Due donne “assatanate”: droga in cambio di prestazioni sessuali. Il dettaglio di tutti i ruoli di 39 su 54 indagati nella holding-droga targata MARCIANISE

24 Aprile 2023 - 20:10

Capo 1 dell’ordinanza di ben 1764 pagine della Dda: per 39 dei 54 indagati viene ipotizzata la commissione dei reati di cui all’articolo 74 commi 1, 2, 3 e 4 del Dpr 309 del 1990.

MARCIANISE (g.g.) L’ultimo provvedimento giudiziario in ordine di tempo sul grande emporio della droga di Marcianise, che abbiamo definito inestinguibile, visto che, nonostante le centinaia e centinaia di arresti degli ultimi anni, appare ancora vivo e vegeto, è frutto di un’indagine, compiuta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che hanno chiesto ed ottenuto l’emissione di 28 misure cautelari, di cui 16 in carcere, 7 ai domiciliari e 5 consistenti nell’obbligo di firma, oltre a tenere iscritti nel registro degli indagati altre 26 persone, che restano a piede libero, anche se, per due o tre di queste “il piede libero” è solo una definizione formale, visto che si trovano già in carcere, tipo Giovanni Buonanno e Salvatore Buttone, o ai domiciliari tipo Gennaro Buonanno che, come è noto a chi segue i fatti della cronaca nera e giudiziaria inerenti al clan Belforte, è il padre di Giovanni (CLIKKA QUI per leggere uno per uno i 54 nomi).

La reitazione del riferimento alla paternità di questa indagine non è inutile, oziosa. E vi spieghiamo subito il perché: di solito, quando la Dda si muove, collegando la propria indagine a nomi appartenenti alla prima schiera di noti clan malavitosi, è molto probabile che le contestazioni, i capi di imputazione provvisori partano dall’articolo 416 bis, relativamente ai commi oggetto di trattazione del reato di partecipazione diretta ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso o camorristico, magari con l’appendice di qualche “concorso esterno”.

Nel caso di quest’ordinanza di ben 1764 pagine, l’architrave, rappresentata sempre dal capo 1 o capo A, non accoglie la contestazione più grave, il reato associativo di tipo mafioso. Attenzione, però: la camorra c’entra, altrimenti la Dda avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Procura di S. Maria Capua Vetere. C’entra, ma non costituisce il reato principale contestato.

Basta leggere il testo del capo 1 che vi pubblichiamo integralmente in calce a questo articolo. Vi accorgerete che per 39 dei 54 indagati viene ipotizzata la commissione del reati di cui all’articolo 74 commi 1, 2, 3 e 4 del più che noto Dpr 309 del 1990, cioè il Testo unico delle leggi sul traffico degli stupefacenti. Dunque, non c’è l’associazione a delinquere di stampo camorristico, ma l’associazione a delinquere finalizzata all’approvvigionamento, alla distribuzione e poi allo spaccio al dettaglio di cocaina, crack, marijuana e hashish. L’associazione a delinquere per questi reati scatta proprio ai sensi dell’art. 74 del Dpr, quando il numero di partecipanti al sodalizio criminale è superiore a 10. In questo caso sono 39 gli indagati e dunque non ci piove.

Esiste comunque una traccia dell’articolo 416 bis. Esiste oggi, perché se la stessa ordinanza fosse stata scritta ed eseguita 4 o 5 anni fa, ci saremmo ritrovati, insieme alla contestazione-base contenuta nell’art.74 del Dpr 309 del 90, l’aggravante camorristica non formulata dentro al 416 bis, ma contestata ai sensi dell’articolo 7 della legge 241 del 1991, che è stato applicato quando i comportamenti criminali di una o più persone hanno determinato un vantaggio per la camorra, nello specifico per i clan egemoni nel territorio targhettizzato dalla Dda, dunque, nel caso specifico, in favore delle necessità del clan Belforte. E d’altronde, il coinvolgimento quale leader del sodalizio dedito al traffico degli stupefacenti, di Giovanni Buonanno, personaggio significativo dei Mazzacane, costituisce un elemento che sicuramente colloca questi fatti in un contesto a cui il clan Belforte non è estraneo completamente.

Detto questo, però, a Giovanni Buonanno non viene contestato il ruolo di leader di camorra, cioè entraneo al clan Belforte e che, in quanto tale, riunisce in associazione o coinvolge in concorso esterno altre persone, tutte indagate ai sensi del 416 bis tradizionale, cioè per quella parte di quest’articolo del Codice Penale che regolava e regola i reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e di concorso esterno. A guardare bene, un po’ di camorristi sono indagati a piede libero. Vedremo, nel seguito della lettura di quest’ordinanza, se il motivo del loro coinvolgimento attiene a fatti, a comportamenti evidenti, reali o se invece la loro chiamata in causa sia funzionale a tenere attiva un’architettura camorristica che rende indiscutibile la competenza giudiziaria da parte della Dda.

Detto questo, declinato cioè quello che noi, analisti di cronaca giudiziaria, riteniamo un aspetto importante, veniamo all’elenco e ai ruoli ipotizzati per ognuno dei 39 indagati per associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti.

Allora, partiamo dal citato Giovanni Buonanno e da Giuseppe Giacomo Salzillo, tutti e due raggiunti da ordinanza di custodia in carcere, dove il primo già si trova per altri reati e il secondo, invece, è entrato arrivando direttamente dagli arresti domiciliari, a sua volta patiti per un altro procedimento. I due, secondo la formulazione del capo 1 sono stati “promotori, capo e organizzatore del sodalizio con la funzione di organizzare l’attività di approvvigionamento, spaccio e gestione organizzativa dei compiti degli altri adepti”. Oltre a ciò, in mano ai due sarebbe stata tutta la logistica, copresa la scelta dei luoghi, dei tempi e tutta l’attività organizzativa relativa alle varie fasi dell’attività criminale, fino allo spaccio al dettaglio.

L’organizzazione era di tipo piramidale e prevedeva l’esistenza di altre figure direttive che, rispondendo solo a Buonanno e a Salzillo, dirigevano le piazze di spaccio, e partecipavano alla gestione dei proventi. Questi ruoli erano svolti da Giacomo Colella, Giuseppe Di Gaetano, Francesco Edattico, Giovanni Moretta e Antonio Russo, tutti colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere e anche dall’altro Antonio Russo del ’65 che in carcere sarebbe finito qualora non fosse deceduto.

Ruoli più specifici e dunnque di dipendenza e subordinati a quelli dei capi e dei sottocapi era quelli svolti da Michele Cristian Barbieri, Antimo Bucci, Carmine Farro, Mauro Lionello, Luca Pappalardo, Pablo Nicolas Carrasco Parada, Tommaso Petito, Salvatore Raucci, Jerardine Solas, Antimo Zarrillo e Brigitta Eminger, quest’ultima a sua volta deceduta. Questo gruppo si occupava di custodia, detenzione e spaccio al dettaglio. Michele Barbieri, Antimo Bucci, Antimo Zarrillo e salvatore Raucci sono stati attinti da ordinanza di custodia in carcere. Discorso diverso per Luca Pappalardo, Carmine Farro e Mauro Lionello gravati dall’obbligo di firma, mentre Jerardine Solas, Carrasco e Petito, sono indagati, ma a piede libero. Il che fa ritenere, essendo tutti questi soggetti accusati di aver svolto un ruolo omogeneo, che ci sia stata in questo caso una divergenza tra le richieste di misura cautelare da parte dei pm della Dda e la decisione del gip di non accoglierle per qualcuno.

Ruoli di retroguardia, prevalentemente pusher svolgevano, invece, Salvatore Buttone, Vincenzo Fusco, Pasquale Merola e Raffaele Piccolo. Di questi solo Pasquale Merola è stato attinto da un titolo che ne limita la libertà persoale con l’obbligo di firma, mentre gli altri tre sono indagati a piede libero. Anche in questo caso, “un nome eccellente”, anzi un cognome eccellente del clan Belforte viene coinvolto, ma solo come “indagato semplice”. Per altro, l’atto gli è stato notificato in carcere, visto che Salvatore Buttone è detenuto nella casa circondariale abruzzese di Lanciano. Particolarmente curiosa la posizione di Pasquale Merola, il quale non potrà assolvere all’obbligo di firma, visto che per farlo dovrebbe uscire accompagnato dal carcere di S. Maria C.V., dove si trova già recluso. E siccome l’obbligo di firma è un obbligo di cautela per tenere sotto controllo i movimenti di persone indagate, si capisce che si tratta di un’applicazione meramente formale, figurativa, che magari avrà un senso qualora Merola dovesse essere scarcerato nell’ambito di altri procedmenti che lo riguardano. Fusco e Piccolo sono effettivamente a piede libero.

Alle forniture della droga badavano Margherita Amoruso, Giulio Angelino, Felice Natale, Clemente Barbato e Raffaele Sellitto. Stesso discorso rispetto a quello fatto prima, vale in questa circostanza, visto che Sellitto e Angelino finiscono in carcere, mentre Margherita Amoruso, Felice Natale e Clemente Barbato sono indagati a piede libero. Il che fa pensare all’esistenza, pure in questa circostanza, di qualche discrasia tra richieste del pm della Dda e provvedimenti cautelari effettivamente presi dal gip del tribunale di Napoli.

Lucia Cozzolino, Francesco Ferrari, Mario Froncillo, Emilio Lasco, Giovanni Porzio, Anna Russo, Antonietta Russo, Emanuela Russo tutti impegnati nella logistica organizzativa delle varie piazze di spaccio. Emanuela Russo, Lucia Cozzolino in carcere, Ferrari, Lasco e Porzio ai domiciliari così come Anna e Antonietta Russo, anche loro ai domiciliari.

Questa vera e propria azienda comprendeva anche i ruoli particolari, originali, come quelli di custodi. Per questo motivo sono indagati Gianpaolo Barbiero e Gennaro Riccio. Per Barbiero obbligo di firma, Riccio indagato a piede libero.

Dulcis in fundo, si fa per dire troviamo Patricia Yudi Cubilla e Caterina Iuliano. Queste qua facevano una cosa particolare. Secondo la Dda avrebbero “offerto o spacciato sostanze stupefacenti al fine di ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente”.