Ma il super colletto bianco Nicola Schiavone monaciello, che veste solo Brioni, è un camorrista o no? Le interessanti e ficcanti domande del giudice Meccariello. Ecco come gli risponde il figlio di Sandokan
18 Luglio 2024 - 13:34
Non a caso abbiamo selezionato solo le domande poste da chi poi la sentenza di questo processo la dovrà scrivere. Ne è venuto fuori qualcosa di molto intrigante, su cui abbozzare anche qualche previsione
CASAL DI PRINCIPE (G.G.) – Il presidente del collegio giudicante nel processo che vede sul banco degli imputati il faccendiere di Casal di Principe e sospetto camorrista trapiantato a Napoli e a Roma Nicola Schiavone, detto monaciello, ha partecipato attivamente agli interrogatori riguardanti l’esame, ad opera del Pm della Dda e degli avvocati difensori di Schiavone e degli altri imputati, di un altro Nicola Schiavone, nipote di monaciello, che lo ha anche cresimato, ossia del figlio, divenuto collaboratore di giustizia, di Francesco Schiavone Sandokan.
Quando il giudice apicale di un collegio giudicante interviene con le sue domande nelle fasi di esame e controesame, i suoi quesiti posti ai testimoni assumono in peso specifico sicuramente più alto rispetto alle domande poste dalle parti, cioè dal Pm e dagli avvocati difensori.
Il presidente del collegio vuol capire meglio, vuol dipanare i suoi dubbi.
E se chi dovrà poi emettere la sentenza, si muove in questa maniera, l’osservatore attento – per usare un’espressione gergale – appizza le orecchie, perché sono quelle domande dalla cui risposta potrebbe dipendere anche il segno della sentenza, ossia una condanna oppure un’assoluzione.
In poche parole, non è arte divinatoria quella di comprendere, soprattutto da parte di chi ha esperienza e magari conosce già i contenuti di altre sentenza, emesse dallo stesso giudice, quale sia l’orientamento in itinere del magistrato su cui peserà l’onere del verdetto.
Ecco perché noi di Casertace che proviamo a seguire la cronaca giudiziaria in un certo modo, ci siamo soffermati soprattutto sulle domande del presidente del collegio. Sulle domande e sui suoi interventi, che molto ci hanno incuriosito soprattutto durante il complicato e per certi versi tesi interrogatorio, dell’avvocato Esposito Fariello, per anni legale della maggior parte dei componenti della famiglia Schiavone, che oggi si trova a difendere Nicola Schiavone monaciello, collocandosi dunque in una posizione alternativa di autentica controparte rispetto a quelle di Nicola Schiavone junior e di Giuseppina Nappa, madre di quest’ultimo o moglie di Sandokan.
Un tempo si potrebbe dire tutti insieme appassionatamente, clienti dell’avvocato Esposito Fariello, parimenti a Nicola Schiavone senior monaciello, oggi testimoni dell’accusa e dunque avversari nel dibattimento di questo avvocato napoletano della cui vita professionale, sicuramente molto autorevole, ci stiamo occupando, avendo anche saputo della presenza nel suo studio di giovani promesse dell’avvocatura campana, in qualche circostanza figli d’arte.
Ma torniamo al presidente Giuseppe Meccariello.
Subito dopo l’esaurimento delle domande poste da tutti gli avvocati difensori a Nicola Schiavone junior, dopo la conclusione del controesame, il giudice rivolgendosi al testimone gli chiede: “Le faccio un esempio concreto: c’è un imprenditore che nasce con il supporto di un’organizzazione camorristica, dopodiché cresce, prende per esempio un appalto di
livello nazionale o internazionale in forze di conoscenze che ha acquisito in ragione
della sua crescita, allora quando poi lei dice: “c’è mio padre alle spalle”, questo esserci
mio padre leggasi camorra alle spalle, significa che la camorra condizionava
l’acquisizione di questi appalti o che gli appalti che autonomamente venivano acquisiti
in forza della capacità imprenditoriale che si era sviluppata poi si tramutava in un
vantaggio per la camorra perché doveva versare parte delle somme alla camorra? Sono
due cose un po’ diverse, vorrei che lei le chiarisse”.
Prima di riportare la risposta di Nicola Schiavone junior, è evidente che il giudice si ponga il problema della gradazione di un’eventuale sentenza nei confronti di Nicola Schiavone Monaciello.
416 bis e copiosa giurisprudenza alla mano, la relazione tra un imprenditore e la camorra può essere infatti di gradazione diversa e può anche non essere. Una cosa è, infatti, la diretta partecipazione al sodalizio criminale, altra cosa comunque parimenti grave nelle sue conseguenze giudiziarie, è il riconoscimento di un concorso esterno al perseguimento degli obiettivi del clan, altra cosa ancora è la contestazione, una volta contenuto nell’articolo 7 della legge 203/91, che in pratica stabiliva l’esistenza di un’aggravante che interveniva nel momento in cui la commissione di un crimine determinava vantaggi concreti agli obiettivi e agli interessi del clan, altra cosa ancora è eliminare ogni implicazione camorristica stabilendo una rottura netta tra quello che è stato prima e quello che è stato dopo, consistito magari in attività in grado di integrare l’accusa per un reato, ma senza configurare nessuna relazione né interna, né esterna, né di favore nei confronti del clan malavitoso.
Rispetto alla posizione di Nicola Schiavone monaciello il giudice si pone, giustamente, nella condizione di chi ha bisogno di acquisire dal dibattimento gli elementi costitutivi di una convinzione.
Risposta alla domanda da parte del figlio di Sandokan: “Sì, in questo caso lui ha camminato nel senso che inizialmente siamo stati insieme e poi
per le sue capacità e per le sue entrature e per le spendibilità non solo sue, si proponeva come una persona di Casale, aveva
amici degli amici e tutte queste cose qua, poi se lui le ha apprese e non siamo
intervenuti noi sulle varie agenzie, questo qui sì, ma comunque lui riconosceva la quota
parte proprio perché siamo andati insieme e la società è la stessa, è come se due fratelli
mettono insieme una società, uno si occupa del movimento terra e l’altro va a fare i
contratti, ma comunque rimangono soci.”
Il presidente: “Sì, ma quello che guadagnavano ve lo versava in parte?”
Teste: lui dava i soldi a mia madre fino all’ultimo a tutto, fin quando io sono stato libero, ha
portato i soldi a mia mamma.
Presidente: quindi la sintesi delle sue dichiarazioni è: le origini –tra virgolette- casalesi di questa
persona potevano essere autonomamente spese per avere una sorta di metus nei
confronti degli interlocutori, ma noi non siamo intervenuti perché non era necessario e
comunque ci prendevamo parte dei soldi, è così?“
Teste: sì.
Presidente: perfetto, grazie.
In sintesi, gli Schiavone si consideravano soci a tutti gli effetti del loro parente. Non intervenivano solo perché questi, nel mondo dorato che era riuscito ad agganciare, non aveva alcun problema per crescere economicamente. I ricavi, però, li doveva dividere con il resto della famiglia Schiavone, che si considerava socia a tutti gli effetti. Al riguardo, l’esempio che Nicola Schiavone junior fa di una società formata da due fratelli, i quali si dividono nettamente i loro compiti, “uno si occupa del movimento terra e l’altro va a fare i contratti, ma comunque rimangono soci” è molto efficace per decriptare il senso, il significato anche più profondo e sotteso della sua risposta.