LA DOMENICA DI DON GALEONE. “Servire il povero e non servirsi del povero”
1 Settembre 2019 - 10:00
Prima lettura: Umìliati e troverai grazia davanti al Signore (Sir 3, 17). Seconda lettura: Vi siete accostati alla città del Dio vivente (Eb 12, 18). Terza lettura: Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14, 1).
- La domenica “dell’ultimo posto”. Il tema della liturgia odierna è quello dell’umiltà (cioè: della verità!), propostoci attraverso la lettura del libro sapienziale del Siracide, e la parabola evangelica degli invitati a pranzo. In Israele il pranzo non era un semplice spuntino ma un abbondante convito cui partecipavano parenti e amici e si conversava di tutto. I maestri approfittavano di questi incontri per esporre le loro dottrine; lo ha fatto anche Gesù (Lc 5,29; 7,36; 9,17; 10,38; 11,37; 19,1; 22,7). Siamo nella casa di un ricco fariseo, e Gesù è tra gli invitai (v.1). A tavola non ci si siede come capita; i posti vengono assegnati con attenzione; al centro le persone importanti, accanto a loro il padrone di casa e poi gli altri. Gesù guarda divertito la scena, perché uno magari si è portato troppo avanti e deve retrocedere con imbarazzo; un altro invece è invitato ad avanzare e si schermisce con malcelato compiacimento! A questo punto Gesù introduce la prima parabola (vv.7-11).
- Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto… Il proverbio era già noto nella Bibbia (Pv 25,6) e Rabbì Shimeon dava lo stesso consiglio. Ma Gesù non vuole solo rendere furbi i suoi discepoli. Egli vuole colpire la smania dei primi posti (Mc 9,33), non tollera i titoli onorifici (Mt 23,8), deride quei pavoni religiosi degli scribi (Lc 20,46). Leggendo attentamente il brano, notiamo che la parola più ricorrente è invitato, ripetuta ben 5 volte; veramente il termine greco andrebbe tradotto meglio con chiamato: ὅταν κληθῇς quando sei chiamato… E’ ai chiamati che ambiscono ai primi posti che Gesù si rivolge. Altro particolare importante: Gesù prende a parlare in maniera sorprendente, non come ospite ma come se fosse il padrone. Non ci si comporta così in casa d’altri. Queste due piccole osservazioni ci indicano che non si tratta di un fatto storico ma di una cornice artificiale. Luca se ne serve per insegnare ai chiamati il giusto atteggiamento: è l’eterno problema della chiesa, quelli che dovrebbero servire, aspirano a primeggiare: la pia donna sul semplice fedele, il diacono sul protodiacono, il prete sull’arciprete, il vescovo sull’arcivescovo… E’ il cancro che distrugge le comunità. Gesù non chiede come rabbì Shimeon di arretrare di due o tre posti ma di capovolgere le posizioni: solo chi sceglie come lui il posto del servo sarà esaltato nell’unico banchetto che conta, quello del regno di Dio. Gesù non è un predicatore astratto; il suo linguaggio ti obbliga a riflettere.
- Dopo avere raccontato la parabola, ora Gesù si rivolge al fariseo che l’ha invitato (v,12). Direi che Gesù ha rovinato il clima festa, se la sta prendendo un po’ con tutti. Quel fariseo aveva solo rispettato la tradizione, che obbligava a invitare solo quattro categorie: gli amici, i fratelli, i parenti, i ricchi vicini (v.12). Possono stare vicini un dottore della legge con un contadino ignorante? un fariseo con un peccatore? Nella comunità di Luca (e di oggi!) c’erano questioni di precedenze, i presbiteri amavano i primi posti, il baciamano, l’inchino, la genuflessione, l’anello al dito, la tiara sulla testa … Luca si serve di un esempio per ricordare le parole di Gesù: bisogna dare inizio a un nuovo banchetto, in cui le quattro categorie della gente per bene cedano il posto ad altre quattro: poveri, storpi, zoppi, chiechi (v.13). Non è un insegnamento facile. Lo testimonia anche Giacomo nella sua lettera (Gc 2,2). In conclusione, Gesù suggerisce ad invitare quelli che non hanno la possibilità di ricambiare il favore. Gli uomini in genere seguono la logica del cosa me ne viene? Era anche la raccomandazione di Esiodo (VIII a.C.): invita a tavola chi ti ama e lasci stare il nemico. Ma attenzione: bisogna servire il povero e non servirsi del povero, quasi fosse semplice strumento per tacitare la coscienza. Solo così potremo esser figli dell’Altissimo (Lc 6,35).
- Ancora un avvertimento: forse noi non saremo i primi! C’è una folla invisibile, a noi sconosciuta, ma non a Dio, che ci precede. Il regno di Dio è infatti aperto a tutti; non abbiamo la minima idea circa il posto da noi occupato nella sua graduatoria.Chi presume di saperne di più, si prepari a lasciare il suo onorevole posto al banchetto. Basta aprire il giornale, accendere il televisore: una folla di umili, di ignoti anche alle nostre chiese, persone che mai dovremo giudicare perché sono cari a Dio, vivono e muoiono al di fuori della chiesa ma dentro il Regno di Dio. E’ l’immenso e anonimo popolo delle beatitudini. Gratuità, donazione, semplicità! Sono l’uscita di sicurezza dalle strettoie di un’esistenza pesantemente condizionata dalla protervia del potere e dell’avere, dall’illusione dell’onnipotenza, dal disprezzo di chi non ha denaro. Questa nostra società dello spettacolo e dell’immagine ha spento i riflettori sulle cose piccole e semplici. Che però tali non sono! E’ questo microcosmo della quotidianità, tanto deriso, che oggi va riconquistato, per poter di nuovo vivere senza lacerazioni, senza quelle frustrazioni che spingono a uccidersi “per noia”. Gesù invita ad accettare gli altri, quei commensali “poveri, storpi, zoppi, ciechi” che portano speranza e fantasia nella nostra nevrotica uniformità dei riti sociali.
- Il consiglio che ci viene dato è di prendere gli ultimi posti, meglio, di avere attenzione per gli ultimi. La storia dell’uomo in genere si regge sulla legge della competizione. La gara fra gli uomini e i popoli è fonte di progresso: ce lo hanno insegnato fin dalle scuole elementari. Siamo arrivati anche a crederci. Perfino filosofi come Eraclito ed Hegel hanno trovato quasi sempre una identità tra il prevalere di fatto e il prevalere di diritto. La società si organizza e vive sulla competitività, sul valore ultimo e assoluto del profitto, sull’arrivismo sociale fatto di raccomandazioni e bustarelle, di corsa alla macchina nuova o all’abito griffato come modo di emergere. Il giovane oggi si prepara ad inserirsi in questo tipo di società. E’ grave il pericolo di una scuola che diventa luogo di selezione sociale massificando i più relegandoli alla categoria di inferiori, e facendo emergere i meglio-dotati. Se una scuola “cattolica” facesse questo, commetterebbe un peccato gravissimo, e meriterebbe di essere chiusa subito, anche se viene stimata dalle famiglie piccolo-borghesi, che si servono di una scuola cattolica per continuare a occupare i primi posti nella società!
- L’atto di mangiare in comune, il simposio nelle culture antiche, aveva un’importanza che oggi in buona parte si è persa. Il pranzo condiviso era un avvenimento di integrazione sociale, in maniera che l’aspetto principale non era il sacro ed il profano del banchetto, ma la funzione integrante nella società antica, nella quale si combinava l’esperienza della mensa condivisa come atto di integrazione nella società ed anche di partecipazione ad un avvenimento sacro (D. E. Smith). Ma la categoria sociale dei commensali si rispecchiava nell’atteggiamento e nel posto che occupava nel banchetto: le persone di livello sociale superiore mangiavano sdraiati su divani, gli schiavi e i poveri mangiavano in piedi o a terra (Joan B. Burton). Gesù non tollerava le pretese dei farisei, nel voler essere sempre i primi. Essi si consideravano i primi nell’ambito religioso e sottolineavano questo anche nell’ambito sociale. Gesù ha voluto farla finita con una società di diseguali, di patrizi e plebei, di liberi e schiavi. Costruire una società egualitaria, nella quale tutti siamo fratelli, umani, buona gente veramente. Il resto è solo inganno
- Al banchetto dell’umanità siede soltanto una piccola parte. Gli altri sono fuori e fanno ressa. Siccome noi cristiani siamo tra i banchettanti, sappiamo di sedere in modo illegittimo al banchetto, perché non siamo gli ultimi. Fu un momento forte del Concilio ultimo, quando un vescovo disse: Aprite la carta del pianeta e guardate: il mondo cristiano coincide con il mondo ricco. Come dire: il mondo cristiano è sotto il segno del peccato. Le ricchezze, la cultura, i consumi delle nazioni cristiane del nord poggiano sullo sfruttamento, sulle spoliazioni, sui debiti dei popoli del sud! E’ una provocazione tanto forte che mette in crisi la fede, e ci rende non-credibili quando annunciamo il Vangelo. Le teologie nate all’interno dell’Occidente privilegiato sono colpite oggi da un sospetto: non sono esse espedienti ideologici per giustificare il privilegio? I popoli del benessere hanno elaborato le teologie del benessere! Per questi teologi, sapere significa anche essere onesti, e così l’errore dell’intellettualismo etico perdura da Socrate sino ai nostri giorni. I semplici non dicono più niente. Noi abbiamo tolto loro la parola perché la parola appartiene ai competenti, agli studiosi. Facendo di Dio un oggetto di studio, lo abbiamo riservato ai professionisti. Ma il Vangelo dice un’altra verità: Dio ha voluto rivelare i suoi misteri ai piccoli e ai semplici … Beati i poveri di spirito!
- Il Vangelo ci offre un’altra indicazione: la ricerca di rapporti umani liberi dalla legge del contraccambio. Noi facciamo tutto secondo le leggi di scambio. La nostra è la società del do ut des, con la variante del do ut facias. Fino a che punto dobbiamo partecipare a questo gioco, non è facile decidere, ma è importante capire che siamo arrivati ad una svolta, ci sono aperte due vie: la prima è quella della competizione, portata fino alle terribili espressioni delle multinazionali, che ci divorano e modellano la nostra coscienza; la seconda è quella di un progetto di vita modellato sul rispetto della natura, che ci garantisce le ricchezze, l’equilibrio, la pace. Cosa sceglieremo? E’ qui che dobbiamo manifestare la fede. E’ possibile vivere una vita di rapporti gratuiti, in cui davvero si invita a tavola senza calcolo, senza interessi nascosti? Certo, chi ha fede sa che il cammino verso il regno è lungo, ma che dobbiamo realizzarlo in qualche modo anche oggi nei rapporti privati. Se nella nostra educazione cristiana, invece di riempire la memoria con le risposte della vecchia saggezza, avessimo addestrato le coscienze alla libertà, alla creatività, al rifiuto delle risposte ovvie, avremmo già preparato generazioni capaci di anticipare nell’oggi il futuro. Buona vita!