IL FOCUS. Facciamo un po’ di ordine sulle ragioni e sulle non ragioni del rinvio a giudizio di Michele Zagaria, Nobis, Iovine e Ciccio e Brezza per l’omicidio di Raffale Lubrano

7 Agosto 2021 - 17:38

PIGANATARO MAGGIORE – (g.g.)Vi riproponiamo il comunicato con cui si da notizia del rinvio a giudizio di 6 importanti esponenti del clan dei casalesi per l’omicidio, avvenuto 19 anni fa, nelle stradine di Pignataro Maggiore di Raffaele Lubrano, di professione geometra, ma in pratica soprattutto erede designato di Vincenzo Lubrano, figura di spicco della camorra e con legami stretti anche con cosa nostra.

Raffaele Lubrano, che aveva sposato Rosa Nuvoletta, figlia del notissimo capoclan, egemone nell’area di Marano, fu raggiunto da un commando del clan dei casalesi che dopo un furioso inseguimento, prima in auto, poi a piedi raggiunse Lubrano, sparando verso di lui i colpi letali.

Di questo omicidio ci occupiamo da anni. L’ultima volta è successo qualche tempo fa quando demmo notizia del rigetto, da parte di un gip del Tribunale di Napoli della richiesta di arresto, formulata dai pm della Dda, a carico di Michele Zagaria, Salvatore Nobis e Francesco

Zagaria detto Ciccio e Brezza, alla luce delle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo dopo il proprio pentimento.

In seguito, la Corte di Cassazione ribaltò la decisione del gip e considerò fondata la richiesta di arresto della Dda. Oggi la notizia del rinvio a giudizio di un altro gip in versione gup, del Tribunale di Napoli,  che oltre ai tre appena citati, coinvolge anche l’altro collaboratore di giustizia Antonio Iovine, e ancora il grazzanisano Antonio Santamaria e l’altro sanciprianese Giuseppe Caterino.

In effetti non sono state solo le dichiarazioni di Francesco Zagaria a determinare il coinvolgimento di Michele Zagaria e di Salvatore Nobis in questo processo, bensì la relazione trai contenuti specifici dei suoi interrogatori con racconti effettuati anni prima da altri collaboratori di giustizia.  Quello che inizierà ad ottobre costituirà, a tutti gli effetti, un processo bis, visto che anni fa se ne è celebrato già uno che produsse  sentenze di colpevolezza ma anche assoluzioni, tra cui quella di Giuseppe Misso, il quale, successivamente, nel momento in cui diventò a usa volta collaboratore di giustizia, confessò il suo coinvolgimento nel  delitto di Raffaele Lubrano. Francesco Zagaria era entrato negli ultimi due anni in questa vicenda, ma il suo nome era stato fatto già in precedenza da altri pentiti, comunque de relato cioè per sentito dire, individuando Ciccio e Brezza come la persona che si era occupato della cosiddetta “battuta”, cioè degli appostamenti e dei discreti pedinamenti, grazie ai quali avrebbe poi dato il segnale al commando dei killer in modo che questo potesse realizzare il proprio disegno omicidiario. Dunque, Francesco Zagaria, dopo il pentimento ha confermato questo suo ruolo e ha anche confermato il coinvolgimento di Michele Zagaria e di Nobis, per i quali non erano maturate le condizioni, non si erano sviluppati quei gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare un suo rinvio a giudizio nel primo dibattimento, nonostante che i primi pentiti avessero, sempre de relato, fatto riferimento a presunte riunioni, a cui  “capa storta” avrebbe partecipato e in cui si sarebbe messo a punto il piano per uccidere Raffaele Lubrano, che, a quanto pare stava attuando una strategia molto dinamica e dunque cominciava a sconfinare in aree estranee allo storico controllo della sua famiglia.

In verità, anche il nuovo impianto accusatorio, costruito sulle dichiarazioni di Francesco Zagaria, che vanno a dar riscontro a quelle esposte da Misso e da altri pentiti, badate bene, prima che Ciccio e Brezza si pentisse a sua volta, non  ha convinto tutti i giudici coinvolti in questo procedimento visto e considerato che il gip del Tribunale di Napoli, a cui facevamo cenno all’inizio  e che respinse la richiesta di arresto a carico di Michele Zagaria e Salvatore Nobis, motivò la propria decisione, sottolineando le incongruenze e la poca sovrapponibilità delle nuove dichiarazioni di Francesco Zagaria rispetto a quelle dei pentiti più datati.

Per cui, il processo che inizia a ottobre non sarà ad esito scontato. Soprattutto non, lo sarà il processo che sicuramente si svolgerà di qui a un paio d’anni in corte d’Appello, in considerazione di come hanno considerato, in altre sentenze, ribaltando quelle di primo grado pronunciate dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i giudici di secondo grado la struttura di molte dichiarazioni rilasciate da collaboratoti di giustizia, primo fra tutti Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan.

Qui sotto vi riproponiamo il comunicato con tutti i dettagli del rinvio a giudizio, firmato dal gup  del Tribunale di Napoli Della Ragione, per l’omicidio di Raffaele Lubrano.

Compariranno il 18 ottobre prossimo davanti ai giudici della Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere  sei esponenti del clan dei Casalesi, tra cui il boss Michele Zagaria e l’ex capo del clan, oggi collaboratore, Antonio Iovine, imputati per l’omicidio avvenuto nel novembre 2002 di Raffaele Lubrano, figlio di Vincenzo Lubrano, capo dell’omonimo clan attivo nel comune casertano di Pignataro Maggiore. Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Luca Della Ragione, ha infatti accolto la richiesta di giudizio immediato della Dda di Napoli; per i sei imputati ci sarà la possibilità in quella sede di chiedere il giudizio abbreviato per sperare in uno sconto di pena, strada che sembra quella preferibile dagli avvocati difensori. Oltre a Iovine e Zagaria (difeso da Paolo Di Furia ed Emilio Martino), compariranno in giudizio anche Giuseppe Caterino, Salvatore Nobis, Antonio Santamaria e Francesco Zagaria, quest’ultimo imprenditore che ha deciso di collaborare con la giustizia, e le cui dichiarazioni hanno permesso agli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli di identificare i mandanti del delitto. Il commando che uccise Lubrano si sistemò infatti presso la masseria di Francesco Zagaria. La vittima – è emerso – fu uccisa sia per le mire espansionistiche dei Casalesi che per vendicare la morte violenta di Emilio Martinelli, esponente dei Casalesi e fratello di Enrico, altro elemento di vertice del clan. Ad ordinare il delitto sarebbero stati, secondo l’accusa, Zagaria, Iovine, Caterino e Francesco Schiavone alias Cicciariello (omonimo e cugino di “Sandokan”), mentre Nobis, Santamaria e Francesco Zagaria avrebbero avuto il ruolo di fiancheggiatori e specchiettisti.