CAMORRA E APPALTI. Il genero di Dante Apicella deve restare agli arresti domiciliari. I soldi per avviare la società e l’intromissione del suocero

14 Dicembre 2022 - 10:45

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Luigi Scalzone, avverso all’ordinanza del tribunale della libertà di Napoli

CASAL DI PRINCIPE – Il genero di Dante Apicella deve restare agli arresti domiciliari.

Lo ha deciso la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso dell’avvocato difensore di Luigi Scalzone, ritenuto uno degli imprenditori inseriti in quel meccanismo di appalti pubblici pilotati da Dante Apicella, suocero di Scalzone, scoperto dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli nell’inchiesta legata a quella sui fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone, divenuti negli anni gli imprenditori potentissimi, secondo la Dda grazie al contributo di Francesco Sandokan Schiavone, e capace di dominare gli appalti di Rete Ferroviaria Italiana.

Luigi Scalzone, trentacinquenne, accusato di trasferimento fraudolento di valori, ovvero intestazione fittizia, riciclaggio di denaro e auto riciclaggio, reati aggravati dal metodo mafioso, il 25 maggio scorso aveva ricevuto dal tribunale del Riesame di Napoli la sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Il legale di Scalzone ha cercato di portare in Cassazione un ricorso che potesse rende libero il suo assistito.

Tra le motivazioni segnalate dall’avvocato secondo cui il proprietario della società White Stone avrebbe meritato la cancellazione della misura cautelare agli arresti domiciliari, si segnalano, ad esempio, il presunto versamento compiuto da Apicella di oltre duemila euro per costituire l’impresa non

sarebbe atto a dimostrare che Scalzone non avesse risorse per avviare la ditta. Una situazione che renderebbe illogico l’assunto dei PM dell’antimafia secondo cui Apicella fosse il gestore di fatto dell’impresa.

Inoltre, sempre secondo quanto emerge dal ricorso, Scalzone utilizzava il nome del suocero solo per farsi conoscere e non aveva un rapporto diretto con il clan dei Casalesi, i cui collaboratori di giustizia non avrebbero riferito il nome dello stesso Scalzone.

Ma per i giudici dell’ultima istanza i motivi inseriti in questo ricorso non sono valsi la modifica della misura cautelare o l’annullamento della sentenza del tribunale del riesame di Napoli.

Tra i motivi che fondano la decisione della Corte che potete leggere per intero nel documento in calce all’articolo, i giudici, riprendendo parte della sentenza del Riesame, sottolineano un passaggio in cui si mette nero su bianco che, de pure è vero che la cifra per avviare un’impresa (2.500 euro) fosse bassa, la situazione economica di Scalzone non gli poteva permettere di tenere in vita la White Stone.

Inoltre, dalle intercettazioni emergerebbe l’ingerenza di Dante Apicella nell’impresa del genere e il fatto che quest’ultimo sapesse bene la provenienza illecita del denaro riciclato nella società.

Bisogna dire che solo pochi giorni fa è emerso come, rispondendo ad alcune domande fatte dai pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia durante due interrogatori, Dante Apicella ha fatto proprio il nome di Luigi Scalzone (LEGGI QUI) tra imprenditori coinvolti nelle commesse pubbliche.

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