Prostituzione e magia nera, il trans Pamela nega tutto: “Sono una stilista e organizzatrice di concorsi di bellezza”
23 Aprile 2024 - 18:36
In aula le dichiarazioni di colui che è ritenuto a capo dell’organizzazione criminale.
CASTEL VOLTURNO. Ricardo Josè Santos De Silva, in arte Pamela, imputato nel processo ad 11 transgender brasiliane che rispondono di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e allo sfruttamento della prostituzione, ha reso oggi dichiarazioni ai magistrati della Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Roberto Donatiello.
“Pamela”, ritenuta dall’accusa a capo dell’organizzazione, ha negato di far parte di quel mondo, affermando, invece, di essere “una stilista ed organizzatrice del concorso Miss trans Universo”. Pamela ha anche sottolineato che i contatti con le ragazze transessuali erano per lo più legati agli spettacoli ed al concorso di bellezza da lei organizzati.
Furono due le denunce presentata da un trans al commissariato di Castel Volturno, che portarono all’inchiesta ed ai successivi arresti, lo scorso luglio, di 11 persone appartenenti, secondo la procura, ad un’organizzazione criminale che sfruttava i transessuali brasiliani e che faceva capo proprio a Pamela.
Il processo, iniziato lo scorso febbraio, vede al banco degli imputati la stessa Pamela, Rafael Da Conceicao Nunez, alias Tamara, Lazaro Luis Barbosa, Anderson de Jesus Lima, Julia Machado Matos, Rogerio Paulo Carneiro da Silvia, Henrique Paulo Alves de LimaJussara Fatima Benfica Neves, Jonathan’s De Albuquerque e Daniele
L’organizzazione criminale faceva arrivare in Italia i brasiliani, costringendoli poi a prostituirsi. Le vittime della tratta erano costrette a sottoporsi ad interventi chirurgici (che poi dovevano rimborsare ai loro aguzzini) ed a sottostare ai desiderata dei carnefici.
Le vittime venivano reclutate a San Paolo, in Brasile, da un referente dell’associazione. Dopo un periodo di “prova” nel quale erano indotte a prostituirsi in Brasile, una volta procurata la documentazione utile all’espatrio e il biglietto aereo, i cui costi erano sostenuti dall’organizzazione criminale, venivano inviate in Italia.
All’aeroporto di Milano Linate venivano prelevate da componenti dell’organizzazione e fornite di una dichiarazione fittizia di ospitalità, garantendone così l’ingresso e la permanenza legale per motivi di turismo in Italia. Successivamente, venivano condotte a Napoli, dove un ulteriore membro dell’organizzazione aveva il compito di prelevarle e portarle in auto fino all’immobile individuato, di volta in volta, a Castel Volturno, soprattutto nelle aree di Licola e Varcaturo.