La Domenica di Don Galeone. La terza domenica del tempo ordinario offre l’opportunità di riflettere sui temi della conversione e della chiamata, strettamente legati tra loro.

21 Gennaio 2024 - 12:11

21 gennaio 2024 ✶ III Domenica del TO

Seguire Cristo non è un privilegio ma una scelta!

Dopo il battesimo nel Giordano, Gesù si reca in Galilea, dove annuncia il Vangelo di Dio. Quattro sono i temi del suo annuncio: due riguardano la proposta del Signore (il tempo è compiuto, il regno è già in mezzo a noi), e due riguardano la risposta degli uomini (convertitevi, credete al Vangelo). Quel regno di Dio, che i profeti avevano annunciato, ora è tra noi; è finito il tempo dell’attesa, inizia quello della realizzazione. Nessuno può più ignorare gli inviti alla conversione, che partono già dall’Antico Testamento (I lettura). Si tratta di appelli urgenti , perché il tempo che ci resta si è fatto breve (II lettura).

Questa domenica riflettiamo sulla simpatica figura di Ionàh

Ci troviamo a Ierushalàim, nel IV sec. a.C. e gli ebrei ricordano con vendetta le deportazioni degli assiri, la distruzione di Ierushalàim, l’esilio babilonese … Quando arriva il tempo della ricostruzione, prevalgono i gruppi integralisti , fondamentalisti , farisaici; sono preoccupa della purezza della razza, interpretano l’elezione del popolo non come un servizio

ma come un privilegio. È in questo ambiente che vive l’autore anonimo del Libro di Ionàh, un rabbino intelligente, un fine umorista: sorride del fanatismo dei suoi connazionali, perché ha capito che Dio è “misericordioso, pietoso, lento all’ira, ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,6). Non fa ragionamenti come i filosofi ma inventa un midràsh, il cui personaggio è Ionàh (י נה), che significa colomba e nella Bibbia rappresenta Israele (Os 7,11).

Il Libro, molto breve, conta solo 48 versi, meno di 1400 parole, ma contiene tutto quanto è indispensabile alla narrazione, che si sviluppa in modo perfetto. Il Libro è talmente famoso da non aver bisogno di molte spiegazioni. Si tratta di un gioiello letterario in prosa. Il Libro di Ionàh è stato inserito tra i cosiddetti profeti minori; si tratta di una sorta di racconto esemplare come quelli di Tobia e Giuditta. Si pensa che sia stato scritto molto tempo dopo l’epoca a cui si riferisce, in ambiente post- esilico. Non è un Libro profetico, pur avendo come protagonista un profeta. È una parabola, un libro sapienziale perciò, un midràsh, una favola se si vuole, con finalità morale e teologica. Della fiaba ha tu gli elementi tipici, non è un racconto per i bambini, ma per gli adulti , perché si convertano e conoscano il vero volto di Dio.

Sappiamo poco di Ionàh: non era celebre, non prese parte a nessun evento del popolo ebraico; diverte più che disturbare, fa sorridere i suoi lettori più che farli piangere. Quando sentiamo il suo nome, la nostra mente comincia a pensare alla balena, alla tempesta del mare, ai niniviti con la loro allettante vita notturna e la loro corrotta vita diurna; ci aspettiamo a ogni momento che Dio mandi fuoco e zolfo sulla città del vizio. Eppure, leggendo la sua storia, siamo tutti invita a pensare più profondamente.

Strano personaggio!

Il suo fascicolo biografico è molto misero: solo il suo nome e quello di suo padre:י נהֶבן־ֲאִמ תי:Ionàh figlio di Amittài e nient’altro. Dove abita? È sposato? Chi sono i suoi amici, i suoi maestri? Impossibile accertarlo. Cosa faceva prima dell’avvenimento e cosa ne fu di lui dopo? Nessuno ce lo dice. Senza Ninive e i suoi peccatori, Ionàh non avrebbe avuto posto nella storia sacra ebraica – e neppure la balena! Nel cap. 4 c’è forse la rappresentazione più viva della grettezza del profeta. Essa si ripete ancora infinite volte nell’animo di molti credenti chiusi. Ionàh è il patrono dei fanatici di tutti tempi: Ciò dispiacque molto a Ionàh (Gio 4,1). Dio pone una domanda che conclude il libro e che è rivolta anche a noi: Il Signore gli rispose: “Tu dai pena per quella pianta di ricino, per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è seccata, e io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di 120 mila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?” (Gio 4,10).

L’insegnamento fondamentale: il richiamo alla conversione. A differenza della mitologia greca, l’ebraismo rifiuta il concetto di fatalismo. Il male può essere fermato. Meglio: può essere trasformato, scegliendo il pentimento. È sufficiente che l’uomo dica a se stesso: “Basta: devo cambiare prima che sia troppo tardi!”. Non si può modificare il passato, ma ci è dato il potere di plasmare il futuro. Come Dio ha il potere di cominciare, così l’uomo ha il potere di ri-cominciare da capo; la teshuvàh (la conversione) è sempre possibile a tutti : l’uomo può sconfiggere il fato ed esaltare la libertà. Il Libro si chiude con una domanda: il lettore dovrà rispondere. Davvero originale! Pochi libri terminano con una domanda!

Buona vita!