LA DOMENICA DI DON GALEONE…

11 Maggio 2025 - 06:40

11 maggio 2025 ✶ IV Domenica dopo Pasqua

Il regno di Dio è più grande di ogni chiesa (Gv 10, 27)

La domenica “del Buon Pastore”. Noi siamo conosciuti da Gesù, buon Pastore: è l’annuncio di questa liturgia domenicale. Non siamo un gregge anonimo, in balia di un padrone, ma pecorelle predilette, conosciute da Dio, una ad una, per nome. L’uomo di oggi si sente misconosciuto come persona; numero tra numeri, ha la sensazione di essere abitato da forze oscure ma potenti, che lo manipolano fino a svuotarlo della sua libertà. A noi l’immagine del Buon Pastore, forse, può apparire poco espressiva, anzi, urtante. Noi, paragonati a pecore! Oggi, nel linguaggio corrente, viene chiamato “pecora” chi è sospettato di conformismo o di viltà; i testi biblici, invece, usano le parole pastore, pecora, gregge, con un significato affettuoso, umanissimo: l’agnello

è il simbolo del sacrificio; la pecora: della mansuetudine; il pastore: della protezione; il gregge: della coesione. Si tratta di immagini sempre vive, perché ricordano all’uomo di oggi, di sempre, la premura che Dio ha per lui.

* Per comprendere meglio l’immagine del pastore, dobbiamo fare riferimento alla vita palestinese del tempo di Gesù: l’ovile era un unico grande recinto; alla sera, i diversi pastori conducevano le pecore all’ovile, ove si mescolavano a quelle di altri pastori, i quali durante la notte vegliavano contro lupi e ladri. Al mattino, una scena allegra: ogni pastore entrava nel recinto, chiamava le sue pecore per nome, che riconoscevano il timbro di voce, e lo seguivano. Notate: Gesù si paragona al pastore, eppure i pastori erano una categoria sociale disprezzata! L’immagine del pastore evoca anche l’idea della vita come viaggio. Siamo in cammino. Le malattie, i disagi, i dolori … sono mali d’esilio, sono avvisi di lontananza, diceva Léon Bloy.

* Quello che ci deve stare a cuore, come credenti, è che ogni uomo cerchi e realizzi sé stesso. Perciò il nostro atteggiamento dev’essere quello di rispettoso ascolto degli altri, nella convinzione che tutti hanno qualcosa da insegnare, una parola da comunicare. Ci sono Parole di Dio seminate e da ascoltare, Parole non ancora accolte nella tradizione cristiana; sono quei frammenti del Logos, della Parola, che possono illuminare anche la nostra Verità. Allora il cristiano dev’essere necessariamente un pellegrino e un ricercatore della Parola disseminata nella molteplicità delle esperienze religiose. Credere di sapere tutto è presunzione. Noi siamo all’interno di un gregge, e il nostro gregge all’interno di altre greggi, il cui unico pastore è Dio, che guida tutti i suoi figli. Non siamo noi le guide! Noi siamo parte di questo gregge. Dovremmo essere un punto di riferimento, una presenza mite! Ha detto il Signore: “Quando avete fatto tutto, dite: Siamo servi inutili!”. Prese sul serio, queste parole aprono prospettive nuove. Intanto ci liberano dalla presunzione di crederci necessari. Mettono fine a tante nostre paure. Se gli africani, gli asiatici, i sudamericani … si muovono respingendo la paterna protezione dell’Europa cristiana, noi cominciamo a tremare … ma è Dio che libera. La chiesa non è europea né americana, non è proletaria né capitalista. Il Conclave che si è celebrato in questi giorni a Roma ce lo ha ricordato! Dovremmo essere felici che tutti i popoli si riprendano la loro dignità di uomini e di credenti. In piedi! Occorre rimetterci in discussione con tutte le nostre polverose biblioteche teologiche; se per caso i tutori dell’ordine ci perseguiteranno, anche noi, come Paolo e Barnaba scuoteremo la polvere dai nostri calzari, perché il “regno” di Dio è più grande di ogni “chiesa”. BUONA VITA!