse sempre con la pulizia delle strade. In anni in cui la parola «ecologia» era ancora lontana dal linguaggio comune, il Club «Vai!» la praticava nei fatti.
La sua vera forza, però, stava nella dimensione umana. Non c’erano distinzioni: studenti, artigiani, professionisti, donne e uomini di ogni età. Il Club era una famiglia allargata, un microcosmo che anticipava i moderni modelli di sport inclusivo. Le rivalità sportive si trasformavano in amicizie profonde, e ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, basta una telefonata per ritrovare lo stesso spirito. Oggi celebriamo i numeri, i record, le immagini di migliaia di podisti in piazza Garibaldi. Ma la vera vittoria del Club «Vai!» è stata un’altra: avere unito mondi diversi, studenti e professori, operai e professionisti, ragazzi e famiglie intere, dietro un progetto comune.
Una palestra di cittadinanza attiva che non aveva bisogno di proclami, ma solo di scarpe da corsa e voglia di stare insieme. È giusto dirlo senza giri di parole: le istituzioni non hanno saputo cogliere fino in fondo la portata di quella esperienza. Eventi come la «Sgambettata» e la «100 km dei Gladiatori» avrebbero meritato un sostegno strutturale, perché erano patrimonio della città, non solo del Club.
Eppure, nonostante le occasioni perse, quell’eredità resta. Un’eredità concreta: il Museo Archeologico di via Roberto d’Angiò, nato anche grazie alla mobilitazione del Club, e un patrimonio immateriale che vive ancora in chi corre per le strade della città.