Un pò di carne per le belve. NICOLA SCHIAVONE: “Mio padre fu ospitato in latitanza nella casa di Nicola Ferraro”
28 Marzo 2019 - 16:13
CASAL DI PRINCIPE – Per il titolo che serve, come si suol dire, a mettere il piatto a tavola, perchè il mercato dei lettori questo pretende, lo abbiamo a portata di mano. L’analisi rispetto alla quale la platea degli interessati si riduce fino all’osso, la facciamo lo stesso per nostro estro e nostra passione.
Ma prima, come detto, buttiamo un pezzo di carne al popolo dei curiosi e di quelli che non approfondiscono: “Mio padre fu ospitato da Nicola Ferraro nella sua casa, durante un periodo di latitanza. I rapporti tra lui e l’imprenditore erano molto stretti.” Firmato Nicola Schiavone, che lo dice, precisando che la confidenza gli fu fatta dallo stesso Ferraro, rispondendo alle domande che gli sono poste dal presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Massimo Urbano e dall’avvocato Giuseppe Stellato, difensore di Nicola Ferraro, nell’udienza dello scorso 13 marzo.
Esaurita l’incombenza del titolo che ci serve, ribadiamo, solo per mettere il piatto a tavolo e da cui prendiamo le distanze, veniamo all’analisi dei 4 gatti. Tutta quanta la testimonianza di Nicola Schiavone si sviluppa, se la trascrizione è fedele al centimetro da un punto di vista dell’utilizzo dello strumento lessicale, nel sentiero di una conoscenza sorprendente e smaliziata del dato politico ancor più che del dato economico-imprenditoriale.
Nel momento in cui Nicola Schiavone afferma che le 13 mila e passa preferenze, raccolte da Nicola Ferraro, alle elezioni regionali rappresentarono un pregevole risultato in rapporto al fatto che Ferraro era il candidato dell’Udeur, cioè di un partito ad altissimo peso specifico ma non certo dotato di un grande seguito popolare, parla come un Francesco Verderami, uno Stefano Folli analizzano la politica quali maggior interpreti del mestiere retroscenista.
Insomma, Nicola Schiavone dimostra, attraverso questa valutazione sopraffina, di essere uno che ne capisce.
Secondo punto: è chiaro che la difesa di Nicola Ferraro, legittimamente, cerca di lavorare ai fianchi il pentito, sollecitandolo a passare dalla categoria delle ricostruzioni di carattere generale, a quelle particolari, al dettaglio delle questioni enunciate in linea di massima.
L’avvocato Stellato, avendo ascoltato la prima parte dell’interrogatorio di Schiavone, quello in cui risponde alle domande del presidente Massimo Urbano e avendo sentito che l’erede al trono di Sandokan ha affermato che non c’era un appalto, in provincia di Caserta, vinto da Nicola Ferraro, di cui il clan non conoscesse i dettagli, perchè ciò era fondamentale per stabilire la cifra che in quota parte Ferraro doveva versare, pone l’ovvia domanda: ma quali sono precisamente questi appalti?
Ora, siccome Nicola Ferraro si occupava al 90, diciamo anche al 95% di rifiuti, il cuore del problema è quello. Ma rispondendo alla domanda di Stellato, il pentito riduce, per quel che riguarda i rifiuti, la relazione stretta con “fucone” alla sola gara di Casal di Principe, quella su cui poi, magari oggi pomeriggio o domani, lanceremo un altro pezzo di carne al popolo dei “titolari” o “titolisti”.
Siccome Nicola Schiavone dimostra di essere dotato di una significativa intelligenza, comprende dove l’avvocato difensore vuole andare a parare. E a quel punto non gli serve neppure il sostegno dibattimentale del pubblico ministero che l’ha citato in questo processo chiamato a ridiscutere, su istanza della dda, la quantità e la qualità delle misure di prevenzione, applicate nei confronti di Nicola Ferraro.
La sterzata è evidente. Quel “tutti gli appalti vinti da Ferraro in provincia erano da noi controllati, uno per uno, all’inizio” diventa, si emenda nel volare basso di un’affermazione differente: “Per quanto riguarda l’appalto dei rifiuti, io non mi sono occupato mai di questo settore, demandato ad altri compagni, cioè a Michele Zagaria, ad Antonio Iovine, a Sebastiano Panaro e a Nicola Panaro. Solo su Casal di Principe, luogo in cui operavo, e in cui comandavo anche nel comune, pretesi di controllare tutto io. Per il resto, il rapporto diretto con Nicola Ferraro fu legato ad altri tipi di appalti, ad esempio quello riguardante i lavori del cimitero di Villa Literno, rispetto ai quali Ferraro compulsò il suo fedelissimo Enrico Fabozzi affinchè quei lavori fossero aggiudicati ai fratelli Mastrominico, i quali poi versarono soldi allo stesso Ferraro, a me e anche ai Bidognetti che controllavano l’area di Villa Literno.”
Dunque, rimane senza risposta un altro passaggio iniziale delle dichiarazioni di Nicola Schiavone, il quale afferma che Nicola Ferraro da consigliere regionale, convogliò finanziamenti pubblici verso i comuni che gli venivano indicati da lui e più in generale dal clan dei casalesi.
Alla luce di ciò, la nostra opinione è la seguente: abbiamo la sensazione che Nicola Schiavone non abbia inventato l’impianto della questione. In poche parole, Nicola Ferraro era un amico suo e del clan dei casalesi. Qualcosa che andava al di la dell’imprenditore alla ricerca di equilibri con la criminalità organizzata. Però, da buon politico come Nicola Schiavone dimostra di essere, ci sembra che si faccia trascinare a volte dalla costruzione di tesi rispetto alle quali avverte la necessità di una consistenza più importante. Insomma, per usare un’espressione in voga in questo periodo, costruisce una sorta di realtà aumentata.
Il resto di questo verbale ve lo riassumeremo, con lo stesso metodo di oggi, prossimamente.