IL DELITTO DI KATIA TONDI. “Ha ammazzato a sangue freddo la madre di suo figlio davanti al neonato”. Punto per punto, ecco perché Lavoretano è finito già in carcere

18 Gennaio 2020 - 18:46

SANTA MARIA CAPUA VETERE (g.g.) – Se “il sangue caldo” ha potuto spingere Emilio Lavoretano ad aggredire, in casa, la moglie Katia Tondi, davanti al figlio di pochi mesi, è stato sicuramente “il sangue freddo” a trasformare quella aggressione in un assassinio.

La sequenza di quei 15, interminabili secondi, Lavoretano ha tenuto, secondo la motivazione a detta della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere come base principale della condanna a 27 anni di reclusione del meccanico di Santa Maria Capua Vetere, rappresentano la prova che si è trattato di un omicidio volontario. E tutto ciò che è successo nei minuti successivi è, al di là di ogni ragionevole dubbio, sempre secondo la Corte di Assise, il segno identificativo di un’azione che non è stata solo un moto di impeto.

Lavoretano, aiutato dai suoi familiari, ha pulito il luogo del delitto, ha fatto in modo che quell’omicidio apparisse l’epilogo tragico di un tentativo di rapina, consumato da una gang di extracomunitari, si è mosso poi per costruirsi un alibi. In poche parole, quello che i giudici di primo grado hanno definito un assassinio ha tenuto i nervi saldi, dimostrando di essersi perfettamente reso conto del gravissimo delitto compiuto.

Uno così è pericoloso anche oggi. Può reiterare il reato, cioè potrebbe compiere atti di violenza nei confronti di chi, nel processo, ha testimoniato in maniera a lui sfavorevole. O anche nei confronti dei familiari di Katia Tondi rispetto ai quali è rimasto intatto il livello di conflittualità, così come è emerso chiaramente nelle fasi dibattimentali.

Essendosi dimostrata la famiglia di Lavoretano compattamente al suo fianco dopo l’omicidio compiuto, non può essere considerato impossibile una fuga all’estero, sostenuta economicamente dai congiunti, allo scopo di evitare l’eventuale esecuzione della pena, se e quando questa diventerà, per l’appunto, esecutiva, dopo un verdetto definitivo della corte di Cassazione.

Pericolosità sociale, dunque, reiterazione del reato, pericolo di fuga. L’esistenza di questi requisiti, che la corte di Assise spiega dettagliatamente nel documento che pubblichiamo in calce a questo articolo, ha reso necessaria l’emissione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere, ai danni di Lavoretano che da qualche giorno è recluso nel penitenziario di San Tammaro-Santa Maria Capua Vetere. Neppure un provvedimento meno afflittivo, cioè i domiciliari, è sufficiente, secondo i giudici della corte a mettere al sicuro altre persone e il principio della certezza della pena. L’incolumità di altre persone è messa in discussione dall’attitudine dimostrata alla reiterazione del reato, mentre il principio dell’esecuzione della pena è posta in discussione dalla possibilità di una fuga fuori dai confini nazionali.

Va segnalato, infine, un ulteriore successo dell’avvocato di parte civile, Gianluca Giordano, che ha difeso le ragioni della famiglia di Katia Tondi: la corte di Assise, infatti, ha accolto la richiesta del legale e ha sottoposto a sequestro conservativo la casa di Emilio Lavoretano, a garanzia del pagamento del risarcimento danni in favore delle parti civili.

 

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