CAMORRA, CEMENTO e PENTITI per finta. Ecco perchè la Corte di Appello non si è fatta impressionare dalla rinuncia alla prescrizione della moglie di Luigi Cassandra, condannata di nuovo. Michele Zagaria e la qualificazione dell’ex articolo 7
14 Ottobre 2022 - 14:00
Prosegue la nostra lettura e il nostro approfondimento sulle motivazioni della sentenza di Appello riguardante le vicende connesse al famigerato super complesso turistico Night & Day di Trentola
TRENTOLA DUCENTA – (g.g.) Uno degli aspetti più interessanti della sentenza, emessa dalla corte di appello di Napoli lo scorso 4 maggio, le cui motivazioni sono diventate a noi note qualche mese dopo, è rappresentato dal tentativo di giocare la carta emotiva della rinuncia alla prescrizione da parte di Marisa Costanzo, moglie di Luigi Cassandra. E’ chiaro che se in un contesto patentemente criminale, com’è indubbiamente quello in cui si è sviluppata tutta la vicenda del mega centro turistico trentolese Night&Day, che ha coinvolto direttamente uno dei capi indiscussi del clan dei casalesi cioè Michele Zagaria e il suo stretto sodale sulla piazza di Trentola che ricordiamo Michele Zagaria ha controllato complessivamente come vicere, come capozona per moltissimi anni, un coimputato, in questo caso Marisa Costanzo, come detto, moglie di Luigi Cassandra, mantiene il punto pretendendo un verdetto di assoluzione piena e rinunciando dunque alla comodità pratica di un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, uno può convincersi che le ragioni esposte dalla persona in questione, cioè dalla Costanzo, possano avere un fondamento, visto e considerato peraltro, che la condanna di primo grado a lei comminata, non era certo molto pesante, un anno e 4 mesi di reclusione. Rinunciare alla prescrizione vuol dire in apparenza difendere un principio, significa rivendicare una cifra di moralità che il verdetto di colpevolezza ha messo in discussione e che la prescrizione non cancellerebbe in termini di cifra di reputazione.
I giudici della Corte di Appello di Napoli, però, non hanno fatto una piega e di fronte alla decisione, messa nero su bianco in una memoria difensiva presentata da Marisa Costanzo, hanno confermato la sua condanna che ora, a meno di ripensamenti dell’imputata, potrebbe anche diventare definitiva quando la corte di Cassazione, presumibilmente adita dalla donna, emetterà il suo verdetto, salvo la possibilità di ripensare alla decisione presa e dunque di utilizzare i termini della prescrizione ampiamente scaduti per il reato contestato a Marisa Costanzo di intestazione fittizia di beni provento di attività criminali, ai sensi dell’articolo 512 bis del codice penale. Un anno e 4 mesi solamente in quanto, già in primo grado la Costanzo è stata invece assolta dall’accusa di aver favorito, compiendo il reato di aver favorito il clan dei casalesi, in pratica di aver integrato con il suo comportamento il reato oggi regolato dall’articolo 416 bis comma 1 ma conosciuta dagli addetti ai lavori come articolo 7 del legge 203 del 12 luglio 1991, frutto della conversione da parte del Parlamento del decreto legge 152 del 13 maggio dello stesso anno. Insomma la Corte di Appello non si è fatta incantare dalla mossa di Marisa Costanzo che in apparenza, ripetiamo, ha un connotato morale più che materiale.
Condanna confermata, dunque, in quanto l’intestazione fittizia di beni provenienti da attività criminali esiste in quanto esiste la consapevolezza, da parte della moglie di Luigi Cassandra, dell’origine di tutto quel danaro. Era lei l’amministratore di società che in un anno, improvvisamente da un anno all’altro, diventavano in grado di movimentare somme cospicue. La corte di appello fa l’esempio di uno di questi conti dai quali uscirono 321mila 34 euro ed entrarono 340mila 942 euro.
Questo non avvenne con gradualità ma dentro ad una vicenda che Luigi Cassandra gestì in funzione della sua consapevolezza, della sua assunzione cognitiva delle indagini che lo riguardavano e quindi del rischio forte che quel centro turistico potesse diventare oggetto di sequestro, da parte dell’autorità giudiziaria, con finalità di confisca , in quanto frutto di attività illecite, di capitali inseriti direttamente nell’affare da Michele Zagaria, socio di fatto di Cassandra. Per cui, Marisa Costanzo entra da amministratrice per effetto di questo timore che pervade i pensieri del marito. Timori che di cui non può non conoscere il motivo, dato che la Costanzo sa bene chi siano i partecipanti alle riunioni che avvengono all’interno del Night & Day, dato che la Costanzo parla direttamente della relazione tra il marito e Michele Zagaria, ad Angela Barone, moglie di Giuseppe Sacchettino di Casavatore, divenuto uno degli elementi di spicco del cartello el narcotraffico di Secondigliano, in alleanza cin alleanza con gli Scissionisti. Angela Barone è divenuta una collaboratrice di giustizia e ha raccontato nel dettaglio di questo colloquio. Nel dettaglio, la corte d’appello scrive: “dichiarava (Angela Barone, n.d.d.) di aver udito più volte Costanzo Marisa e i familiari di Cassandra dire di dover consegnare parte dei proventi del complesso turistico Night & Day alla Zagaria e di aver udito lo stesso Cassandra riferire che Zagaria il finanziere del complesso”.
Queste le motivazioni più importanti, addotte dalla Corte di Appello per respingere il ricorso presentato da Marisa Costanzo attraverso i suoi difensori, per trasformare in assoluzione la condanna di primo grado a un anno e 4 mesi.
Non sono le uniche ragioni. Per le altre vi rimandiamo alla lettura dello stralcio specifico delle motivazioni delle sentenza che pubblichiamo in calce.
L’altro passaggio rapidissimo lo dedichiamo al motivo, sempre molto interessante dal punto di vista giuridico, della qualificazione che negli anni è stata sempre un pò complicata, dell’aggravante di aver favorito un clan mafioso, camorristico, attraverso la commissione di un reato strumentale ma anche di un reato fine. La corte di appello si pronuncia i riscontro al ricorso presentato dai difensori di Michele Zagaria e da quelli di Cassandra. I giudici concentrano le proprie attenzioni soprattutto sulle tesi dei difensori del’ex super latitante. Noi vi riassumiamo il concetto, invitandovi ancora una volta quelli che ne intendono approfondire le ragioni, indubbiamente molto interessanti rispetto ad una situazione, andatasi consolidando anno per anno attraverso i pronunciamenti dei giudici della legittimità, cioè quelli della Corte di Cassazione, nel secondo stralcio che pubblichiamo in calce.
In parole povere, se è vero che di per sè avere un comportamento penalmente rilevante che favorisce gli interessi di un camorrista non implica necessariamente la contestazione dell’aggravante del 416 bis comma 1, già articolo 7, importantissima ma non solo per l’entità della pena, ma anche perchè neutralizza i termini di prescrizione, è anche vero che questa valutazione viene determinata e trova come suo punto di discrimine nella cifra criminale del camorrista favorito, del camorrista che incassa soldi quale provento di reimpiego di danaro sporco (648 bis e ter) grazie all’aiuto di prestanomi (articolo 512 bis).
E’ chiaro che se il personaggio in questione si chiama Michele Zagaria, riconosciuto quale indiscutibile capo di una delle tre fazioni, forse quella economicamente più rilevante, del clan dei casalesi, è chiaro che stiamo parlando di una persona, ma soprattutto di un capo che rappresenta, difende e opera per gli interessi di tutto il clan casalesi o comunque di una buona parte di esso. Va da sè che questo status implica la contestazione dell’aggravante allo stesso Zagaria ma anche a Luigi Cassandra, il quale nel momento in cui è diventato collaboratore di giustizia ha ammesso di aver fatto parte del clan dei casalesi, riportando al riguardo anche una condanna in un altro processo e dunque di aver operato a stretto contatto di gomito con Michele Zagaria, avendo piena consapevolezza della cifra criminale di quest’ultimo, capace di gestire, non allontanandosi mai dalla sua zona di influenza, ben 15 anni di latitanza che si possono fare solo se tutta un’organizzazione mette a disposizione mezzi economici e logistici per sostenerla.
QUI SOTTO LA SECONDA PARTE DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA