CENTRO COMMERCIALE JAMBO. Ennesimo blitz della Guardia di Finanza sulla coop che ha gestito i parcheggi. Stipendi farlocchi, assunzioni “gonfiate” e altro. E l’Amm. giudiziario Salvatore Scarpa…

26 Ottobre 2022 - 19:28

Ritenevamo che l’indagine, partita nell’estate del 2020 con un primo ingresso delle Fiamme gialle negli uffici della Cis Meridionale, fosse finita in un binario morto. Invece, non è così, visto che sette giorni fa i finanzieri sono tornati in quegli uffici. Ecco perché non ci convincono le prese di distanza di Scarpa dall’imprenditore-faccendiere Luigi Credentino, oggi (e avremmo pure voluto vedere) allontanato.

TRENTOLA DUCENTA (gianluigi guarino) A un anno e 4 mesi di distanza dall’articolo da noi pubblicato il 22 giugno 2020 e che stavolta vi riproponiamo, non in collegamento ipertestuale, bensì pubblicando un suo ampio stralcio in calce a quest’altro articolo, è capitato che mercoledì scorso, cioè esattamente una settimana fa, effettivi della Guardia di Finanza si siano recati, ancora una volta, come già successo il 20 giugno 2020, negli uffici della Cis Meridionale, la storica proprietaria del centro commerciale Jambo, in amministrazione giudiziaria da quasi 7 anni, cioè dai giorni immediatamente successivi a quel 10 dicembre 2015, data del maxi blitz che condusse all’arresto di decine e decine di persone tra politici, dirigenti e funzionari del Comune di Trentola Ducenta, imprenditori ed esponenti del clan dei Casalesi, precisamente della fazione di Michele

Zagaria, considerato il vero controllore delle attività in opera nel citato centro commerciale.

Ciò vuol dire che quel nostro articolo, che vi riproponiamo direttamente proprio per questo, resta di assoluta attualità. Anzi, è più di attualità oggi rispetto a quanto non lo fosse al tempo in cui è stato scritto e pubblicato.

Prima di quel blitz del 2015, al Jambo comandava Michele Zagaria e i riferimenti proprietari principali appartenevano alla famiglia Falco, partendo da quell’Ortensio Falco, arrestato pure lui e sottoposto a processo, che faceva campare tutte quelle persone che magari il clan gli segnalava, ma anche tutti quelli che potevano pubblicare qualcosa sulle mirabilie del Jambo, il cui marchio, non a caso, non avete mai incrociato su Casertace, né al tempo e neppure dopo il blitz, perché, carta canta, noi riteniamo che la gestione che il Tribunale di Napoli ha svolto, fino ad oggi, attraverso gli amministratori giudiziari, non abbia migliorato le cose, come è risultato del tutto evidente il 15 luglio 2019 quando la Dda ottenne l’esecuzione dell’ordinanza, firmata da un gip del Tribunale di Napoli e richiesta dal pm dell’Antimafia, per il boss del clan dei Casalesi Mario Iavarazzo e per altre 10 persone per reati commessi insieme a dipendenti del Jambo, già durante la gestione dell’amministratore giudiziario Salvatore Scarpa. In quel caso sostenemmo la tesi di una culpa in vigilando, anche perché (in questo caso CLIKKA QUI per leggere l’articolo da noi pubblicato il giorno dopo) sarebbe bastato poco per capire che certe società che ottenevano affidamenti e favori per le mega affissioni su cui il Jambo, storicamente, ha puntato moltissimo, fossero, in qualche modo, in odore di camorra.

Salvatore Scarpa non l’ha mai presa bene al cospetto dei nostri articoli. E come tanti, “non si è fatto mai passare neppure l’anticamera del cervello” che non avendolo noi mai conosciuto personalmente e avendo scelto questo giornale di non chiedere la pubblicità al Jambo, declinando, nel contempo, con cortesia offerte che pure abbiamo ricevuto, stesse raccontando storie, fatti, che, se uno non ha nulla da nascondere, non ha neppure difficoltà a mettere al centro di un confronto di punti di vista, attraverso interventi e scritti. Un confronto, a cui Salvatore Scarpa, che il Tribunale di Napoli ha confermato nella carica di amministratore giudiziario, secondo noi, con tutto il rispetto della sua persona, compiendo un errore per i motivi appena detti, si è sempre sottratto, preferendo la rituale arma intimidatoria dell’iniziativa giudiziari, non a caso utilizzata da tantissimi politici della provincia di Caserta, da sindaci, da consiglieri regionali che semplicemente non tollerano che si scriva sul modo con cui gestiscono il pubblico denaro. In questo caso, non una querela, ma una citazione in sede civile con richiesta di risarcimento danni, come se noi avessimo esposto le nostre tesi, esprimendo giudizi realmente lesivi della onorabilità di una persona che, ripetiamo, conosciamo solo dalle fotografie giornalistiche.

Nell’articolo che leggerete qui sotto, incrocerete anche un passaggio convintamente garantista. Parlando di quella visita della Guardia di Finanza avvenuta nel giungo del 2020 e sviluppando un ragionamento finalizzato a rendere serena, concreta e verificabile la nostra affermazione sui rapporti cordialissimi esistenti tra Salvatore Scarpa e l’imprenditore (chiamiamolo così) afragolese Luigi Credentino, affermavamo che questi rapporti esistenti, a prescindere dai motivi dell’indagine della Guardia di Finanza, non avrebbero avuto alcun peso qualora fosse stato accertato che tutte le dinamiche riguardanti la costituzione e la struttura della cooperativa nata per gestire i lucrosissimi incassi del parcheggio del Jambo, non avessero stabilito alcuna responsabilità e non avessero formulato alcun addebito nei confronti di Luigi Credentino. A quasi due anni di distanza, ritenevamo che nulla di penalmente rilevante fosse stato accertato. Al contrario, la presenza corposa dei finanzieri, che mercoledì scorso, 19 ottobre, hanno occupato in forze gli uffici della Cis Meridionale, dimostra che si tratta di una partita ancora aperta. Oggi, a 16 mesi di distanza dalla prima acquisizione di dati e di documenti, operata dalla polizia giudiziaria, resta intatto, secondo noi, il problema della relazione tra l’amministratore giudiziario Salvatore Scarpa e Luigi Credentino.

Possono pure querelarci 100 volte o citarci 200 volte in giudizio, ma questo è un punto di vista che noi abbiamo sempre ampiamente argomentato, come dimostra l’articolo che pubblichiamo in calce a questo che stiamo scrivendo, e mai pretendendo di avere la verità in tasca, essendo sempre pronti (vanamente) a ospitare l’espressione di un punto di vista difforme dal nostro.

L’indagine, dunque, non è chiusa, anzi, si sviluppa sempre di più, si allarga ulteriormente, a partire dal personale in organico nella cooperativa. Sarebbero 30 i dipendenti e la Guardia di Finanza sta cercando di comprendere se la posizione di tutti e 30 sia regolare rispetto agli orari di lavoro, agli incarichi di servizio, alle turnazioni, anzi alla presenza fisica sul posto di lavoro o se, invece, esista qualche fondamento sulle voci, sugli esposti che raccontano di un impiego reale di sole 14 unità. Si parla, addirittura, di restituzione di una parte dello stipendio, consegnato ad alcuni dipendenti. Oddio, questa è una pratica molto in voga dalle nostre parti e, a dire il vero, anche nel mondo che molto acrobaticamente si è definito dell’editoria giornalistica, visto e considerato che ci sono stati in passato casi di giornalisti assunti con la condizione di dover restituire parte degli emolumenti ritirati in riscontro della propria busta paga.

I finanzieri stanno spulciando tutti i documenti anche per stabilire se ci sia stata qualche distrazione di somme di danaro, nascoste alla contabilità e finite in nero in qualche tasca.

Inutile dire che seguiremo l’evoluzione di questa indagine. Inutile dire che ribadiamo forte e chiaro che Luigi Credentino si è insediato nel Jambo per scelta dell’amministratore giudiziario Salvatore Scarpa. Questi, magari, l’ha coinvolto in buona fede, ritenendo che si trattasse di una persona non problematica, ma è fuor di dubbio che tutta la dinamica che ha portato Credentino ad acquisire l’affidamento più lucroso del Jambo, sia stata frutto di scelte consapevoli e volontarie, compiute da Salvatore Scarpa. Ciò con ampia facoltà di obiezione.

Su questo, noi non abbiamo mai dato un grosso significato alla lettera, che lo stesso Scarpa scrisse durante la prima fase di questa indagine, cioè nel giugno 2020, con la quale prendeva le distanze dal Credentino. Né conta, anzi, è del tutto irrilevante nella messa a fuoco di questo particolare problema relativo al rapporto tra lo Scarpa e il Credentino, il fatto che quest’ultimo sia stato ormai allontanto dal Jambo (e avremmo pure voluto vedere) insieme alla fidanzata.

Nessuno, men che meno Casertace, si è mai sognato di ipotizzare, neppure lontanamente, l’esistenza di un coinvoglimento diretto nelle attività che Credentino svolgeva all’interno del Jambo. Non abbiamo alcun motivo per pensarlo e neppure per ipotizzarlo remotamente. Sostenevamo, invece, due anni fa e sosteniamo oggi che, in considerazione della delicatissima natura del compito, svolto da Salvatore Scarpa, il suo destino di amministratore giudiziario non può non essere legato a quelli che saranno gli esiti dell’indagine in corso.

Noi “non ce la teniamo con nessuno”: se emergerà che Credentino abbia gestito in maniera regolare e trasparente il parcheggio, scriveremo forte e chiaro che la scelta di Scarpa di coinvogerlo è stata, a suo tempo, ineccepibile. Ma se dovessero emergere delle responsabilità di tipo penale, ma anche di tipo civile, a carico di Credentino, non occorrerà certo consultare il manuale delle ragioni della cosiddetta opportunità istituzionale, per ritenere ineluttabili le dimissioni di Scarpa, oppure, in mancanza, per invitare il Tribunale di Napoli ad avvicendarlo, fermo restando che sulla questione di Mario Iavarazzo e su quella che noi, ripetiamo, consideriamo una culpa in vigilando, il citato Tribunale di Napoli che, peraltro, aveva spiccato su richiesta della Dda, gli 11 mandati di arresto per Iavarazzo & co., si è dimostrato, sempre a nostro avviso, eccessivamente magnanimo, non collegando la sua funzione di istituzione di riscontro dell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero a quella di controllore penale, civile ed amministrativo, della gestione del centro commerciale Jambo.

ECCO IL NOSTRO ARTICOLO DEL 22 GIUGNO 2020.

Ma perché i finanzieri hanno fatto visita agli uffici del Jambo? L’approfondiremo soprattutto nei prossimi giorni. Però, qualcosa già vi scriviamo oggi. L’indagine riguarda la costituzione di una società cooperativa, nata dalla concordia, dei rapporti tra i citati Scarpa e Credendino. Perché questo nessuno, cioè il rapporto simbiotico tra i due, nessuno lo può negare ed eventualmente potremo illustrare almeno 100 esempi sul fatto che l’attuale amministratore giudiziario ha dato all’onnipresente imprenditore afragolese uno spazio e una visibilità che né la gestione Falco, conclusa con la citata retata del dicembre 2015, né la gestione del primo amministratore giudiziario gli avevano mai attribuito. Ecco perché la lettera con cui l’amministratore giudiziario prende le distanze da Credendino, è finanche più importante del fatto che l’ha stimolata, cioè la visita dei finanzieri ed evoca, in qualche modo, per ricollegarci ad una vicenda di strettissima attualità, la presa di posizione, assunta dall’Anm nei confronti del loro collega Luca Palamara, il quale non a caso in queste ore ha detto chiaro e tondo che se vogliono fottere lui, è pronto a portarsi dietro almeno la metà della magistratura italiana. Al di là del paragone, se quest’indagine della Guardia di Finanza, non sappiamo ancora se delegata dalla Dda o dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Aversa-Napoli nord, stabilirà che tutte le trame amministrative ed imprenditoriali che hanno riguardato questa cooperativa siano state legali, regolari, allora Scarpa e Credendino insieme, ne usciranno bene; in caso contrario, l’impostazione che l’amministratore ha voluto dare con la sua lettera alla lettura dei fatti, non ci convince proprio per nulla. Se dovessero, infatti, emergere vicende illegali, non significherà, per carità, che Scarpa ne sia stato protagonista diretto, presunzione di innocenza totale, a partire dalle fasi di indagine, ma, assodato ciò, Scarpa non potrà non trarne le conseguenze rispetto ad una gestione evidentemente non attenta, non oculata e che dunque sarà opportuno interrompere volontariamente. In mancanza di sue dimissioni, invece, lo Stato italiano nella figura dell’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata, sotto la cui egida opera oggi l’amministrazione giudiziaria del Jambo, dovrà, a nostro avviso, a nostro democratico avviso, intervenire, non per crocifiggere Scarpa, ma per ripristinare una situazione di tranquillità nelle cose del Jambo, che non è l’oggetto di un sequestro a scopo di confisca come tutti gli altri (non è ancora definitivo mancando se non andiamo errati il verdetto della Cassazione), ma rappresenta il sequestro a scopo di confisca dal maggior peso economico, ma soprattutto dal maggior peso simbolico nella lotta che lo Stato ha ingaggiato con la camorra del clan dei Casalesi. Una circostanza, questa, sin dai primi tempi dell’amministrazione-Scarpa non è parsa rappresentare la stella polare dell’agire degli amministratori, come se questi non cogliessero, proprio per un difetto culturale di percezione, l’importanza particolarissima di una loro missione che dovrebbe essere sobria, al limite del sacerdotale e che invece ha finito per somigliare troppo alla normale gestione che un imprenditore privato sviluppa su un bene di sua proprietà. La cooperativa, che si chiama Jone, uscita da un’elaborazione di Credendino e Scarpa, ha sostituito la Securgest, precedentemente titolare della gestione dei parcheggi interni, cioè da una vera e propria gallina dalle uova d’oro. Il punto di riferimento di Jone sarebbe Salvatore Eramo, esperto in sicurezza, ma soprattutto nipote di quel Luigi Lorvenni, guardia penitenziaria, imputato nel processo per la tangentopoli al Comune di Trentola, che vede nelle figure dell’ex sindaco Andrea Sagliocco e dell’avvocato faccendiere Saverio Griffo, gli elementi di maggiore spicco. Eramo è titolare, insieme ad un’altra persona, anche di un negozio all’interno di Jambo.