MACRICO. Il convegno di venerdì, il PUC, la destinazione dell’area tra manovre e vaghezze e le prove scientifiche sulla necessità della foresta urbana per la città
26 Marzo 2025 - 15:54

Caserta (pm) – Venerdì scorso si è tenuto l’atteso convegno di studio promosso dal Comitato Macrico Verde, dal titolo “Non solo di cemento vive l’uomo- Macrico: una foresta per Caserta”. Com’è stato apertamente detto ad inizio dei lavori, esso ha voluto fare il punto sulla “catastrofe” più che emergenza urbanistica della città, dove si è “costruito nei giardini”, si sono triplicati i volumi di ciò che è stato abbattuto, si è soffocata di cemento una città che “è in decremento demografico e che ha migliaia di appartamenti vuoti”. Ma che ha voluto anche – è stato spiegato – “contrapporsi alla sacralizzazione del cemento e del mattone” ed al rischio del nominalismo e del dichiarazionismo di coloro che possono prendere le parole generiche del Ponteficee farne uno slogan senza andare alla sostanza dei contenuti traendone le conseguenze nei fatti. E’ fin troppo chiaro, qui, a chi segue le vicende dell’ex-Macrico,

IL DIBATTITO Sono state tre ore di dibattito – dalle 18 alle 21 – intenso e qualificatissimo per la levatura delle relazioni svolte e gli interventi che ne sono seguiti. Proprio per questo, la discussione non è riassumibile nello spazio contenuto di un resoconto di un giornale online qual è il nostro. Dobbiamo riferirne, pertanto, secondo i suoi punti qualificanti. Che ci pare siano stati almeno quattro.
Il primo. Lo storico Comitato Macrico Verde ha confermato anche questa volta la sua capacità aggregativa e rappresentativa della città sul tema del verde. La sala dell’incontro – quella ben capiente dell’Hotel Europa di via Roma – a cui gli organizzatori hanno dovuto optare dopo il diniego del Circolo Nazionale per asseriti lavori di ristrutturazione, che però nessuno ha visto in corso – si è riempita all’istante e sono rimasti solo posti in piedi, nondimeno occupati in ogni spazio disponibile.
Il secondo. Il grande assente è stata la rappresentanza politica cittadina. Il sindaco, invitato, ha opposto precedenti impegni istituzionali. Tuttavia non ha delegato, com’è prassi e come avrebbe imposto la rilevanza dell’assemblea, un suo rappresentante. Abbiamo notato in sala la presenza dell’assessore Rendina, che tuttavia non ha inteso prendere la parola. Particolare e giustificato disappunto è stato espresso per l’assenza dell’assessore all’urbanistica, Massimiliano Rendina, per il fatto di non aver neppure risposto all’invito fattogli da quella che è un’associazione di cittadini in nome anche dei quali egli siede nella giunta comunale, sia pure in quota tecnica e sebbene in particolare consonanza con Carlo Marino, il grande e primario edile della città. Difatti, non c’è progetto urbanizzazione degli ultimi, escogitato dal primo cittadino, di cui egli non si faccia fervoroso assertore. D’altro canto, da chi per studi, cultura e professione è deputato a costruire, non ci si può attendere che all’improvviso si converta ai principi più attuali del contenimento del consumo di suolo.
Al contrario di quanto poteva attendersi per la posizione non facile e nel timore di trovarsi in un contesto, non diciamo ostile, ma certamente non favorevole, è intervenuta la proprietà dell’area diocesana. Apprezzate sono state le presenze del vicepresidente della Fondazione Casa Fratelli Tutti – l’ente che ha in gestione il bene – il già prefetto Carmine Esposito, e del consigliere architetto Raffaele Zito, nonché del presidente dell’IDSC casertano don Antonello Giannotti, anche in rappresentanza del vescovo Lagnese altrimenti occupato.
Il terzo punto qualificante sono stati gli interventi del professor don Matteo Prodi – teologo della morale nella Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna ed economista – del dottor Gaetano Rivezzi, presidente per la Campania di Medici per l’Ambiente ed il dottore Francesco Angelone, agronomo e ricercatore.
Don Matteo Prodi ha illustrato il concetto di debito ecologico alla luce del magistero di papa Francesco correttamente inteso. Tale debito rimanda allo sfruttamento incontrollato che ha subito la natura da parte dell’uomo, che va ora risarcito con politiche e scelte tutte ambientali.
Caserta, per l’accennato disastro urbanistico, deve essere ampiamente compensata per quello che ha subito, per le cave, per la discarica Lo Uttaro, per la bassa percentuale di verde pro-capite, per l’inquinamento ambientale, per la scadente qualità della vita.
Il dottore Rivezzi, sulla scorta di una serie di studi e rapporti di agenzie specializzate e dalla sua stessa osservazione e vigilanza medica, ha dato conto degli effetti deleteri sul clima e sulla salubrità ambintale legati ad una urbanizzazione incontrollata come quella casertana, che si traducono specialmente in indici epidemeologici abnormi per i tumori.
Il dottor Angelone, giovane e brillante agronomo e ricercatore, dopo un quadro generale sugli effetti benefici della vegetazione per i centri abitati, ha spiegato che una delle principali cause antropiche del cambiamento climatico è la progressiva urbanizzazione, che contribuisce sensibilmente allo svilupparsi del fenomeno dell’Urban Heat Island (UHI) ossia le isole di calore urbane. Con riguardo a Caserta ha proiettato le slide di una sua analisi, che hanno mostrano l’immagine termico-satellite del quadrante cittadino compreso tra il parco della Reggia e l’ex-Macrico. La proponiamo ai lettori perché è evidente come, in un campo tutto rosso rappresentativo delle superficie arroventate dell’edificato, si distinguono le due aree gialle di calore mitigato corrispondenti a quelle superficie densamente alberate.

Il rosso rappresenta il surriscaldamento dovuto alla presenza delle costruzioni del centro. Le due chiazze gialle, il calore dimezzato grazie all’effetto mitigatore delle due aree verdi.
Hanno quindi chiesto la parola don Antonello Giannotti e l’architetto Raffaele Zito. Il sacerdote ha affermato che, a suo giudizio, c’è una falsa contrapposizione tra la Fondazione Casa Fratelli Tutti ed il Comitato Macrico Verde, volendo sostanzialmente entrambi la stessa cosa ed ossia la classificazione urbanistica F2 dell’area. Ha aggiunto, poi, che non consentirà su di essa, secondo le sue facoltà, nessuna speculazione edilizia. E che, in base al masterplan del progetto, si ristruttureranno esclusivamente i 500mila mc degli edifici vincolati. Zito ha sottolineato che la Regione Campania ha già appostato fondi per 30 milioni di euro per il primo dei quattro interventi previsti sull’area – il c.d. Parco delle Biodiversità – e che, nell’interesse della città, non vanno persi a causa di contrasti impropri.
Intervenuta l’architetta Maria Carmela Caiola, portavoce del Comitato, ha replicato che i dichiarati 500mila mc di volume degli edifici da recuperare non sono tali ma 250mila. E sulla presunta comune volontà sulla destinazione dell’area ha eccepito la autoreferenzialità della relativa procedura intrapresa dell’Accordo di Programma, che ha trasferito contraddittoriamente le decisioni qualificanti dalla sede comunale a quella regionale.
Questi in estrema sintesi i fatti della serata, sui quali ci sia ora consentita qualche breve riflessione.
IL P.U.C. Al fondo di questa situazione confusa c’è la colpa originale della mancanza del PUC, che Carlo Marino ha chiuso inesplicabilmente nei suoi cassetti, nel mentre vengono approvate licenze edilizie anche in “deroga” con lo stravolgendo persino del cento storico. Con quello strumento urbanistico la città deve decidere che cosa deve essere l’ex-Macrico. Qui sta il busillis. La Curia, come dimostrano i fatti e non sappiamo sulla base di quali valutazioni e disponibilità ricevute, vuole urbanizzare fortemente i luoghi per creare un campo polifunzionale in cui “…ospitare attività di cura della persona (sport e salute), accoglienza, cultura, formazione, anche universitaria, innovazione e ricerca scientifica”. Nel concreto, una cittadella vera e propria. Gli schieramenti politici del consiglio comunale, variamente penetrati dalla lobby dei costruttori, vagheggiano con dichiarazioni para ambientaliste, ma al fondo tutti, sia pure in diverso grado, propendono –ci pare di poter dire -perché si largheggi in edifici e strutture pubblici, semiprivati e privati, ognuno secondo una propria “patafisica”, anche nella prospettiva della cogestione e nella logica dei c.d. beni comuni.
Se fossero autentici interpreti della volontà popolare, non dovrebbero aver dubbi che l’ex-Macrico debba diventare una foresta urbana, nell’autentico interesse della città. Ed il Comitato Macrico Verde, che è fortemente legittimato dalla sua qualificata rappresentatività cittadina, questo chiede. E le due relazioni tecnico- scientifiche di Rivezzi ed Angelone, con le loro inequivoche risultanze, non dovrebbero lasciar dubbi sulla assoluta necessità che l’area del Macrico venga destinata a verde integrale e ne venga accresciuto il patrimonio arboreo. Chi dovesse avere dubbi, vorrebbe dire che ha altri interessi per la testa. Va da se.
IL NODO DEI VINCOLI Non resta che l’ultima questione dei vincoli culturali apposti su alcuni dei fabbricati presenti nell’area. Come abbiamo illustrato in passato, essi hanno una spiegazione di contesto. Vennero difatti adottati, su impulso strategico del Comitato Macrico Verde, quando si prospettò la lottizzazione aperta, vera e propria dell’area. Fu l’unico modo per impedirla. I vincoli, per vero, riguardano una serie di edifici a carattere militare di nessun pregio se non per la loro testimonianza storica. Ora questa circostanza che fu ingegnosa è stata ribaltata e usata dalla Fondazione Casa Fratelli Tutti per sostenere che ora si trova – quasi una causa di forza maggiore – nel supposto dovere di recuperare e salvaguardare gli immobili soggetti a vincolo per una entità di 500mila mc. Una enormità, anche se fossero 250mila, come – abbiamo visto – obietta il Comitato Macrico Verde.
Dinanzi a questo scenario, non resta che un percorso per garantire che l’ultimo polmone verde della città scampi ad ogni tipo di manovra. Ottenere la classifica di inedificabilità assoluta dell’area ed adoperarsi per la rimozione dei vincoli culturali per guadagnare superficie mediante l’abbattimento di ogni sorta di manufatti esistenti ed a favore di nuovi alberi. O, al più, con la rilocazione delle strutture che si volessero esemplificativamente conservare. Nessun clamore ci sarebbe nel fatto, dato che a Caserta si sono finanche potuti abbattere palazzi chiaramente antichi e storici. Figurarsi quelli che sono in definitiva dei ruderi.
Capiamo che c’è una precondizione per fare questo. Intelligenza del problema ed onestà intellettuale, se non onestà tout court. E per i bisogni di socialità, di intrattenimento, di sport, di impegno culturale della città, che troppe volte vengono agitati strumentalmente da chi vi ha interesse, il capoluogo ha già svariate soluzioni alternative che basta solo individuare. Come ad esempio la realtà delle Casermette sul vialone Carlo III. Purché si tolgano le mani dal Macrico, foresta urbana.
Nella immagine, il rendering del Campo Laudato Si’ nella sua versione integrale, che non riesce a dissimulare la enorme prevalenza del costruito sul verde. Secondo i piani, nel primo quadrante dell’area dovrebbe essere realizzato inizialmente il c.d. Parco della Biodiversità attraverso un finanziamento di 30 milioni di euro. Tale Parco prevede “…un Museo Sensoriale e un Centro per la Ricerca sulla Biodiversità, promuovendo lo studio e la conservazione delle specie locali. Le strutture del parco includeranno diverse “stanze verdi”, che favoriranno la didattica ambientale, eventi musicali, e attività ricreative. Il progetto mira a migliorare la qualità dell’acqua, incrementare la biodiversità e aumentare la produttività dei suoli“. Un’opera inutile, che tradisce l’aspirazione al verde integrale di cui necessita la città, costosa e ridondante, poiché per sperimentare la biodiversità nulla può superare l’immersione nel verde naturale
