La Domenica di Don Galeone: “L’uomo può cancellare Dio dalla sua vita. E allora Dio è sostituito da tanti altri surrogati”
1 Agosto 2021 - 08:22
Domenica XVIII del TO (B) – 1 agosto 2021
CHI HA FEDE VEDE PIU IN ALTO E IN AVANTI!
Prima lettura: Io farò piovere pane da cielo (Es 16,2). Seconda lettura: Rivestite l’uomo nuovo! (Ef 4,17). Terza lettura: Io sono il pane della vita (Gv 6,24).
Andare oltre Il fenomeno delle quaglie, come quello della manna, può essere del tutto normale, ma nel momento critico di Israele nel deserto assume un significato religioso; non è importante definire la natura scientifica del fatto, ma coglierne il valore teologico (I lettura). E’ questa visione religiosa dei fatti che interessa all’autore sacro: educare il popolo a vedere Dio presente nella vita, a farsi delle domande: ? הוא מן) Es 16,15). Dio, infatti, è sempre Oltre e Altro e invita a non fare affidamento solo sul cibo che perisce: le quaglie, la manna, e ogni altro cibo umano alla fine stancano: “Non di solo pane vive l’uomo” (vangelo). Qual è allora il cibo “che dura per la vita eterna”? Nel vangelo di domenica scorsa forse ci è sfuggito un particolare: all’inizio del racconto c’erano i 5 pani e i 2 pesci, poi questi stranamente dimenticati; anche alla fine si parla di 12 canestri di pani avanzati e nessun accenno ai 2 pesci. Il simbolismo dei 5 pani e 2 pesci è molto interessante: i 5 pani sono i 5 libri della Toràh, che poi diventano 12 canestri, quante sono le tribù d’Israele. E i 2 pesci? Sono il companatico del pane, rappresentano gli altri due libri sacri, i Profeti e le Scritture, che servivano da completamento alla Toràh. Ora rimane solo il pane; sulla barca -nota Marco- i discepoli “hanno con sé solo un pane” (Mc 8,14): è chiaro il simbolismo: Gesù è tutto e l’ultimo alimento dato da Dio agli uomini.
La libertà è un rischio … Tutto il messaggio biblico si può leggere nel suo insieme come un invito alla liberazione dalla schiavitù, come un cammino verso la libertà. Quando nel Concilio si disse che la chiesa è il popolo di Dio in cammino, si affermò solennemente che essere cristiani è camminare, e non per cammini separati, ma tutti dentro il cammino comune dell’umanità. Anche ai cristiani può accadere di non voler camminare, di rimpiangere i tempi della sicurezza, quando tutto era chiaro, univoco nella predicazione e nel dogma, nella morale privata e pubblica. Ma la parola di Dio è un messaggio di liberazione dalla schiavitù, che non è la schiavitù al solo peccato, ma ad ogni male. Non prendere coscienza di questa liberazione globale, significa ridurre il messaggio evangelico a vaniloquio, utile ad anime stanche, che cercano compensazioni nelle illusioni.
… la schiavitù dà più garanzie! L’urto della parola di Dio va avvertito non solo la domenica nella predica, ma nel vivere quotidiano, nella vita, nel reale. Qual è oggi la forma di schiavitù che viene smascherata dalla parola di Dio? E’ la ricerca della sicurezza, basata sulle garanzie materiali. Il popolo ebraico rimpiangeva la schiavitù, perché questa gli dava sicurezza materiale; la folla seguiva Gesù perché aveva risolto il problema della fame. Dà sicurezza entrare sotto l’ombra dei faraoni, entrare nella sala del comando, dove si sta bene perché ci viene assicurato tutto. La libertà è un rischio, è mancanza di garanzie. La parola di Gesù, invece, ci mette fuori dalle zone di sicurezza ben tutelate dai tutori dell’ordine, che hanno in mano il lenocinio della sicurezza. Vivere nella fede vuol dire accontentarsi della “manna” dalla mattina alla sera, accogliere il dono del giorno, senza volere la sicurezza per il domani: la manna del deserto scendeva la mattina e doveva essere consumata durante il giorno, non poteva essere conservata; si doveva attraversare l’incertezza della notte. Anche i rabbini del tempo di Gesù raccomandavano di non lasciarsi prendere dall’inquietudine. Rabbi Eliezer insegnava: “Chi ha da mangiare oggi e si chiede : cosa mangerò domani?, è un uomo di poca fede!”.
Cosa dobbiamo fare? … Credere! Subito dopo la moltiplicazione dei pani, la folla vuole fare re Gesù; non vuole più perdere di vista quel personaggio che assicura il pane e la pietanza. Ma Gesù non vuole presentarsi come un mago, un operatore di miracoli, un demagogo che manipola le folle, un rivoluzionario politico. Gesù passa sull’altra sponda del lago, ma la folla non si dà per vinta, e lo raggiunge a Cafarnao, dove Gesù tiene il famoso “discorso del pane”. Si tratta di un discorso, lungo ed impegnativo, che segna davvero un salto di qualità: Gesù passa dal pane materiale al pane spirituale Gesù inizia con il “cibo che perisce” per concludere con il pane che “dura per la vita eterna”. Alla folla che gli chiede: “Che dobbiamo fare?” Gesù risponde: “Credere”. La fede nella sua persona è il fondamento; Gesù può essere realmente presente sull’altare, ma se non abbiamo fede, è come se un’orchestra suonasse davanti un uomo completamente sordo. Gesù denuncia senza mezzi termini quanti lo cercano per motivi materiali: “Voi mi cercate perché avete mangiato e vi siete saziati”. Il verbo “cercare” è tipico del vangelo di Giovanni, che lo usa tante volte, ma Gesù fa capire che non ogni ricerca è buona. Non basta cercare; si può cercare Gesù e si può cercare altro. Gesù non vuole essere strumentalizzato, piegato ai voleri dell’uomo, il “tappabuchi” delle nostre insufficienze. “Io sono il pane della vita”: c’è una fame ed una sete che solo Dio può esaudire. Non ci sono surrogati che bastino. Una convincente conferma l’abbiamo nelle Confessioni di s. Agostino: “L’uomo sarà sempre inquieto, finché non raggiunge Dio”. Nessuna parte può sostituire il tutto! L’uomo ha certo bisogno di pane, perché non è ancora giunto in patria, ma nello stesso tempo Gesù ricorda: “Non di solo pane vive l’uomo”.
Cercare Dio non è mai inutile! L’uomo può cancellare Dio dalla sua vita. E allora Dio è sostituito da tanti altri surrogati: “L’uomo è diventato talmente povero da non riconoscere la mancanza di Dio come povertà” (M. Heidegger). L’uomo è sistematicamente insoddisfatto, perché confonde le cose penultime con l’Ultimo. Non occorre molta fenomenologia dell’agire umano per avere conferma di questa verità. Se esaminiamo, per esempio, l’attività conoscitiva dell’uomo, vediamo che la sua ricerca del sapere è insaziabile ed inesauribile. Altrettanto riscontriamo nell’attività volitiva; la nostra volontà non è paga di quello che ha compiuto e acquistato. Persino sul corpo umano sono iscritti profondamente i segni dello spirito. Il nostro corpo è veramente “fenomeno” ossia manifestazione dell’anima, e il corpo ad un tempo vela e rivela questo spirito. E’ sul corpo che noi leggiamo la bontà e la malizia, la lussuria e la purezza di un uomo. Entro il suo orizzonte si trova una regione per il divino, un santuario per una santità ultimale. Questo non potrà essere ignorato: l’ateo lo potrà chiamare vuoto; l’agnostico potrà insistere nel dire che la sua ricerca non è approdata a nessuna certezza; ma tutte queste negazioni presuppongono la scintilla entro la nostra argilla, il nostro innato orientamento verso il divino: “Non mi cercheresti, se già tu non mi avessi trovato” (Agostino). In ogni caso, “Dio è il solo che non può essere mai cercato inutilmente, neppure quando appare impossibile trovarlo” (S. Bernardo).
Faust, l’uomo onnipotente senza Dio! Un umanesimo fondato su Dio è anche più umano. Dio non mortifica ma vivifica l’uomo. Il rapporto Dio-uomo, infatti, non è estrinseco né eteronomo. Quelle che noi chiamiamo «leggi di Dio» sono in realtà «leggi dell’uomo». Dio non è esteriore all’uomo, ma è più intimo a lui di quanto lui sia a se stesso. Porre il fondamento ultimo e la giustificazione suprema in Dio non toglie valore all’umanesimo fondato sulla ragione, ma piuttosto lo rafforza impedendogli di scivolare nel relativismo scettico prima, e poi nel nichilismo etico. Una delle più acute descrizioni di questo relativismo scettico e nichilismo etico dell’uomo contemporaneo è il bellissimo Faust goethiano. Conosciamo il destino di Faust. Per distruggere Dio, Faust (ossia l’uomo moderno), ha annientato tutto ciò che poteva opporsi all’uomo ma, arrivato al termine del suo sforzo prometeico, non trova che la morte. L’uomo, trasfigurato dall’orgoglio, si scopre sfigurato. Mai scoperta è stata tanto inquietante. Faust vuole diventare dio al posto di Dio, attraverso l’onniscienza e l’onnipotenza, secondo l’illusione dell’antico tentatore: “Eritis sicut dii”. Perciò soffre di una malattia che è contemporanea, chimerica e realissima, della quale la «Volontà di potenza» è la giustificazione intellettuale. Ma al di fuori di Dio, l’io dell’uomo si dissolve nel tormento della sua autonomia. Al problema-uomo “solo Dio dà una risposta piena e certa, Lui che chiama l’uomo a pensieri più alti e a ricerche più umili” (GS 21). Buona vita e buone vacanze!
In quel tempo Gesù raccontò questa parabola. Alla sinagoga bussò un giovane sporco e malridotto. Era uno spacciatore, ricercato dalle guardie e non sapeva più dove nascondersi. L’anziano rabbino aprì la porta, ma fu imbarazzato da quella visita. «Mi faccia entrare. Sono disperato». «Va bene. Questa notte puoi rimanere qui. Ma solo per questa notte. Domani mattina te ne devi andare! ». Quella notte l’anziano rabbino morì e arrivò in paradiso. Dio lo accolse con gentilezza e gli disse: «Vieni, entra in paradiso. Questa notte puoi rimanere qui. Ma solo per questa notte. Domani mattina te ne devi andare!» (dai racconti di Bruno Ferrero). Morale: Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti (Mt 7,12).