“IL PUFFO” SI E’ PENTITO. Ecco quanto vale la decisione di Raffaele Bidognetti. Istruzioni per l’uso per una valutazione equilibrata su quello che potrà dire
5 Maggio 2019 - 20:15
CASAL DI PRINCIPE – (g.g.) Chiariamo subito un punto. Se è vero com’è vero che anche i suoi colloqui carcerari possono rappresentare argomento di propalazione di un collaboratore di giustizia, è anche vero che una cosa è la conoscenza diretta dei fatti, altra cosa è il cosiddetto de relato e che nella formulazione di una eventuale accusa può essere un elemento complementare, ma non fondamentale.
Dunque, tutto ciò che Raffaele Bidognetti potrà raccontare inerentemente a cose da lui conosciute negli ultimi 13 anni, cioè dal 2006 ad oggi, potrà scaturire solo da cognizioni, da cose apprese nei colloqui con i propri parenti che, essendo lui un detenuto al 41 bis sono, peraltro, anche registrati, o in quei rari rapporti con altri detenuti anche in questo caso controllatissimi, visto che un recluso al 41 bis, giusto per fare un esempio, fa l’ora d’aria non in gruppo, ma al massimo con un altro detenuto.
Ecco perchè, al di la del nome che indubbiamente pesa, anche sul terreno della suggestione, la decisione di Raffaele Bidognetti di collaborare con la giustizia non ha certo lo stesso impatto, lo stesso peso specifico espressi da una speculare decisione assunta da un camorrista, anche solo di media caratura, arrestato da due, massimo tre anni.
Per cui, al di la dei giochini enfatici dei giornali che devono campare, un osservatore appena serio, non deve farsi trascinare dall’enfasi sensazionalistica con cui ogni volta vengono accompagnate situazioni come queste. Detto questo, piantati i paletti della serietà, non può non essere parimenti riconosciuto che Raffaele Bidognetti potrà mettere a disposizione dell’autorità inquirente, qualche puntello importante nella conoscenza storica di fatti avvenuti precedentemente al 2006.
Sempre nell’esercizio di questo tentativo di una prima valutazione equilibrata sul pentimento di Raffaele Bidognetti, questi, giusto per formulare un altro esempio, nulla potrà dire della epopea criminale di Peppe Setola. Questi, infatti, è evaso da Pavia quando il puffo, questo il soprannome di Raffaele Bidognetti, figlio di primo letto di Francesco Bidognetti, a differenza dei suoi 3 fratelli Gianluca, Katia e Teresa, nati, invece, dal matrimonio tra Cicciotto e Anna Carrino, anch’essa divenuta collaboratrice di giustizia, era già in cella da un paio d’anni.
Per cui, aspettiamoci che nelle prossime settimane, le prime dichiarazioni di Raffaele Bidognetti che avendo cominciato a parlare lo scorso 12 aprile, ha più di 5 mesi ancora davanti per cristallizzare tutto quello che dichiarerà in risposta alle domande che i magistrati della dda gli formuleranno, finiscano nei fascicoli di qualche processo fondamentale che coinvolge la sua famiglia, a partire proprio da quello, in svolgimento ad Aversa, e che prende le mosse dai colloqui carcerari intercettati tra il boss Francesco Bidognetti e le due figlie Katia e Teresa.
Ma è difficile ritenere, per i motivi appena illustrati, che si tratterà di contenuti decisivi, perchè se Raffaele sa qualcosa, lo ha appreso a sua volta da conversazioni con suoi congiunti. Forse potrà contribuire, invece, al consolidamento del quadro di cognizione storica di certe dinamiche interne al clan e che magari nel processo di Aversa sono entrate quali elementi di costruzione della accuse a carico degli imputati.
Ovviamente, in queste ore, sta girando la solita formuletta “tremano i politici, gli imprenditori, bla bla bla” che rappresenta il rituale, quand’anche ormai un pò liso, corollario utile ai giornali o presunti tali, prigionieri di loro stessi, dei luoghi comuni del lessico para giudiziario, ma soprattutto, come scritto prima, condizionati dalla necessità di dover comunque svangare la giornata, dato che, in tutta evidenza, non hanno alcuna capacità di lettura ermeneutica o critica degli eventi grandi e piccoli di camorra.