L’EDITORIALE. CAMORRA ALL’AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE. Ecco perché (e leggetevelo tutto, per una volta) il caso dei fratelli Petrillo di CASALE è un fatto di inaudita gravità
21 Dicembre 2022 - 15:34
Riteniamo doveroso, per una serie di ragioni che esponiamo nell’articolo, tornare sull’argomento che in considerazione della sua importanza non merita il solito passaggio nella cavalleria del dimenticatoio. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli non ha ricevuto solo il rinvio a giudizio dei fratelli Luigi e Antonio Petrillo, titolari della Gruppo Petrillo Sas, aggiudicatario della gara da 400 mila euro per i lavori sul ponte Volturno, ma ha scritto anche tante altre cose che avrebbero dovuto divenire oggetto di analisi e di intervento, sia da parte del presidente Giorgio Magliocca, sia da parte del prefetto Castaldo
di Gianluigi Guarino
Abbiamo deciso di non farci scoraggiare mai dal dato di fatto dell’apparente inconcludenza, dell’apparente inefficacia dei nostri articoli di denuncia sul rapporto, molto spesso, troppo spesso opaco, tra politica e mondi imprenditoriali vicini alla camorra.
E’ vero, infatti, che la passione civile che ci pervade da sempre ci induce a sperare che certi fenomeni, che a nostro avviso sono alla base dell’arretratezza strutturale di questi territori, diventino seriamente oggetto di attenzione da parte delle diverse magistratura.
Riteniamo, infatti, che dietro certi fatti, dietro certe determine, dietro certe delibere, apparentemente ineccepebili dal punto di vista giuridico amministrativo, si annidino vicende inquietanti, dentro alle quali un’adeguata attività di indagine potrebbe portare alla luce la commissione, a quel punto evidente, di reati penali o di responsabilità contabili, con il conseguente salto di qualità dell’azione penale, solennizzata dalla Costituzione, ma anche dell’azione di controllo sul corretto utilizzo del pubblico danaro, terreno di analisi e di azione della corte dei Conti.
Se è vero ciò, però, il mancato raggiungimento di tali obiettivi, il fatto che il 95% del nostro lavoro di approfondita inchiesta passa, come si suol dire, in cavalleria, è anche vero che noi siamo prima di tutto e soprattutto dei giornalisti. E, come tali, dobbiamo trarre soddisfazione e dobbiamo sentirci gratificati dalla sola realizzazione del nostro lavoro.
Dunque, se oggi ritorniamo sulla notizia pubblicata circa 24 ore fa (CLICCA E LEGGI), relativa alla chiusura delle procedure economico contabili del super appalto aggiudicato nel 2021 dall’amministrazione provinciale di Caserta alla Gruppo Petrillo sas, ovvero all’impresa dei fratelli Antonio e Luigi Petrillo di Casal di Principe, entrambi arrestati nell’ambito dell’ordinanza ormai arcinota che mette insieme le attività – soprattutto romane – di Nicola Monaciello Schiavone e quelle molto più nostrane di Dante Apicella, se oggi ritorniamo su quei 400 mila euro – esattamente 397 mila, 100 euro e 96 centesimi – che la stessa Provincia ha già fatto confluire sui conti correnti della Gruppo Petrillo Sas, è perché ci poniamo il problema alle possibili confutazioni rispetto alle tesi esposte nell’articolo di ieri.
Guardate, questo è un territorio maledetto, in cui si fa una fatica boia a testimoniare i principi e i valori liberali che costituiscono la mia base culturale e che, conseguentemente, informano la linea politica ed editoriale di CasertaCE. Un posto maledetto, perché se nel Burundi fosse uscito un articolo come quello di ieri, il presidente della tal provincia del Burundi avrebbe scritto tre righe, avvertendo la necessità di chiarire la sua posizione sulla procedura che ha portato un’impresa che, per la Dda, ma anche per il Gip del tribunale di Napoli che l’altro giorno ha rinviato a giudizio i Petrillo, è contigua alla criminalità organizzata, nella specie al clan dei Casalesi.
Qui da noi, invece, funziona diversamente. Qui da noi ti mandano le cosiddette imbasciate: “Ma perchè non ci vediamo? Ci mangiamo una cosa; parliamone; mo’ ti spiego…“.
Scusa, ma se mi vuoi spiegare, perchè lo vuoi spiegare solo a me? Dato che questo non è un problema mio soltanto, cioè di Guarino, di CasertaCe, ma che incrocia pesantemente le ragioni della legalità, del presidio delle istituzioni contro le infiltrazioni malavitose.
E allora, non possiamo fare altro che cantarcela e di suonarcela pure.
In pratica, come in una sorta di teatro del paradosso, siamo costretti a recitare il ruolo, nella rappresentazione di un processo del diritto canonico, di avvocati del diavolo di noi stessi.
Loro hanno deciso di non esprimere il loro pensiero; noi faremmo volentieri a meno di sostituirli in questa funzione.
Ma siamo obbligati a farlo non per salvaguardare il signor Magliocca e il signor Palmieri, ma perché il signor Magliocca e il signor Palmieri rappresentano un’istituzione pubblica che, almeno sulla carta, è un bene dell’intero collettività.
Cosa potrebbero, dunque, replicare all’articolo di ieri il presidente della Provincia di Caserta e il dirigente firmatario della determina sulla chiusura dei conti economici con la ditta dei Petrillo?
Palmieri – ad esempio – potrebbe dire di aver solo firmato un atto dovuto rispetto ad una procedura, rispetto ad un appalto sul quale lui, per dirla alla Tonino Di Pietro, non ci azzecca nulla, essendo datato 2020, quando al vertice dell’Ufficio Tecnico c’era l’ingegnere Antonino Del Prete.
Questa ipotetica confutazione di Palmieri, invero fondata, non riduce, però, il carico di opacità degli appalti dell’amministrazione provinciale.
E questo non è un concetto forzato, elaborato ed esposto solamente da CasertaCE, ma abita pesantemente gli atti giudiziari di indagini della magistratura inquirente, unica fonte d’ispirazione quale fonte del nostro giornale.
Così come è avvenuto clamorosamente quando la procura della Repubblica di Benevento ha arrestato Raffaele Pezzella, il notissimo imprenditore di Casal di Principe, trapianto a Maddaloni e in tante altre zone della provincia, partendo da Teverola, accusandolo di essere il mediatore di mazzette che un gruppo di professionisti sanniti avrebbe consegnato ad un dirigente ed ingegnere non ulteriormente identificato (ed è incredibile che non ci sia stato nessuno che abbia ritenuto giusto di compiere un passo in avanti nelle indagini, dandogli un nome e cognome) operante nella nostra amministrazione provinciale.
Ricapitoliamo: Del Prete è il dominus della gara d’appalto, svolta in pieno periodo di lockdown covid; Giorgio Magliocca, presidente della Provincia, ha un rapporto che supera, anzi, esubera di gran lunga, tracima dalla normale relazione istituzionale con Del Prete, oltre quella che ci può essere tra un livello politico e uno tecnico burocratico, tra due potestà che la legge Bassanini pose su due piani diversi.
E anche in questo caso, l’affermazione non è frutto di un’espressione apodittica di CasertaCE, di una deduzione campata in aria, perchè la figlia di Antonino Del Prete è stata assunta, manco a dirlo, proprio al comune di Pignataro Maggiore, dove Magliocca è sindaco.
Questo è avvenuto dopo il pensionamento dell’ingegnere. Oggi, la figlia di Del Prete entra nel gruppone della mobilità e viene accolta nel comune di Caserta capoluogo, città di residenza sua e del papà
Il gruppone in questione è quello capeggiato dall’architetto di Casapesenna, Raffaele De Rosa, per gli amici Lello che negli ultimi anni ha fatto letteralmente il bello e il cattivo tempo al comune di Teverola, pronto ad esaudire tutti i desiderata dell’ex primo cittadino, Biagio Lusini.
Il fratello di Marcello De Rosa, sindaco di Casapesenna e consigliere provinciale delegato alla Viabilità, arriva fondatamente, a Caserta il prossimo due gennaio dentro a un pacchetto politico-lottizzatorio che sancisce e risancisce l’intesa tra Carlo Marino, Stefano Graziano (che, probabilmente, qualche parola per il De Rosa l’ha spesa per l’avvento dell’architetto nel capoluogo), ma anche con Giovanni Zannini e Giorgio Magliocca, visto e considerato che solo uno stupido potrebbe pensare che il presidente della provincia sia stato estraneo alla “mobilizzazione” della figlia di Del Prete da Pignataro a Caserta.
Magliocca e Antonino Del Prete – potremmo citare decine di esempi al riguardo – sono stati un corpo e un’anima, per cui, tutto ciò che il dirigente ha disposto nell’esercizio della sua potestà è stato quantomeno coperto e legittimato, se non addirittura ispirato, da Giorgio Magliocca, che al Del Prete ha garantito pieno appoggio politico.
Ergo: la gara d’appalto vinta dai fratelli Petrillo e tutto quello che è successo dopo, con proroghe, varianti grazie alle quali l’importo è cresciuto sensibilmente, di oltre 100 mila euro, è avvenuto, a nostro avviso, anche per effetto di una partecipazione politica consapevole del presidente della Provincia.
D’altronde, se la vicenda del cantiere si è chiusa il 15 marzo 2022, cioè un mese e mezzo prima del 3 maggio scorso, giorno dell’arresto dei Petrillo, è anche vero che, fermo restando il procedimento penale che ha portato al sequestro e poi al dissequestro delle imprese dei Pacchiello, esisteva un tempo durante il quale le istituzioni amministrative, overo proprio dal 3 maggio in poi, da un lato la Provincia, dall’altro lato la Prefettura, in nome e per conto della Nazione, avrebbero potuto e dovuto farsi carico della possibile e beffarda utilizzazione dei soldi incassati in larghissima parte o da incassare (pochi) dai Petrillo per rimpinguare conti correnti che la camorra, direttamente o indirettamente, ha avuto a disposizione, sia in uscita, attraverso i soldi liquidi utilizzati dagli imprenditori di Casal di Principe per cambiare gli assegni di Apicella, sia in entrata, visto che quelli assegni sono stati sicuramente versati (ammesso e non concesso che fossero tutti coperti), ma soprattutto perchè quei conti correnti – caro prefetto Giuseppe Castaldo, caro presidente Giorgio Magliocca, caro dirigente Gerardo Pamieri – secondo le ricostruzioni della Dda, sono stati costantemente rimpinguati da un rapporto intenso, fiduciario che i Petrillo hanno avuto con il clan dei Casalesi, con i suoi vertici, con Nicola Schiavone, figlio ed erede di Francesco Schiavone Sandokan.
Richiamando per un attimo all’ordine l’avvocato del diavolo che siamo costretti a far sopravvivere in noi, la confutazione potrebbe proseguire in questo modo: vabbé, ma dalle carte giudiziarie è emerso che i Petrillo cambiavano assegni, che sono stati indagati per riciclaggio, reato aggravato dal 416 bis, comma 1, già articolo 7, e comunque il tribunale del Riesame ha rivisto le misure a carico loro, dissequestrando i beni.
A questa confutazione noi così replicheremmo: se esiste una distinzione netta tra la procedura penale e le procedure amministrative, volte comunque entrambe a fronteggiare e a colpire i patrimoni della criminalità organizzata, ci sarà anche un perché.
Il capo d’imputazione, ora non più provvisorio, dopo il rinvio a giudizio di 48 ore fa a carico dei fratelli Petrillo, riguarda effettivamente il reato di riciclaggio per cambio-assegni e l’aggravante camorristica. In poche parole, nel capo 1 dell’ordinanza, cioè nella contestazione del reato associativo, il 416 bis, riguardante tutti gli altri commi diversi dal già citato comma 1, i Pacchiello non ci sono.
Conseguentemente, a loro carico non è stata contestata né l’accusa di diretta partecipazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, né quella di concorso esterno.
Okay, questa è la situazione-condizione giudiziaria dei fratelli Petrillo, che dal 16 marzo prossimo verranno processati con rito ordinario per il reato di riciclaggio e per l’aggravante dell’ex, del già, del fu articolo 7.
Ma nell’ordinanza sono scritte molte altre cose sui Petrillo. E se queste cose, che servono alla Dda per delineare una cornice, un contesto dentro al quale inserire le proprie accuse, se questi racconti non producono un diretto e ulteriore provvedimento giudiziario dei Petrillo, differente, molto differente, è la valutazione che su questi contenuti un prefetto e un presidente della provincia possono e devono dare.
Già ieri abbiamo profuso degli stralci di questi passaggi, se ve li siete persi, li ribadiamo.
Dichiara il pentito Luigi D’Ambrosio nell’interrogatorio reso alla Dda:
“Nicola Schiavone favoriva negli appalti Luigi ed Antonio, detti Pacchiello, nonché Angelo Massaro, perché ho visto parlare, presso il deposito della Edil Mascia, Antonio, detto Pacchiello, e Angelo Massaro con Dante Apicella e in un’occasione anche con Nicola Schiavone. Un argomento di questi colloqui erano lavori pubblici dall’importo di 8 milioni di euro da eseguire nel comune di San Nicola la Strada.”
Riguardo a questo appalto milionario, accertamenti effettuati dalla Direzione investigativa antimafia hanno fatto emergere che nel 2008 veniva costituito il consorzio DPM, tra i cui soci erano presenti i Petrillo, che si è aggiudicato i lavori proprio presso il comune sannicolese, dal valore in base d’asta intorno agli 8 milioni di euro (CLICCA E LEGGI).
Il consorzio DPM non era preesistente, ma era frutto di una precisa determinazione di Nicola Schiavone, il quale aveva preannunciato ai suoi adepti di avere già a disposizione l’appalto di San Nicola, prima ancora della pubblicazione del bando.
Per cui, il consorzio nasce sotto dettatura di Schiavone Jr. e chi vi entra, dunque, non lo fa per caso. Si tratta di imprese che il vertice del clan dei Casalesi considera cosa sua. Quel consorzio si costituisce ma soprattutto, come detto prima, si aggiudica l’appalto milionario al comune di San Nicola la Strada.
Una circostanza che, se non è sufficiente ad articolare e formalizzare un’accusa all’interno del procedimento penale, al contrario lo è largamente per far scattare una reale attività di analisi e indagini amministrative.
Oltre a ciò, anche in questo caso, secondo la Dda, i Pacchiello avrebbero girato importanti somme di denaro, oltre mezzo milione di euro dal 2010 almeno fino al 2019, ad Antonio Magliulo, indicato come prestanome di Dante Apicella.
Accettiamo il rischio di essere considerati ripetitive e ridondanti, ma lo vogliamo ribadire: se questa ricostruzione non ha portato ad un’incriminazione specifica dei Petrillo, gli strumenti normativi dei procedimenti amministrativi anticamorra forniscono alla prefettura e al presidente della Provincia Magliocca ampi elementi per studiare qualche atto di cautela, in modo da bloccare le procedure definitorie dell’appalto da 400 mila euro per i lavori di riqualificazione del Ponte Volturno sulla Provinciale 96.
Perché se non c’è certezza giudiziaria, penale, sul fatto che i Petrillo siano stati o sono ancora soci di fatto del clan dei Casalesi, la ricostruzione della Dda rende sicuramente possibile questa evenienza.
Ecco perché (ci concediamo una parola un po’ fuori posto) consideriamo un vero e proprio schifo quello che sta succedendo da qualche anno a questa parte alla provincia di Caserta, letteralmente assaltata da ditte provenienti da Casal di Principe e da comuni affini e viciniori; e uno schifo consideriamo anche ciò che il governo della Nazione, attraverso un prefetto sottoposto alla potestà del ministro degli Interni, dovrebbe fare in un territorio nel quale gli arricchimenti dei clan, tramite il controllo del sistema degli appalti, non costituiscono una leggenda metropolitana, ma sono il pane quotidiano che abita decine e decine di atti giudiziari.
Per cui, se in questa vicenda ci mettiamo l’avvocato difensore, nel nostro caso quello del diavolo, e conseguentemente andiamo ad approfondire maggiormente i fatti, la situazione, la responsabilità politica, ma anche morale, del presidente della provincia Magliocca e del dirigente Palmieri diventa ancor più pesante, di una cifra peggior di quanto non si configuri nel momento in cui ci si occupa di tali avvenimenti con articoli meno approfonditi o meno pensosi.