I servizi segreti deviarono le indagini e fecero il patto con la Camorra. Firmato Giulio Facchi
12 Maggio 2019 - 12:52
CASERTA (g.g.) – Giulio Facchi ce l’aveva promesso. Rasserenato da una sentenza di assoluzione, quella pronunciata qualche mese fa dalla Corte di Appello di Napoli, che lui ritiene lo ripaghi solo in parte rispetto alle sofferenze patite nella lunga indagine della Dda, culminata nel verdetto di condanna di primo grado, nell’ambito del procedimento che ha avuto in Cipriano Chianese il suo elemento cardine, si sente ora in condizione di spiegare di più, di fornire particolari che la pur interessante prima intervista, concessa a CasertaCe nell’autunno scorso e da noi pubblicata in diverse puntate, aveva lasciato in sospeso.
Da domani, lunedì, pubblicheremo, a firma della collega Tina Palomba, il testo integrale di questa nuova, lunga intervista. C’è bisogno di leggerla con attenzione per comprenderla in profondità, magari mettendo insieme ciò che ha dichiarato Facchi con ciò che noi già sappiamo, essendo stati testimoni di quel tempo.
Insomma, occorrono delle ore di lettura approfondita. Cose non adatte, dunque, alle applicazioni domenicali, quando, invece, se si è in grado di farlo, bisogna pubblicare uno spot, un promo rapidi, adatti al poco tempo che nei giorni di festa si dedica alla lettura dei giornali online, di quella che promette di essere un’altra fondamentale pagina di giornalismo, scritta da CasertaCe nel suo contributo missionario di iniettare cultura in questo territorio desolato e desolante.
Iniziamo con l’anticipare subito che Facchi non ha dichiarato di essere stato partecipe diretto di una presunta trattativa Stato-Camorra finalizzata a fronteggiare le diverse emergenze dei rifiuti, soprattutto quella del 2007/2008, che hanno colpito la Campania e in specialissimo modo le province di Napoli e Caserta.
Ma Facchi dice anche un’altra cosa. Una cosa che, se non fosse vera, è sicuramente verosimile, in quanto estremamente logica: tutto quello che Facchi ha saputo ma che soprattutto ha capito da quell’incontro che ha avuto con esponenti dei servizi segreti in un Autogrill dell’autostrada A1 presso Teano e tutto quello di cui è venuto a conoscenza durante la riunione in una villa di Formia, gli danno la certezza, rafforzata dai fatti che si verificavano in quel periodo, da certe scelte compiute, una per tutte, l’individuazione della cava di Chiaiano quale mega-discarica, mega-luogo di stoccaggio di una quantità impressionante di immondizia, si era raggiunto un punto di sintesi tra un’emergenza di cui lo Stato e tutti gli organi di governo nazionali e locali avevano paura e la criminalità organizzata che, ovviamente non certo a costo zero, poteva affrontare e risolvere rapidamente le grandi e le piccole emergenze, con un’operazione, ad esempio, alla Chiaiano.
Antonio Bassolino, durante una riunione a cui Facchi afferma di esser stato presente, aveva considerato ineluttabile che quelli che chiamava “i fetenti“, riferendosi ai camorristi, trovassero un interlocutore diretto che non voleva essere assolutamente lui. Secondo Facchi, lo stesso Bassolino e Silvio Berlusoni fecero un accordo dal quale uscì il nome del prefetto Catenacci. Sotto l’ombrello commissariale, i servizi segreti, che nel quadro degli obiettivi disegnato da Catenacci avrebbero dovuto giocare, secondo i piani, una loro partita, si mossero in maniera “disinvolta”, come è già altre volte successo nella storia di questo Paese. Primo obiettivo: proteggere dalle indagini i protagonisti di questa intesa, i già citati Berlusconi e Bassolino, Gianni Letta e l’allora ministro dell’Ambiente Altero Matteoli.
Insomma, i servizi avrebbero dovuto essere i tutor del lavoro sporco, delle relazioni tra i grandi imprenditori di camorra legati al settore rifiuti, magari con l’imprimatur e l’aiuto di quei politici che con quel mondo avevano dimestichezza.
Ma di questo ed altro ancora si parlerà nella lunga intervista che ripartiremo in tre puntate, a firma della giornalista Tina Palomba, a partire da domani.