Quando Mario Nobis si giocò alle macchinette in pochi minuti 20mila euro che doveva dare alle famiglia dei detenuti. Il doppiofondo in cui viaggiavano i soldi riciclati
2 Giugno 2018 - 17:23
CASAPESENNA (g.g.) – Strano personaggio questo Mario Nobis. Ha vissuto gli anni del declino del gruppo di Zagaria, decimato dagli arresti. All’inizio del secolo era troppo giovane e il padre Salvatore Nobis detto Scintilla era ancora in libertà.
Per come ha dimostrato di essere fatto, anche nel caso in cui il super boss non fosse stato arrestato e il suo impero criminale fosse sopravvissuto, difficilmente Mario Nobis, nonostante un padre importante dal punto di vista criminale, avrebbe fatto gran carriera.
Non è che nella camorra e nel clan dei Casalesi il vizio ha significato necessariamente l’assunzione di un ruolo secondario. Ma nel caso di Mario Nobis, il suo era proprio un vizio brutto per il contesto in cui si esprimeva. A riguardo, il racconto del collaboratore di giustizia Michele Barone è ampliamente esplicativo di quello che abbiamo scritto in premessa. Mario Nobis venne in possesso della cifra di 20mila euro che avrebbe dovuto suddividere tra la famiglia dello stesso Barone e la sua per la detenzione del padre Salvatore. Sapete invece cosa fece? Si giocò e perse tutto, fino all’ultimo centesimo. Insomma, un ludopatico non affidabilissimo, seppur sostenuto da un cognome che nella cosca di “zio Michele” pesava eccome.
Un altro stralcio dell’ordinanza Inquieto da noi scelto oggi, riguarda sempre Mario Nobis. Attenzione, sembra una cosa in contraddizione con quello che abbiamo scritto fino ad ora, ma in realtà non è così, dato che in questo caso, la sua disponibilità a raggiungere Nicola Inquieto in Romania, lo rendeva prezioso per il trasferimento, leggi riciclaggio, di somme di denaro in contanti.
Stavolta il racconto che potrete leggerlo a porta la firma di un altro pentito “eccellente”: Attilio Pellegrino. L’auto usata era una Peugeot 207, i soldi venivano ben custoditi in un doppio fondo.
In questa ordinanza sonos tati assunti anche interrogatori non specifici, ma relativi ad altre inchieste. E’ il caso di quelli di Benito Natale, esponente del clan dei casalesi fazione Schiavone in quel di Grazzanise. Lì Zagaria stava costruendo un immobile e aveva affidato la realizzazione, pagandoli direttamente lui, così racconta Benito Natale a Teodoro D’Angelo zio dell’arcinoto Gianni Morico, e a Giovanni Di Martino. Dopo l’arresto di Zagaria quell’opera continuò e su indicazione delle cognate di questi, cioè delle mogli di Antonio e Carmine Zagaria, era mario Nobis ad occuparsi del pagamento di D’Angelo e Di Martino