LA DOMENICA DI DON GALEONE. “Rallegratevi… fate festa!”
15 Settembre 2019 - 18:53
15 SETTEMRE 2019 – XXIV Domenica del T.O. (C)
RALLEGRATEVI… FATE FESTA!
a cura del gruppo biblico ebraico-cristiano
השרשים הקדושים
Le letture di questa domenica ci rivelano un Dio pieno di misericordia. La potremmo chiamare la “domenica della misericordia”, a motivo delle tre parabole raccontate da Luca. Gli insegnamenti sono tanti, troppi si direbbe. Il pastore non si sente felice perché ha 99 pecore al sicuro e solo una smarrita. La donna non si rassegna a perdere quella moneta scivolata chissà dove. Il padre non si consola con il figlio maggiore rimasto in casa. L’amore di Dio non è attento ai numeri ma alle persone. Per noi potrebbe essere un sollievo (quel poco di buono finalmente fuori!),per Dio invece è una sofferenza. L’uomo può stare senza Dio, ma Dio non si rassegna a stare senza l’uomo! E quando la pecora o la moneta o il figlio libertino viene ritrovato, Dio danza di gioia e obbliga tutti a fare festa. Ricordiamolo questo, quando andiamo a confessarci! Non portiamo a Dio i nostri peccati, ma diamo a Dio la gioia di essere Padre. Non ci chiede che fine hanno fatto i suoi soldi, ma di entrare in casa, di chiamarlo ancora Padre!
Il vangelo di questa domenica ci propone le tre famose parabole della misericordia. La terza, quella del figlio ribelle, viene commentata nella IV domenica di Quarerima, perciò oggi rifletteremo sulle prime due, quella della pecorella smarrita e della moneta perduta. Sembra che Gesù le racconti per invitare i discepoli a cercare i peccatori perduti per condurli alla casa di Dio; in realtà l’obiettivo è un altro e basta definire chi sono i destinatari delle parabole: si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo; i farisei e gli scribi mormoravano: costui riceve i peccatori e mangia con loro(vv.1-2). Quei “loro” non sono i discepoli ma i farisei e gli scribi, cioè i giuti (?). Strano: i chiamati alla conversione non sono i peccatori ma i giusti. I rabbini raccomandavano di non accettare inviti da gente poco raccomandabile. Gesù fa molto peggio: non solo accetta l’invito ma li riceve in casa sua. Gesù non racconta per convincere i peccatori ma per aiutare i giusti a correggere le loro idee. I peccatori sono le monete, le pecorelle perdute che però ora si trovanotuttiattorno a Gesù (tutti: è detto all’inizio del v.1), stanno facendo festa, i giusti invece stanno fuori e rischiano grosso se non cambiano modo di pensare.
La pecorella smarrita (vv. 4-7). Ci sono dei particolari illogici. Per esempio, il pastore dimentica le 99 nel deserto e poi corre di casa in casa, organizza una festa per un incidente abbastanza banale. Queste stranezze però ci orientano verso il significato profondo della parabola. I rabbini insegnavano che il Signore premia i giusti e rovina gli empi. Gesù capovolge la catechesi ufficiale e mostra che la tenerezza di Dio va non a chi la merita ma a chi è nel bisogno. Questo – naturalmente – non è un invito a diventarepeccatori per essere amati da Dio ma a riconoscersitali davanti a lui.
La moneta perduta (vv.8-10). I rabbini erano soliti ripetere due volte il loro insegnamento per imprimerlo meglio nella mente. Ecco perché Gesù racconta la seconda parabola che è molto simile alla prima. Rispetto a questa, c’è un elemento nuovo, la descrizione della donna in affanno (accende… spazza… cerca accuratamente), finché non trova la moneta perduta. E’ l’immagine di Dio Padre / Madre che non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli(Mt 18,14). Le due parabole mettono in risalto come l’iniziativa della conversione non parte dall’uomo ma sempre da Dio che va alla ricerca di chi è perduto.
Non si possono contare le persone perdute perché non amate da nessuno. Oggi non si ha riguardo se non per l’efficienza economica, la bellezza fisica, la forza muscolare. Eppure la felicità nasce solo se veniamo riconosciuti ed amati. Solo l’amore ci mantiene in vita, sempre giovani. Una persona non invecchia dentro fin quando si sente amata. Il vero ostacolo a questo amore del Padre non è la cattiveria dei cattivi, il peccato dei peccatori, l’infedeltà degli infedeli, ma la presunzione degli eletti, i quali si costituiscono misura di tutto, giudici e giustizieri degli altri, catoni e censori che distribuiscono premi e castighi. Prendono così il posto di Dio, se ne fanno i garanti, i geometri, i legisti. E’ un peccato sottile, non contenutodentro i normali protocolli del peccato; è il peccato dei giusti, come lo erano i farisei. Dobbiamo abbandonare la presunzione di essere i giudici dei nostri fratelli, i giudici dell’amore di Dio. Dobbiamo smobilitare continuamente le case che costruiamo con la presunzione che siano le case di Dio, perché Dio è fuori dalle nostre case, dalle nostre teologie. Dio cerca adoratori in spirito e verità. Quando un cristiano si propone con serietà di essere fedele al Vangelo, egli potrà essere accusato di infedeltà, perché per essere fedeli all’uomo e a Dio occorre essere, a volte, infedeli a ciò che gli uomini hanno stabilito. Proprio come Gesù!
Siate santi perché io sono santo (Lv 19,2). E’ questo l’imperativo che cadenza i libri dell’Antico Testamento. Ebbene, quest’invito alla santità mai risuona, stranamente, nelle parole di Gesù. Mai Gesù invita gli uomini alla santità. Perché? La santità intesa come osservanza di regole, di leggi, di precetti, se messi in pratica, allontanano dal resto della gente, non fa parte del panorama dell’invito di Gesù. Gesù sostituisce “siate santi” con “siate compassionevoli”. Mentre la santità separadal resto delle persone, la compassione è ciò che avvicina. Le persone, attraverso la santità, attraverso l’accumulo di preghiere, di devozioni, pensano di salire per poter raggiungere il Signore. Le persone religiose salgono per incontrare il Signore, e non lo incontrano mai perché il Signore è sceso per incontrare gli uomini.
Da qui è l’incompatibilità tra il mondo delle persone religiose e Gesù. E’ quello che ci insegna questo bellissimo capitolo 15 del vangelo di Luca. Scrive l’evangelista: Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. Bisognerebbe rallegrarsi che finalmente questa gente emarginata accorra a Gesù. E invece no! Ifarisei(piilaici che mettevano in pratica tutti i precetti della legge) e gli scribi(zelanti custodi dell’ortodossia)mormoravano contro Gesù. Queste persone pie si rivolgono a Gesù sempre con un’espressione carica di disprezzo, mai lo nominano, evitano sempre di nominarlo: Costuiaccoglie i peccatori e mangia con loro(v.2).Sono due crimini intollerabili. Mangiare con una persona che è impura significa che la sua impurità si trasmette agli altri. Le persone religiose non hanno capito che con Gesù è finita l’epoca in cui i peccatori devono purificarsi per accogliere il Signore, ma è iniziata quella in cui l’accoglienza del Signore è quello che purifica.Ma non lo capiscono. Ebbene, a loro – quindi non è rivolta al gruppo di discepoli – Gesù dice una parabola che è articolata in tre parti, la prima (Lc 15,4-7) è quella del pastore che perde una pecora sui monti e lascia le novantanove in cerca della pecora perduta e, quando l’ha trovata (εὑρὼν), èpieno di gioia (χαίρων); la gioia è la caratteristica di tutto questo brano.
L’idea centrale di tutto il capitolo è che il Padre di Gesù non guarda ai peccatori come «perversi», ma li vede come «perduti», cioè come qualcosa di molto amato che si perde. Qualcosa che si ama tanto, si abbraccia, si festeggia quando lo si trova. Il Dio di Gesù non giudica, non rifiuta, non censura e non rinfaccia nulla a nessuno. Il Padre rivelato da Gesù comprende sempre, accoglie e si rallegra, a prescindere dal traviamento di chi si è perso. Questo viene indicato anche da un particolare della prima lettura. Mosè allora supplicò il Signore(Es 32,11); il testo ebraico è molto più bello: Mosè allora cominciò ad accarezzare il volto del Signore יהוָ֣הוַיְחַ֣ל מֹשֶׁ֔ה אֶת־פְּנֵ֖י … Mosè si comporta come un bambino che vede il volto del papà corrucciato e prende a coccolarlo, fino a strappargli un sorriso. L’immagine di Mosè che accarezza il volto di Dio è una delle più belle di tutta la Bibbia, un antropomorfismo ardito ma rende bene l’idea di un Dio Padre / Madre.
Le religioni conservano e potenziano la loro autorità, facendo pressione sulle coscienze. Per questo utilizzano uno strumento potentissimo: il peccato, presentato come «perdizione», come «perversione», come «traviamento» condannato e castigato da Dio. Per questo manipolano i «sentimenti di colpa», tormentano le coscienze. Ed il peggio è che in terra ci sono rappresentanti di Dio e censori della religione che hanno un potere molto forte. Un potere che esercitano per condannare, rifiutare, emarginare, e non esitano ad invadere la vita privata. Gesù ha rotto con tutto ciò. Èdiventato amico dei peccatori e dei perduti, ha vissuto con loro e con loro ha condiviso tutto. Per questo ha tanto scandalizzato gli osservanti, ma anche per questo ha aperto orizzonti così grandi di speranza e di bontà. BUONA VITA!