REGGIA DI CASERTA. Il Comune grande assente su accoglienza e ordine pubblico. E all’interno del Palazzo Reale, stesso degrado dell’epoca Felicori. La Maffei prende (o perde) tempo

18 Febbraio 2020 - 13:00

Caserta – (pasman) A bene vedere, il discorso cittadino sulla Reggia, per la pochezza delle idee e la povertà del contesto culturale, si riduce a questo: quanti visitatori essa riesce ad attrarre e che volumi turistici garantisce al capoluogo. Di ben altro tenore quello che ne dicono osservatori esterni, dotti esperti come Tomaso Montanari o Vincenzo Trione, che nei propri interventi, pur occupandosene occasionalmente, sono in grado di cogliere il nocciolo delle questioni al momento in gioco sul piano scientifico, artistico e museale, senza perdersi in quelle faccende di bottega. In queste ore, siamo al punto che addirittura rappresenta una notizia il fatto che nella residenza borbonica verrà girato una serie televisiva internazionale  (ad iniziare dal  TG Campania per venire agli organi di informazione casertani in generale e con una enfasi farsesca). Quando è nelle premesse – trattandosi di una fiction e mai termine fu più esplicativo – che i luoghi  reali verranno mistificati per assoggettarli alle esigenze di scena, di azioni che si svolgono in altri tempi ed in altri contesti.

È proprio un tale deficit di giudizio a rendere possibile che, da una domenica all’altra, nell’informazione locale, senza avvertire un minimo di contraddizione, si possa parlare allo stesso tempo di boom e di declino degli ingressi al monumento. Il quale, lo ribadiamo la milionesima e una volta, ha un’attrattività sua propria, che va semplicemente valorizzata senza stramberie.

Ma come stanno realmente i fatti, fuori delle narrazioni interessate e di comodo, di questa perenne vicissitudine casertana?

Per comodità di ragionamento, ci riportiamo all’altra ancora domenica, quando, con un’affluenza record di turisti grazie all’accesso gratuito al palazzo borbonico, il grande assente è stato ancora una volta il comune. Mentre i volontari dell’associazione carabinieri disciplinavano ed assistevano le persone in fila e le forze di polizia con i militari dell’esercito assicuravano la sicurezza del sito, non un vigile urbano si curava, se pure ne erano presenti, di far sgombrare le automobili in sosta abusiva a ridosso dell’area o di impedire i bivacchi e la introduzione dei cani sui “campetti”, in quanto condotte specificamente vietate da una ordinanza sindacale specifica, se essa vale ancora qualcosa.

Nella foto, il cartello segnaletico appena collocato che, all’interno del parco reale, indica ai turisti la direzione verso il centro città.

Di tale  giornata è stata anche elogiata l’iniziativa della nuova collocazione, all’interno del parco reale ed a cura della direzione museale, di un cartello che indica ai turisti la direzione verso il centro della città, perché ne siano invogliati a visitarla. L’idea è stata certamente indotta alla direttrice Maffei dalle prediche pubbliche del sindaco sulla pretesa vocazione turistica della città. Il quale però razzola male – ci sembra – svilendone da tempo, con la sua politica edilizia e di assetto del territorio, i caratteri urbanistici storici. Come dimostra, una per tutte, la clamorosa vicenda del Macrico o, per l’altro versante della gestione, uno degli ultimi episodi di degrado dei beni architettonici cittadini, quando, recentemente, i convegnisti dell’associazione dei biologi italiani riunitisi presso il complesso di San Leucio lo hanno travato in condizioni pietose. Aggiungendo a questo lo stato clamoroso di incuria e di anarchia del centro storico, non si capisce che cosa i turisti dovrebbero visitare del capoluogo che ne valga davvero la pena, tolto il palazzo reale.

Chiudiamo con un’annotazione su quest’ultimo. Il direttore Tiziana Maffei sembra che abbia idee abbastanza chiare sul da farsi, ma si è resa conto che non dispone degli strumenti, specie in termini di competenze degli uffici che si ritrova, per realizzare le tante cose che premono. Dal lascito Amelio al giardino inglese, dalle iniziative museali alla sicurezza in senso ampio del monumento, per non dire del ruolo  del comitato scientifico, potenzialmente strategico, finora tamquam non esset. E dunque prende tempo. E per un certo verso va pure bene. Ma vi sono cose della quotidianità che non possono essere rinviate, anche perché depongono molto male ad un occhio minimamente attento. Uscendo dall’astratto, c’è una ragione particolare perché non venga assicurata, con il bilancio in forte attivo dell’ente, la manutenzione basilare ed ordinaria del complesso monumentale? Non si può immaginare che le piante abbattute, la vegetazione incolta, le buche che si formano, l’erba parassitaria che con regolarità si sviluppa, i rubinetti che perdono stiano lì in attesa dei tempi biblici di intervento. Bisogna pure inventarsi una soluzione. Come abbiamo già suggerito – più tra il serio che il faceto – al sindaco Marino in passato, si possono mandare i funzionari ad imparare come si fa dai veri manager, come , ad esempio, quelli dell’outlet La Reggia di Marcianise (un nome che neppure li spaeserebbe) dalla struttura impeccabile, dove niente è fuori posto. La faccenda delle bandiere è poi incomprensibile. Per quanto elementare e per quanto le norme statuali che regolamentano la materia prescrivano la figura del Flagman, quelle della residenza borbonica lasciano sempre a desiderare, come abbiamo cento volte documentato in passato. Questa volta, il drappo dell’unione europea è da settimane aggrovigliato su se stesso e non si sa che si aspetta per sistemarlo. Bah ! Misteri della pubblica amministrazione, dove notoriamente il verbo è “…non mi compete !”.

 

Nelle foto, alcune immagini dei danni che presenta il complesso borbonico.

In queste foto, gli allagamenti del parco a causa dell’acqua che rampolla dalle condutture.

 

Più seriamente, in ultimo vogliamo ammonire sul rischio sempre incombente, come ha dimostrato l’esperienza di Mauro Felicori, di subordinare la Reggia borbonica, sotto la spinta della politica del facile consenso e dei centri di interesse economico, al turismo ed allo svago evasivo. Sotto questo riguardo siamo dell’idea di James Bradburne, l’unanimemente apprezzato direttore della Pinacoteca di Brera, quando, nel suo scritto “ABC dei musei”, afferma «Il museo non è un’impresa che fa intrattenimento, non fa parte dell’industria del tempo libero, non offre «edutainment»: fa cultura, ed è un’istituzione per l’apprendimento informale…».

Non arriviamo al radicalismo di Mario Perniola, l’ordinario di Estetica mancato nel 2018, ma vi riconosciamo più che un fondo di verità, allorché sostiene:  «Il boom turistico ha condotto a una fruizione estremamente superficiale e frivola delle opere [d’arte], divenute tutte indiscriminatamente oggetto di un’attenzione insipiente e insulsa. Così la visita ad un museo o un qualsiasi luogo dotato di speciali caratteristiche non è più risultato di una scelta individuale motivata da un interesse, da un desiderio, o anche una curiosità, ma un compito da eseguirsi passivamente perché compreso in un pacchetto turistico del consumatore…L’essenziale è fotografare e farsi fotografare. E qui raggiungiamo il grado zero dell’esperienza estetica».

Necessita vigilare, dunque, e vigileremo !

 

 

 

 

Nelle foto, i “campetti”, dove non mancano mai bivacchi e cinofili.

Nella foto, la bandiera aggrovigliata da settimana dell’Unione Europea.

Nelle due foto, i punti della facciata dove ha fatto la comparsa l’erba parassitaria.