CAMORRA E MAZZETTE. L’ingegnere casertano Claudio Valentino, guardiano del clan all’interno dell’Ufficio tecnico. Una prima TANGENTE di 10MILA EURO

10 Giugno 2020 - 11:03

Particolarmente interessante è la delineazione dei capi di accusa provvisori nei confronti del professionista che i guai seri li aveva già sfiorati quando era in servizio ad Orta di Atella e a Villa Literno

 

CASAGIOVE –  (Gianluigi Guarino) Claudio Valentino ha sfiorato quello che poi è capitato ieri, cioè l’arresto, almeno in un paio di occasioni. Ad esempio, quando era dirigente dell’Utc nell’altro comune, tutt’altro che raccomandabile, di Orta di Atella. E ancora, quando reggeva la stessa mansione in un terzo comune, forse ancora meno raccomandabile dei primi due, cioè a Villa Literno, luogo dove oggi un sindaco Nicola Tamburrino arrestato 6 mesi fa, che si è visto respingere l’istanza di liberazione dai domiciliari dal tribunale del Riesame, continua sfrontatamente, non dimettendosi, a sfidare la legge, che lo ha arrestato per reati consumati nell’esercizio della sua funzione di primo cittadino.

Il tutto per consentire, con lo schermo della sospensione prefettizia, mero atto dovuto, all’amministrazione comunale da lui creata, di continuare a svolgere la propria attività.

A tirar troppo la corda, come si suol dire, questa si spezza. E la corda di Claudio Valentino si è spezzata di netto, perchè stando a ciò che leggiamo nei capi di imputazione provvisori dell’ordinanza che ha colpito ieri mattina, i tre clan della camorra di Sant’Antimo, cioè Puca, Verde e Ranucci (CLIKKA QUI PER LEGGERE),

Valentino sta “veramente inguaiato”. Non sempre capita, infatti, che la funzione inquirente, cioè una procura della repubblica, nel caso di specie, quella di Napoli, nella sua diramazione antimafia della dda, produca un’accusa singolarmente rivolta ad un indagato per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. 

In altre ordinanze si incrociano, solitamente, una serie di episodi dentro ai quali il magistrato dell’accusa coglie comportamenti tali da associare alla contestazione specifica di corruzione, concussione, abuso d’ufficio eccetera, una cornice comportamentale che gli fa ritenere sussistente il concorso esterno, reato controverso, frutto sicuramente di una legislazione emergenziale, che fa arricciare il naso ai garantisti.

Nel caso di Claudio Valentino, oltre alla contestazione di più fatti specifici, ce n’è, dunque, un’altra di carattere generale, contenuta nel capo 20 il cui testo pubblichiamo integralmente in calce a questo articolo e nel quale viene delineata la figura di una persona che consapevolmente svolge un ruolo, che, badate bene, al di la degli episodi specifici, anche al di fuori di questi, è consapevolmente finalizzato a fare in modo che il clan Puca, cioè il gruppo criminale più importante di Sant’Antimo, governi ogni cosa nell’ufficio tecnico, vero  fulcro dell’attività amministrativa del comune.

Questa funzione, questo ruolo di Claudio Valentino, va inserito, per comprenderlo bene, in quella che è una peculiarità di questa ordinanza, da noi colta in forza dell’esperienza che ci siamo fatti negli anni, leggendo decine di migliaia di pagine di atti giudiziari su reati di camorra. Per capirla la peculiarità, seguite un attimo il ragionamento: i clan camorristici operanti in Campania hanno, chi più chi meno, sempre badato bene a costruirsi dei riferimenti all’interno dei comuni in cui operavano le ditte dei loro prestanome o le ditte di chi pagava il pizzo.

Ma lo hanno fatto sempre in maniera più discreta arruolando qualche impiegato più o meno insospettabile all’esterno, ma di cui l’intera macchina comunale conosceva ruolo e funzioni, e aggiungendo, a questo lavoro sotto traccia, gli strumenti tipici della violenza criminale, magari erogando qualche mirato atto di intimidazione. La camorra di Sant’Antimo, e questa non è una buona notizia anche per la posizione della famiglia Cesaro, entra direttamente nel comune e nella funzione di indirizzo politico dello stesso. Nello Cappuccio e forse ancor di più Francesco Di Lorenzo sono eletti in consiglio comunale in nome e per conto dei Puca. E non sono colletti bianchi, ma gente che partecipa ai summit di camorra, assumendo ruoli operativi così come si legge dal primo capo di imputazione provvisorio di questa ordinanza, il numero uno, quello fondamentale in cui viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Di sera Di Lorenzo apre la sua attività commerciale, trasformandola in una sala delle riunioni, a cui lui partecipa a pieno titolo, della cupola dei Puca; di mattina, invece, va al comune entrandovi dalla porta principale, cioè quella aperta al cospetto dei rappresentanti del popolo.

Ritornando a Valentino e chiudendo il ragionamento sulla originalità del rapporto tra camorra, politica e burocrazie comunali in quel di Sant’Antimo, questi trova quotidianamente la compagnia fisica, materiale, degli esponenti del clan Puca che entrano ed escono dalla sua stanza, senza che questo rappresenti un fatto sospetto in quanto tale. Insomma, esiste un elemento di sistematicità che attribuisce all’ingegnere di Casagiove, un ruolo articolato, non episodico. Non siamo di fronte alla classica occasione o alle classiche occasioni che fanno l’uomo ladro, ma ad un soggetto che conosce bene le leggi della camorra, che ha deciso di utilizzarle a proprio vantaggio e che assume una parte importante nei processi di costruzione tecnica, posta al servizio degli obiettivi economico-finanziari del clan. 

Oltre al capo 20, pubblichiamo anche il numero 21, che descrive il primo episodio specifico in cui questo concorso esterno, associandosi al reato di corruzione, definisce una partita tipica degli usi e dei costumi in vigore nell’Utc di Sant’Antimo: l’imprenditore Giuseppe Chianese, oggi 69enne, anche lui indagato in questa ordinanza per gli stessi reati contestati nel citato capo 21 a Claudio Valentino, a Lorenzo Puca, figlio di Pasquale Puca ‘o minorenne, fondatore dell’omonimo clan, a Claudio Lamino, divenuto poi collaboratore di giustizia, a Vincenzo D’Aponte, a Luigi Puca del 62 e ad Antimo Puca, chiede una concessione edilizia per costruire un complesso residenziale, nell’ordinanza è scritto “civili abitazioni in via Dante Alighieri a Sant’Antimo.

Lo strumento legislativo teoricamente valido è quello del Piano Casa, su cui già ci siamo pronunciati in passato e rispetto al quale tutti gli speculatori di questa nostra martoriata terra, sembravano, come si suol dire, “aver preso il terno”, con i Cesaro letteralmente scatenati su ogni fronte (CLIKKA QUI PER LEGGERE IL NOSTRO ARTICOLO SULLA QUESTIONE DELL’AREA EX CIRIO DI TORRE ANNUNZIATA) per fare in modo di muovere l’economia, o meglio, l’economia loro e dei loro amici.

Non sappiamo e non sapremo mai se Chianese avesse o meno il diritto di ottenere quel permesso a costruire. E neppure è importante stabilirlo. Perchè nel comune di Sant’Antimo le cose funzionavano diversamente: per ottenere una concessione, bisognava pagare a meno che non si trattasse di permessi riguardanti direttamente le imprese controllate dai Puca o nelle quali il clan fondato da Pasquale ‘o minorenne, era socio di fatto, insieme alla famiglia Cesaro. I soldi, l’imprenditore Chianese non li dà direttamente a Claudio Valentino ma li consegna a Claudio Lamino, uomo del clan, le cui dichiarazioni da pentito probabilmente hanno contribuito alla costruzione di un quadro indiziario efficace a carico degli indagati. La somma complessiva versata da Chianese è di 25mila euro, ampiamente scontata rispetto ad una prima richiesta di 50mila euro. Di questi 25mila euro, ben 10mila finiscono nelle tasche di Claudio Valentino con consegna curata direttamente dal citato Lamino.

Alla prossima puntata.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA