L’EDITORIALE. La rivolta dell’edicolante di CASERTA: il vecchio “bossismo” anti meridionale, rispolverato da Feltri e il nuovo “bossismo” anti settentrionale di De Luca si sostengono l’un l’altro

23 Aprile 2020 - 11:04

Una dovuta riflessione sui teatrini e sub teatrini che servono a ubriacare il popolo, distraendolo dalle vere ragioni, tutt’altro che nobili, tutt’altro che ideologiche, di queste sortite

(Gianluigi Guarino) Vittorio Feltri che, badate bene, non è un giornalista qualsiasi, ma uno degli allievi prediletti da Indro Montanelli, da cui è fondamentalmente gemmato, esaspera, in età avanzata, ancor di più, quell’attitudine alla provocazione che ha segnato la sua vita professionale di giornalista, di direttore e di penna fra le più brillanti esistenti in Italia e anche tra le più seguite per il suo stile asciutto e comprensibile, retaggio evidente della prosa montanelliana.

La notizia dell’edicolante di Caserta che ha deciso di non vendere più il quotidiano “Libero” di cui Feltri è direttore, (CLIKKA QUI PER LEGGERLA) sollecita una nostra breve riflessione-

Oggi esiste un contesto delle trasmissioni che, per la prima volta, dal 94 in poi, l’area di centrodestra è riuscita a costruire con un progetto editoriale sistematico nella filiera del prime time di Rete 4, dal lunedì al giovedì, diventando competitivo contraltare (la novità è che i dati di ascolto sono piuttosto buoni per i vari Porro, Giordano, Palombelli e Del Debbio) dell’uniforme e sempre iper organizzata filiera delle trasmissioni schierate fondamentalmente con il Pd e il centrosinistra, ampiamente strutturato nella storica Raitre, pagata con il canone da tutti gli italiani, compresi quelli che non votano centrosinistra ma centrodestra, e nella televisione di Urbano Cairo, cioè La7.

E’ ovvio che dentro a queste trasmissioni non può non svolgere un ruolo di protagonista e spesso di mattatore, uno dei pochissimi giornalisti di quella minoranza che sempre, dal 94 in poi, anche a costo di separarsi dal proprio padre professionale Indro Montanelli, ha difeso le ragioni e rappresentato gli obiettivi politici dell’area berlusconian-leghista più che di quella finian-alleanzina. Negli ultimi anni, però, Vittorio Feltri ha sintonizzato il suo giornale, cioè “Libero”, con la pancia leghista del nord.

Attenzione, la pancia va al di la di Salvini, non è formata da 10 persone, ma, volente o nolente, piaccia o non piaccia alle anime belle del politically correct, da milioni di cittadini che con le loro partite Iva pagano tonnellate di tasse e che in essa sopravvive un’antipatia per tutto ciò che succede al sud. Non necessariamente per i meridionali che altrimenti non sarebbero presenti anche ad altissimo livello nelle strutture di potestà del nord Italia, ma per la mentalità statalista, assistenzialista, parassitaria che ancora esisterebbe al di sotto del Garigliano.

Naturalmente, questa pancia emotiva del leghismo primordiale che ancora è legato alla buffa cerimonia delle ampolle riempite alle sorgenti del Po da Umberto Bossi, si è rianimata, dopo che Salvini l’aveva messa in un angolo, attraverso il progetto e la costruzione (in verità, in maniera più che discutibile al sud) di un partito nazionale degli italiani, di tutti gli italiani. Ringalluzziti i leghisti della prima ora da un altro arruffapopolo, magari meglio in grado di sistemare i congiuntivi, ma sempre di furbo arruffapopolo si tratta, cioè Vincenzo De Luca, nel pieno della narrazione sui lanciafiamme, sui rastrellamenti (ci mancava solo che organizzasse una contro cerimonia delle ampolle alle sorgenti del Volturno, nella molisana Rocchetta) se n’è uscito con una frase che avrà strappato un applauso al pur stanco e malandato Umberto Bossi: chiudo i confini della Campania ai lombardi, ai veneti, eccetera.

Affermando questo, De Luca ha utilizzato un registro dialettico tipicamente leghista: la dichiarazione, lo slogan fine a se stesso e per il resto stupido, dato che non ha neppure l’obiettivo di apparire logico e praticabile. Siccome Bossi non c’è più ma esiste ancora quella pancia della Lega arcaica formata da milioni di persone, il Feltri ha preso la palla al balzo e ha rilanciato, sparando ad alzo zero contro i meridionali.

Insomma, di fronte a Umberto… De Luca, è andato a nozze il vero successore di Umberto Bossi, cioè quel Vittorio Feltri che per motivi commerciali e dopo la vendita di “Libero”, non è che sta lì a pensare che una dichiarazione del genere possa danneggiare Salvini e la nuova ideologia che questi ha imposto alla Lega ma, oggettivamente, dà voce, e (questo non può non accadere con calcolati toni striduli e scomposti), ai suoi lettori della Val Brembana, delle Alpi lombarde, della Valtellina eccetera.

Una roba del genere, in tv, non si vedeva più da almeno 15 anni. Finanche l’ultimo Bossi, quello già malato e spiazzato dalle inchieste sulla vita pecoreccia e folkloristica del suo entourage, a partire dalle sorti spassosissime del figlio Renzo Bossi, detto il trota, non aveva osato fino a tanto. Ciò, martedì sera, è potuto accadere perchè è stato creato un pretesto socio politico, un vero e proprio casus belli, rappresentato dalla chiusura dei confini nazionali, pardon, regionali, ordinato da De Luca.

Ma il governatore della Campania e Vittorio Feltri sono due vecchi rincoglioniti? Niente affatto. Semplicemente pensano ai cazzi propri e non certo al bene comune. Feltri dà voce alla corrente più oltranzista e tradizionalista della Lega lombarda, mentre De Luca ritiene che fare il boss del sud li renda (e probabilmente è così), in funzione elettorale.

In poche parole, il neo anti settentrionalismo è una categoria eccentrica, che solo uno come don Vincenzo poteva tirar fuori, collegandosi involontariamente speriamo, alla storia di quell’autonomismo siciliano in cui germinò la mafia e che rappresentò anche il pretesto per discutere su quello che era stato solo e solamente un eccidio, cioè la strage di Portella delle Ginestre da parte di Salvatore Giuliano. Succede quello che è successo martedì sera perchè questa apparente mattana di De Luca finisce per diventare una stampella a cui si appoggia il malandato anti meridionalismo bossiano, interpretato da Feltri.

Si intendono l’un l’altro e l’uno, pena la loro dissoluzione definitiva, del leghismo bossiano e la dissoluzione in culla del leghismo deluchiano, non può fare a meno dell’altro.

In mezzo, c’è l’edicolante di Caserta che abbocca all’amo di entrambi e, ingenuamente, issa la bandiera della mobilitazione sociale e morale.

Conclusione: lasciamo perdere la seconda, la terza generazione degli emigrati che dal sud hanno raggiunto, a milioni, il nord dopo la seconda guerra mondiale e per almeno altri due decenni successivi. Di quelle generazioni fa parte, ad esempio, la moglie di Umberto Bossi e comunque il grado di integrazione, il punto di vista che queste persone hanno nei confronti delle genti da cui provengono e dei luoghi in cui abitano molti loro congiunti, non è più un argomento interessante da un punto di vista socio politico.

Interpelliamo invece la platea sterminata di giovani meridionali che oggi lavora al nord, facendosi onore e prevalendo molto spesso per intelligenza, per talento e per attitudini sui nativi, sulla popolazione autoctona dalla quale hanno preso solo il buono della disciplina, dell’abnegazione rispetto al lavoro e di quella cavolo di sveglia che, dal lunedì al venerdì, è puntata e suona alle 6 del mattino.

Vediamo un pò cosa ne pensano del divieto di De Luca. Io personalmente conosco decine e decine di ragazzi che, non a caso non abbiamo definito emigrati, ma capitale umano dell’Italia che si va a collocare in aree dove esiste un’offerta di lavoro che al sud non c’è, grazie al sostegno economico dei propri genitori che abitano al sud, sono tappati in casa a Milano da più di due mesi e che hanno la necessità economica, morale, psicologica, di ricongiungersi ai propri affetti. Tutto si aspettavano fuorchè un discorso del genere da parte di un governatore che afferma, ormai nessuno ci crede più, di essere progressista e di sinistra.

E prima i lanciafiamme e poi i carabinieri e l’evocazione di fucilazioni sommarie e la cortina di ferro o meglio, una linea gotica ribattezzata magari linea rococò, per bloccare gli ingressi in Campania dal nord, almeno loro, questi ragazzi preparati, sanno bene che dal 4 maggio occorrerà una particolare attenzione per le regole di prevenzione per evitare la diffusione del virus. Sanno bene che la libertà non è più un fatto scontato ma che va gestita, protetta giorno per giorno.

Questo lo sanno bene perchè sono ragazzi intelligenti che coltivano la loro speranza di affermazione attraverso la conoscenza e il lavoro. L’ultima cosa che meritano è di sapere che a Napoli comanda Umberto Bossi.