CAMORRA milionaria e miserabile. 50 euro al giorno, spese incluse, per i povericristi che svuotavano i postamat per il mega riciclaggio targato Peppe Guarino e Armando Della Corte
28 Ottobre 2021 - 11:37
Il racconto, fatto da uno di loro, negli uffici della Procura di Roma. Ecco dove avveniva la consegna del postamat, tenuto saldamente nelle mani dell’organizzazione, al titolare del conto, a cui veniva chiesto…
TRENTOLA DUCENTA/SAN MARCELLINO – (g.g.) La lettura sempre più approfondita dell’ordinanza, chiesta ed ottenuta dai magistrati della Dda a carico dei componenti di una organizzazione dedita al riciclaggio di enormi somme di danaro di provenienza illecita, frutto di frodi fiscali e soprattutto collegate agli interessi del clan dei casalesi, consolida e puntella il ruolo di protagonisti, co-protagonisti e comparse di un meccanismo che ha portato in tre anni e mezzo a movimentare ben 175 milioni di euro, secondo i calcoli compiuti dalla guardia di finanza, titolare di questa complessa indagine.
Giuseppe Guarino che è il cognato di Giacomo Capoluongo esiste perchè è il terminale del flusso di danaro dopo aver svolto il ruolo di pianificatore del sistema. Ma sul terreno il soggetto più attivo, quello che coordina e appoggia i movimenti nella vera e propria pletora di riscossori da organizzare con modalità piuttosto co0mplicate, è senza dubbio Armando Della Corte, il 43enne di Aversa che ogni giorno determina le azioni, ne controlla l’esito, utilizzando una sorta di quartier generale, localizzato a San
A raccontare come si muovessero i soldati cioè le decine e decine di persone che riscuotevano le somme nei vari uffici postali Giuseppe Belviso, 51 anni, anche lui di Aversa.
Belviso è ascoltato negli uffici della Procura della Repubblica di Roma e lì vuota praticamente il sacco. Intanto un particolare importante: per il loro lavoro, chiamiamolo così, i riscossori intascavano 50 euro al giorno. In pratica una miseria, se si considera il volume enorme di danaro che grazie ad essi veniva “ripulito”.
Il racconto di Belviso diventa una sorta di master, in quanto riproduce, particolare più, particolare meno, le modalità utilizzate da tutti gli operatori assoldati da Giuseppe Guarino e da Armando Della Corte. Belviso si recava presso il capannone di San Tammaro e solo lì gli veniva dato il postamat (nell’ordinanza è riportato impropriamente il termine bancomat) con cui gli veniva chiesto di recarsi in diversi uffici postali in modo da sfuggire all’obbligo di segnalazione antiriciclaggio.
Per cui c’è da ritenere che nello spostamento da un ufficio postale all’altro che spesso comportava anche lo spostamento tra un comune e l’altro, Belviso e tutti quelli che svolgevano la stessa mansione sopportassero delle spese, legate per esempio al carburante, che andavano a ridurre ancor di più il già misero compenso comunque accettato da persone le quali, evidentemente, avevano bisogno e versavano in condizioni economiche molto precarie. Una volta ritirata la somma concordata, questa veniva consegnata a Della Corte sempre nel capannone di San Tammaro, presumibilmente insieme al postamat, dato che con quelle cifre iperboliche dei conti correnti, magari a qualcuno di questi malpagati riscossori avrebbe potuto venire una sorta di botta di vita, facendo man bassa.
L’accordo iniziale che dava riscontro a un reclutamento di riscossori, curato dallo stesso Della Corte, era connotato da una supposta regolarità perchè Della Corte tranquillizzava tutti, garantendo che le somme che lui chiedeva fossero ospitate dai conti correnti di queste persone.
Ma tutto sommato, in considerazione del rischio a cui si sottoponevano per un compenso tanto basso, chi andava a riscuotere le cifre iperboliche si rendeva perfettamente conto che lì di regolare non c’era nulla, ma che probabilmente se avesse provato a fare il furbo, dall’altra parte avrebbe incrociato la reazione di persone tutt’altro che comprensive e tolleranti, bensì di soggetti contigui e anche probabilmente intranei al clan dei casalesi.
QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA