CAMORRA, il concorso esterno ai cugini Francesco e Giuseppe Verazzo: il de relato di Panaro e il mezzo de relato di Nicola Schiavone

7 Marzo 2021 - 19:22

Salta fuori il nome del ragioniere Pasquale Diana della Cobit Sud che avrebbe ospitato una riunione tra il figlio di Sandokan e i due cugini di Casal di Principe trapiantati a Capua

 

CAPUA  – (g.g.) L’ulteriore analisi che riteniamo di dover fare sull’ordinanza recente che ha portato all’arresto, tra gli altri, dei cugini imprenditori Francesco e Giuseppe Verazzo, originari di Casal di Principe ma da tantissimo tempo trapiantati a Capua, non può che partire dalla risultante della decisione assunta un paio di giorni fa dal tribunale del Riesame che ha rigettato il ricorso presentato dagli avvocati difensori dei due cugini per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo camorristico.

In questo pronunciamento del Riesame, però, non si può sottovalutare il fatto che l’unica struttura concreta attraverso cui l’accusa determinava un riscontro pratico, materiale della presunta collusione criminale tra i cugini Verazzo e chi abitava gli uffici del comune di Capua, si è sgretolata visto e considerato che per l’accusa di turbativa d’asta, l’ex dirigente dell’ufficio tecnico Francesco Greco si è visto revocare la misura dell’obbligo di firma, mentre per l’interdizione per un anno dai pubblici uffici, si dovrà attendere l’esito di un secondo ricorso, visto che il primo, collegato, anzi fuso nell’impugnazione per l’obbligo di firma, è stato considerato inammissibile per un piccolo o grande errore (questione di punti di vista) compiuto dal difensore dei Verazzo, l’avvocato Mauro Iodice.

Non è improbabile, in conseguenza di quello che è successo per l’obbligo di firma che anche la misura interdittiva venga revocata. Per cui, sull’inchiesta si va a determinare un’impronta che la connota in maniera ben precisa: il concorso esterno è riconosciuto ma non si collega direttamente a fatti specifici, cioè a quelle gare assunte come punto di riferimento dalla Dda, quasi ad esemplificare, a rendere compiuta la prospettazione sulla contiguità dei cugini Verazzo con il clan dei casalesi.

Detto questo, abbiamo cominciato a leggere un attimo la specifica contestazione contenuta al capo due. I Verazzo sono accusati da Nicola Panaro, reggente o co-reggente del gruppo Schiavone dal 2004 al 2010 e da Nicola Schiavone che le redini le aveva prese sin dalla cattura di Francesco Schiavone Cicciariello, ma che si è mantenuto defilato almeno fino all’anno dopo, cioè al 2005.

Panaro e Schiavone parlano a lungo di Verazzo e del suo rapporto con Antropoli. E’ ovvio che non si può mettere in discussione che ci fosse una consonanza politica tra il sindaco e l’imprenditore. Non si può negare perchè ci sono le intercettazioni che lo dimostrano che i Verazzo si schierarono con il candidato sindaco Giuseppe Chillemi, espresso da Carmine Antropoli, alle elezioni del giugno 2016.

Tutti gli altri discorsi, fondati o infondati che siano, è questione di punti di vista, sono così incardinati: Nicola Panaro che diventò subito latitante, non aveva contatti diretti con i Verazzo. Non si sa neppure se li avesse mai incontrati. Del loro ruolo di imprenditori fedeli al clan dei casalesi, gli parlarono Nicola Schiavone ed Elio Diana. Come scrive il gip, si tratta di un contributo de relato, seppur proveniente da un osservatorio privilegiato che però, aggiungiamo noi, non perchè si esprime attraverso propalazioni di un capo, deve necessariamente essere considerato genuino a priori.

Ma sono le dichiarazioni di Nicola Schiavone quelle più importanti; in questo caso, abbiamo un doppio incardinamento: il figlio di Sandokan afferma di aver incontrato i cugini Verazzo. Parla di un appuntamento in particolare, presso l’abitazione di Pasquale Diana, socio accomandante e ragioniere della Cobit Sud srl.

Per quanto riguarda l’amministrazione comunale di Capua ed Antropoli, Panaro e lo stesso Schiavone affermano che erano i Verazzo a dirgli di avere un rapporto con il sindaco di Capua, tale da garantirgli una stabile presenza e una stabile prevalenza nell’assegnazione delle gare. Questa seconda parte del discorso è un de relato, dunque.

Il gip afferma che esiste una convergenza tra le dichirazioni di Nicola Panaro e quelle di Nicola Schiavone. In verità, Panaro non afferma di essere venuto a conoscenza di un incontro diretto tra Nicola Schiavone e i Verazzo, ma dice di essere al corrente di un rapporto diretto ma non precisamente definito con la conoscenza di appuntamenti e riunioni, tra Nicola Schiavone e i Verazzo, anche attraverso i buoni uffici di Elio Diana, cognato di Francesco Schiavone Cicciariello, che, sin dai tempi del comando di quest’ultimo, sarebbe stato messo a presidiare, come capozona, l’area capuana.

La sovrapposizione tra Panaro e Nicola Schiavone il gip la avverte, la nota, la mette nero su bianco e sarà molto importante leggere le motivazioni con le quali il Riesame spiegherà perchè ha rigettato il ricorso per il concorso esterno, ritenendo questo reato esistano gravi indizi di colpevolezza.

Per quel che riguarda il rapporto personale tra Antropoli e i Verazzo, questo è dimostrato dalla serie di telefonate durante la campagna elettorale del 2016. Antropoli non doveva però ritenere quella relazione, quel rapporto con i Verazzo insidioso e pericoloso, se è vero com’è vero che utilizzava il suo telefonino tranquillamente per contattare quello di Francesco Verazzo allo scopo di rendere partecipe quest’ultimo delle dinamiche elettorali.

Questa storia dei telefonini e del valore che certe intercettazioni hanno anche come sintomatiche dimostrazioni di relazioni particolari, le potremo chiamare elementi di riscontro secondari, terziari, forse suggestivi, riteniamo che occorra una uniformità nella loro considerazione: vanno considerate sempre allo stesso modo.

Non è che se chi parla al telefono è guardingo e prudente, ciò è dovuto al fatto che chi telefona ha compreso che il suo apparecchio è sotto controllo e se invece parla liberamente, è perchè era sicuro e tranquillo che il suo apparecchio non fosse intercettato. C’è anche una terza ipotesi che riteniamo quella più seria: uno parla al telefono ritenendo che quello che sta dicendo non sia pregiudizievole, non rappresenti un fatto penalmente rilevante.