LE OMELIE DI DON FRANCO. Vangelo è liberatore, ma non va imposto

7 Luglio 2019 - 12:07

7 LUGLIO 2019 XIV Domenica del T.O. (C)

                                                     IL VANGELO È LIBERATORE MA NON PUÒ ESSERE IMPOSTO                                                             a cura del gruppo biblico ebraico-cristiano

השרשים הקדושים

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Prima lettura: Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità (Is 66, 10). Seconda lettura: Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo (Gal 6, 14). Terza lettura: La vostra pace scenderà su lui (Lc 10, 1).

1) Gesù ha da poco iniziato quel lungo viaggio verso Gerusalemme, dove si compirà il suo destino di morte e risurrezione. Inizia qui quel movimento grandioso di espansione che avrà la sua ufficialità nel giorno di Pentecoste (Atti,

2), e che sarà poi continuato dalla chiesa missionaria e cattolica. Una prima attenzione va data ai numeri 72 e 2, a motivo del loro valore simbolico in Oriente.

> Il Signore designò altri 72 discepoli. Sono chiamati in causa non i 12 apostoli ma i 72 discepoli, per dire la chiesa intera. E’ già evidente la distinzione tra i Dodici apostoli e questa più vasta assemblea di discepoli, 72, tante quante erano le nazioni della terra, secondo la tradizione giudaica (Genesi, 10).

> Li inviò a due a due. Nella Bibbia ritorna sovente questo elemento numerico della coppia. Giovanni invierà due discepoli dal Signore, Gesù incaricherà due discepoli a preparare il suo ingresso in Gerusalemme, due saranno gli angeli che annunziano alle donne la risurrezione. Il significato è chiaro: nella doppia testimonianza c’è garanzia di verità come stabiliva la legge del Deuteronomio (17, 16). Il cristianesimo non è un’esperienza intimistica, ma una testimonianza fondata su un evento; comporta certamente rischio e fiducia, ma non è mai cieco abbandono; la fede è ragionevole anche se non è razionale. Cosa devono fare i discepoli lo indica lo stesso Gesù: Curate i malati e dite: E’ vicino il regno di Dio. Appaiono qui le due dimensioni fondamentali del cristianesimo: quella orizzontale (il servizio fraterno) e quella verticale (annunciare il Vangelo). Questo è il vero ritratto della chiesa così come la vuole il Signore; in questa pagina dei 72 discepoli, la chiesa trova le sue radici, per essere fedele a Dio e agli uomini.

2) Le navi che un giorno salparono cariche di missionari oggi ritornano nei nostri porti con nuovi missionari di colore. Perché il Primo Mondo è diventato ultimo nella fede. La terra di missione non è più oltremare, è qui, fra noi, uomini e donne dell’occidente, che abbiamo smarrito anche l’alfabeto del sacro. Terra di missione sono i condomini delle metropoli dove si respirano drammatiche povertà e invincibili indifferenze; sono i quartieri a rischio dove i bambini crescono in fretta e molto male, e i giovani sono già vecchi di disperazione e senza futuro; sono le tante famiglie, dove non c’è più amore e tenerezza, dove si dà tutto ai figli in beni materiali, ma non si è capaci di dialogo, dove si ha paura di interrogarsi sulla vera vita. In queste nostre contrade, l’uomo vive quasi dimenticato, sepolto sotto cumuli di compromessi, tradimenti, bugie, miti falsi e illusioni pericolose. Le parole serie, i messaggi educativi scivolano via nel grande fiume della chiacchiera universale. Testimoniare! E’ questa la grande scommessa dell’occidente, che duemila anni di cristianesimo non sono riusciti a convertire.

3) Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Molti cattolici considerano il mondo come una immensa regione oscura in cui mandare i missionari a diffondere la luce del Vangelo. Da questo mondo, avvolto nelle tenebre del peccato e della morte, emerge ai loro occhi, bianca vetta luminosa, la chiesa, alla quale tutti devono guarda­re, se vogliono salvarsi, perché nulla salus extra ecclesiam. Il segno dell’amore di Dio nel mondo sarebbe la chiesa e solo la chiesa. Questa concezione teologica provoca nei credenti forme di narcisismo collettivo, di superbia storica, di rifiuto dello spirito eucaristico, di aggressività polimorfa. Da qui intolleranza, fanati­smo, guerre sante, inquisizione, ghetto, scomuniche, censure, elenchi di libri proibiti, rifiuto del diverso … Esiste un altro modo di concepire la salvezza del mondo, che a noi pare più evangelico: Dio ama tanto il mondo intero da mandare suo Figlio, e illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Il rapporto fra Dio e uomo è immediato; Dio costruisce nel mondo il suo regno mediante lo Spirito, che già vagava sugli abissi del caos primordiale, e che oggi vaga sulla storia degli uomini. Nessun potere, nessuna istituzione, nessuna sapienza lo può né prevedere né monopo­lizzare. Da questa premessa infrangibile dell’amore e della paternità universale di Dio verso tutte le creature, la chiesa emerge come il luogo in cui si vive con maggiore consapevolezza questa offerta amorosa di Dio. Allora, i cristiani non devono considerarsi dei salvatori privilegiati, dei portatori di verità: la verità riempie la terra, come lo Spirito, e il loro atteggiamento non è di conquista ma di ascolto. La profezia esplode fuori dalle planimetrie controllate dall’autorità ecclesiastica. Dove c’è un uomo, ivi è presente lo Spirito. Il cristiano è uno che, amato e perdonato da Dio, si impegna ad amare e perdonare i fratelli; servito e salvato da Dio, si dedica a servire e salvare i fratelli, tutti, senza distinzione di privilegi o culture o credo politico o fede religiosa diversa. La vera misura dell’amore è amare senza misura. Come Dio: se dovesse far piovere solo sui giusti, vivremmo tutti nel deserto e se dovesse illuminare solo i buoni, resteremmo tutti nelle tenebre. Questa visione non è un cedimento allo scetticismo o all’irenismo.

4) Il vero punto di riferimento non è la chiesa e nessuna istituzione umana, ma il regno di Dio. Noi invochiamo l’avvento del regno ogni volta che preghiamo con le parole di Gesù. E nessuno conosce il perimetro di questo regno che viene. Esso è un mistero: Alcuni che sono dentro, in realtà sono fuori; invece sono vicino altri, che sembrano lontano (s. Agostino). Gli operatori di questo regno sono tutti quegli uomini e donne di buona volontà che, in silenziosa operosità, costruiscono la civiltà dell’amore. Questa società aperta rompe in noi ogni orgoglio cattolico, perché ritroviamo l’umiltà evangelica, la solidarietà con gli uomini; di­ventiamo, secondo la bella espressione di Origene, amici del genere umano. Gli uomini non sono divisibili in due gruppi, dentro o fuori, buoni o cattivi, eletti o dannati, credenti o atei. Quanta gente non è in grazia, ma è impregnata e minacciata dalla grazia, percorsa dall’immenso e pazien­te amore di Dio: Nel più freddo avaro, nel cuore della prostituta, nel più disonesto ubriaco c’è un’anima immortale santamente occupata a respirare e che, esclusa di giorno, pratica l’adorazione notturna (P. Claudel). Nessun monopolio di Dio, allora. Lo Spirito soffia dove e come vuole: Dio può far nascere i suoi figli dalle pietre: la sua voce può venire dagli strumenti meno adatti. Anche Cristo assume le strutture e le istituzioni senza lasciarsi asservire: le organizzazioni (il sabato, la legge, la chiesa, i sacramenti, il culto, il diritto canonico) sono fatte per l’uomo. E’ una tentazione ricorrente, quella di sequestrare Dio a proprio uso e consumo, rinchiudendolo nelle proprie certezze teologi­che, nelle proprie istituzioni gerarchiche, dimenticando che Dio sfug­ge ad ogni forma di provincialismo ecclesiastico, e sorride delle nostre piccole astuzie. Soprattutto i preti corrono questo rischio, perché le loro opere si possono presentare in termini oggettivi come la realizzazione fedele del piano di Dio, e invece sono a volte una maschera che contrabbanda per divino quello che è umano, per volontà di Dio quello che è ambizione umana. Una crociata contro gli infedeli al grido di Dio lo vuole è di sicuro una iniziativa che Dio non vuole!

5) In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Nel nostro linguaggio ascetico e razionale, la parola “pace” ha perduto di contenuto, invece nel mondo biblico essa gronda di tutta la pienezza terrena. Non è una pace spirituale, non è una pace materiale, ma è una pace completa, di spirito e di materia, di anima e di corpo, di cielo e di terra. Questi 72 discepoli non vanno a portare delle verità astratte e asettiche, ma vanno a risvegliare nell’uomo la speranza e la pace. Se noi andiamo in una casa con una verità, subito rischiamo di dividerla tra quanti l’accettano e quanti la rifiutano. Se il nostro approccio con l’uomo è di tipo proselitistico, di conquista delle anime, noi anche con le migliori intenzioni portiamo la lotta. Non che non esista nell’annuncio di pace un contenuto di verità, però la verità va costruita nella pace. Dobbiamo stabilire un rapporto di autenticità con gli altri, e comportarci da uomini di pace. Non domanderemo mai se gli altri sono con noi o contro di noi, se credono o non credono. Dobbiamo imparare a sedere alla mensa della pace, condividendo il pane degli altri. Dobbiamo ancora scendere molti gradini dal nostro piedistallo, per riprendere questo filo semplice del viaggio evangelico nel mondo. Che è stato, purtroppo, tante volte una crociata sanguinaria, una forzata acculturazione, un’orgogliosa propaganda.

6) Annunciare la sua pace significa abbattere tutti i muri di separazione.

Anzitutto il muro del potere. Gesù è stato sempre dalla parte di quanti sono vittime del potere. Non solo ha parlato a loro, è stato con loro, è una vittima del potere. Cosa che non capita a noi che denunciamo il potere comodamente seduti in poltrona. La nostra, spesso è un’accademia domenicale. Gesù ha parlato stando in mezzo alle vittime, contro il potere, però facendo mettere la spada nel fodero. E questa è già una prima indicazione.                                                                                                                                                                    L’altro ostacolo che separa è il muro del sapere. Questi discepoli non erano laureati nelle università pontificie o diplomati negli istituti di scienze religiose. Era gente semplice, diceva verità semplici, e i semplici di cuore comprendevano bene. Un esempio, da cui la chiesa si è talvolta allontanata, facendo dei predicatori gente di grande cultura. E proprio per questo esposta a diventare complice del potere. Perché la cultura è potere! I discepoli dovevano solo dire due cose: Pace a voi. Il regno di Dio vi è vicino! Tutto è diverso quando i moderni predicatori sono ricevuti dalle autorità, vanno non dai malati ma dai benestanti, non dagli emarginati ma dai contabili, ai quali fa anche comodo avere dalla propria parte un ministro della chiesa!                                                                         L’ultima barriera è il muro dell’avere. Questi 72 discepoli vanno senza borsa, senza bisaccia, senza sandali! La pace non passa dall’avere, non mette radici tra i ricchi. La storia è piena di trattati di pace, ma la pace di cui parlano i libri è sempre tra potenti, tra papi e imperatori, tra politici e diplomatici. Che poi è un modo diverso di continuare la guerra. E tutto, guerra e pace, avviene sulla testa di quanti non hanno nessun potere! Fare la rivoluzione per il potere o il sapere non è ancora una vera rivoluzione. La vera rivoluzione è quella in cui gli uomini vorranno affermarsi per diventare liberi e solidali, non per diventare potenti e ricchi. E i discepoli di Cristo? Sapranno mettersi di fronte al mondo del potere, della cultura, della ricchezza per difendere quanti non hanno potere, cultura, ricchezza? Sapranno entrare nelle case dell’uomo e annunciare la pace? La risposta è nella nostra libertà!

BUONA VITA!