IL FOCUS. JAMBO. Azz, ma l’amministratore giudiziario veramente fa? Ha già il permesso per l’enorme multisala. Ma a noi il “presepe non piace”

31 Gennaio 2020 - 19:13

TRENTOLA DUCENTA – Delusi, ma non certo sorpresi al 100%. Tutte le categorie umane impegnate nelle professioni annoverano, infatti, elementi di grande valore, consistenza, capacità ed onestà ma anche persone che questo tipo di cifra materiale e morale non la possiedono. Giornalisti, netturbini, fisici nucleari, impiegati, dirigenti d’azienda. Dei politici, poi, non ne parliamo proprio. Il medesimo discorso vale anche per i magistrati, che pure sono fatti di carne e ossa.

Per cui non c’è alcun motivo di mettere all’interno della zona franca dei “puri di cuore”, la categoria degli amministratori giudiziari.

Ora, non vogliamo certo sostenere che quello che regge le sorti del centro commerciale Jambo, Salvatore Scarpa, appartenga alla seconda categoria.

Per un principio di serietà valutativa, il suo ruolo va rispettato come tale, senza classificarlo neppure nella prima delle due categorie.

Per cui, non si capisce perché quelle rare volte che è stato ospitato da questo giornale, lo Scarpa si sia rizelato.

Pensiamo che sia intelligente al punto da essersi informato sulla storia di questo giornale e che quindi abbia rimosso, eventualmente, il pensiero che noi possiamo farci impressionare da suggestioni su “ammanigliamenti” vari e santi in paradiso.

Invitiamo, dunque, l’amministratore giudiziario del Jambo a concentrarsi sul contenuto di quello che scriveremo stasera e che continueremo a scrivere nei prossimi giorni su alcune cose che, con tutto il rispetto, non ci convincono della sua gestione.

Mica siamo la Corte di Cassazione?

Non ci pensiamo neppure lontanamente a fregiarci di un’autorità morale che è già di per sé una costruzione pomposa che scade, poi, in una operazione inutile ai fini di quello che dovrebbe essere l’obiettivo comunemente perseguito dall’amministrazione giudiziaria del Jambo e da questo giornale: un’affermazione nitidissima della legalità, una trasparenza che non può non andare al di là di quella che si solito si richiede ad altre autorità.

Dell’amministrazione giudiziaria del Jambo (non a caso non stiamo insistendo con la citazione di Salvatore Scarpa, perché i rilievi riguardano la funzione, non la persona) ci siamo occupati qualche mese fa in occasione degli arresti dell’imprenditore Armando Aprile e del camorrista Mario Iavarazzo di Casal di Principe, i quali hanno avuto in mano, anche durante le gestioni giudiziarie tutti i contratti che il Jambo ha fatto per l’affissione dei mega manifesti stradali, con annesso ragguardevole business.

Al tempo scrivemmo che l’amministrazione giudiziaria non aveva fatto una bella figura, perché con tutti i soldi che noi contribuenti paghiamo per mantenerla, a partire dal super stipendio di chi la dirige, sarebbe stato lecito aspettarsi un’azione di verifica approfonditissima di tutti i rapporti contrattuali in essere con i fornitori di beni e servizi.

Ora, siccome Mario Iavarazzo non è un manager svizzero, ma è stato per anni l’autista e il guardaspalle di Nicola Schiavone, ipotizzare l’esistenza di una culpa in vigilando, colpa non dolo, può essere l’espressione di un’opinione sbagliata, dunque da sottoporre a obiezione, ma non può essere considerato un caso di attacco diffamatorio.

Semplicemente perché questo non è.

Veniamo alla breve introduzione che annuncia i contenuti di una mini inchiesta che nei prossimi giorni saremo costretti, perché onestamente non ci aspettavamo, dopo quel freddo giorno del dicembre 2015, quando scattò la retata Dda per il Jambo, di doverci occupare delle procedure poste in essere da un’autorità dello Stato.

Ricordate l’articolo che abbiamo scritto martedì 28 gennaio: CLICCA QUI?

A dimostrazione del fatto che siamo dei “bambasoni”, che da irreversibili montanari sanniti non riusciranno mai a capire come funzionano le cose in questo territorio, titolammo senza indugio, a commento di una lettera anonima arrivata a noi, ma non solo a noi, che quella era una fake mail.

Dunque non solo anonima, ma soprattutto piena di fregnacce, dunque una fake. E invece quel fantomatico …che aveva usato questa firma ironicamente, raccontava il vero: oh, questi qua veramente vogliono costruire una multisala cinematografica.

È certo, dato che a fine novembre hanno avuto anche il permesso a costruire da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune di Trentola, oggi a sua volta governato da un commissario prefettizio.

Cosa c’è di male in tutto questo? Apparentemente nulla, ma pensandoci bene, invece tanto. Ma proprio tanto. Quel progetto esiste e potrà realizzarsi attraverso una mastodondica operazione immobiliare, solo perché esistono i presupposti senza i quali quel permesso non avrebbe potuto essere rilasciato.

Dunque, il Jambo è una entità urbanisticamente perfetta che nei decenni ha rispettato tutte le norme e che dunque, oggi, può tranquillamente raddoppiare le cubature, mettere in piedi un’operazione da ben 10 milioni di euro, completamente gestita dall’amministrazione giudiziaria.

Ma se al Jambo, e concludiamo questa prima puntata introduttiva, esiste un amministratore giudiziario, è perché ogni muro, ogni parcheggio, ogni pilone di questo centro commerciale reca l’imprinting della camorra più importante, più temibile, quella milionaria e imprenditoriale del signor Michele Zagaria.

Vede, signor Scarpa, noi non ci siamo perso una sola sillaba delle quasi 800 pagine dell’ordinanza del dicembre 2015, alla quale abbiamo dedicato 110 articoli. Ha letto bene, 110, che se vuole le favoriamo.

Secondo la Dda e secondo quel Gip del Tribunale di Napoli, la camorra, di fatto proprietaria del Jambo, ottenne, grazie al fatto di essere clan dei Casalesi, molte possibilità di edificazione, di servizi dimostratisi poi fuorilegge.

Le faremo l’elenco e poi dovrà spiegare perché invece, oggi, il permesso a costruire, ma soprattutto l’interessantissima relazione tecnica dell’architetto capuano Francesco De Lucia, ha in pratica firmato una sorta di amnistia rispetto ad azioni che l’autorità inquirente hanno considerato criminali.