CASERTA. L’ex-Macrico, le riunioni “extra omnes” e l’assessore Rendina nuovo interprete delle aspettative della città…

17 Febbraio 2025 - 13:59

Caserta (p.m.) Con l’ultima cronaca sul Macrico eravamo rimasti (qui il resoconto) al fatto che il 6 febbraio si sarebbe tenuto, presso gli uffici regionali di Napoli, l’incontro preordinato “all’attivazione dell’Accordo di Programma ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 267/2000 e del successivo avvio delle attività della relativa Conferenza dei Servizi” intesi alla “…rigenerazione dell’area ex-Macrico Caserta ed alla realizzazione del Campo Laudato Si’ ” e che il Comitato Macrico Verde, avendo ancora una volta chiesto di intervenire, ne era stato escluso.

Illegittimamente, a giudizio della storica associazione culturale ed ambientalista casertana, la quale eccepisce – chissà se inficiando l’intera procedura in corso nel caso di un suo ricorso sul punto – che proprio il predetto art. 34  dispone che tale tipo di riunioni si svolga solo tra i soggetti pubblici direttamente interessati. E la proprietaria del terreno, che è la chiesa casertana attraverso i suoi organismi rappresentativi, non è sicuramente riconducibile alla categoria dei soggetti pubblici.  Per quanto attiene alla partecipazione dei privati, secondo molta parte della dottrina giuridica l’organo promotore può invitare anche altri soggetti pubblici e privati il cui contributo informale apporti chiarificazioni o comunque strumenti collaborativi, senza rilevare per il consenso finale. Ma se l’ammissione dei privati avviene ciò deve avvenire senza discriminazioni tra i soggetti.

I risultati della riunione alla Regione Campania

Da quanto si è appreso all’indomani, la riunione si teneva regolarmente con l’intervento, assieme con dirigenti e tecnici  regionali, dell’assessore comunale di Caserta architetto Massimiliano Rendina accompagnato dal dirigente municipale Vitelli e dei rappresentanti diocesani sia della Fondazione Casa Fratelli Tutti sia dell’Istituto Sostentamento del Clero, i due ente diocesani a cui è riconducibile la gestione dell’area.

L’incontro sarebbe servito per il deposito di ulteriore documentazione tecnica integrativa, a segno che la questione del merito del progetto non è assolutamente in discussione. Ma che si sta predisponendo il carteggio per dare veste formale ad una decisione già bella e presa.

Anche questa riunione, come le precedenti, ci pare abbia assunto, vista la componente clericale, quasi le forme del conclave  con la sua modalità extra omnes “fuori tutti [gli altri]”.

Da quello che si sa, un ostacolo della procedura sarebbe quello dei fabbricati presenti nell’area sottoposti a vincolo culturale della Soprintendenza, ciò che porrebbe nell’obbligo di restaurarli. Ora, quest’argomento è fittizio. In verità, il vincolo ora così esaltato – dopo anni di noncuranza e disinteresse vero e proprio, con i beni tutelati lasciati andare alla malora e con una Soprintendenza che ha consentito e consente gli abbattimenti dei palazzi più tipici in pieno centro storico – è stato giostrato in questo ventennio in ragione delle circostanze del momento. Parliamo di capannoni, magazzini e di edifici logistici ad uso dell’esercito cadenti e di nessun valore, tranne quello marginale storico-militare e quello per caratteristiche costruttive, l’uno e l’altro preservabili comunque senza bisogno di ricostruire e rifare onerosamente daccapo. Come in altri territori è avvenuto, sarebbe ben possibile e molto più economicamente, traslare altrove i brani edilizi da salvaguardare e da esemplare, come poniamo nelle cave Cocozza e Fusco, oggetto di un attuale progetto comunale ecologista definito Urban Forest per un finanziamento di 5 milioni di euro.

Allorquando, nella storia ultraventennale del bene, si fece più forte la spinta di una sua aperta lottizzazione (condannata da pubblicisti di fama e da scrittori di valore come Dacia Maraini e che vide il torbido episodio delle coercizioni rivolte al vescovo Raffaele Nogaro) i comitati verdi cittadini,  consci dello sfregio che si preparava, si adoperavano per ottenere l’apposizione del vincolo culturale, un appiglio perché, innanzitutto, naufragassero le mire speculative. Poi la situazione si è trascinata nel tempo ed ora essa, in una sorta di eterogenesi dei fini, fa gioco certamente ai disegni della diocesi. La quale, non essendo riuscita negli anni a vendere il compendio terriero al valore di 40 milioni di euro  reclamato, ha pensato bene di farsi parte imprenditrice e persino dandosene merito per la salvaguardia che garantirebbe all’edificato vincolato. Se così non avvenisse, nell’ex Macrico non ci sarebbero volumi utili da riattare a nessun  altro fine. E senza considerare l’obiezione capitale che il Comitato Macrico Verde nuove sulla consistenza delle preesistenze. Nello specifico contesta che il masterpan redatto ad ipotizzare la pretesa “rigenerazione” dell’ex-Macrico computa come esistenti, con le loro cubature, tutta una serie di manufatti tra rimesse e baracche che sono da tempo inesistenti.

Il ruolo del Comune di Caserta e dell’assessore Rendina

Ma non è questo in particolare che oggi ci preme evidenziare. Vogliamo, in realtà, mettere soprattutto a fuoco il ruolo, nella vicenda, dell’assessore all’urbanistica del comune di Caserta Massimiliano Rendina di cui prima. Non contestiamo certo quanto fa. D’altro canto, da un architetto e professore associato del corso di ingegneria qual egli è non ci si può certo aspettare che propenda a non costruire invece che a costruire. Ed ovviamente, quando il sindaco Marino l’ha cooptato nella giunta comunale gli avrà pur detto che nei 33 ettari dell’area episcopale bisognerà costruire senza che passi minimamente per la testa di voler riforestare o fare diversamente da quello che anche nelle stanze vescovili si vuole. E lui, se sta dove sta, si sarà detto d’accordo. Anche perché, saprà Rendina, che il sindaco Marino le ha provate tutte per urbanizzare l’ex-Macrico, senza riuscirci. Escogitò, con il bordone dell’accademia, una cittadella universitaria con 1500 alloggi e persino un lago. Così come ad un certo punto voleva estrapolare un’area per costruire un polo scolastico comunale. Immaginiamo che quando il vescovo Lagnese gli ha presentato su di un vassoio d’argento il progetto da lui avuto sempre in mente, per costruire purchessia, non gli sarà sembrato vero. L’ha subito abbracciato, capendo che la reputazione ecclesiastica avrebbe fatto la differenza rispetto al passato. E qui ribadiamo un’ovvietà, ma risulta necessario  difronte ai non pochi che fanno gli gnorri. Costruire, cioè edificare, infrastrutturare per il pubblico o per il privato  poco cambia per la lobby del cemento.

Dunque, se mai Rendina avrà avuto una pur vaga idea o tentazione, davanti a tanta superfice incontaminata capace di molcire i cuori  più aridi, di realizzare un possibile parco urbano di verde integrale, in linea con le tendenze più aggiornate dell’urbanistica verde e sostenibile, dovrà averla subito rimossa.

Persino noi capiamo che la realizzazione di opere come queste sono occasione per  carriere politiche, rendite di posizione e relazioni professionali e di affari, rispetto alle quali l’interesse pubblico reale, veritiero può arrivare a impallidire.

Ma quando l’assessore Rendina sostiene, come ha fatto in un’intervista rilasciata dopo i lavori alla Regione, che: “Raggiungeremo sicuramente un’intesa perfetta perché l’opera sia realizzata nel pieno rispetto delle aspettative della città”, si spinge troppo oltre.

Rendering del nuovo Macrico ipotizzato dalla curia casertana. Come si coglie facilmente, l’edificato previsto è particolarmente consistente, sviluppato e di forte impatto urbanistico. Il progetto prevede una spesa di 180 milioni di euro. Una cifra spropositata in confronto con l’ipotesi di realizzare una foresta urbana, sostenuta dal Comitato Macrico Verde. Per un paragone dei costi, si consideri che la manutenzione, ad esempio, del parco a verde integrale delle Cascine di Firenze
(con uno sviluppo di 160 ettari) impegna circa 280mila euro all’anno

Dell’intesa perfetta siamo più che certi, data questa congiuntura astrale che ha fatto incontrare Marino e Lagnese nei loro propositi indecifrabili (a cominciare dal superfluo Parco della Biodiversità, con le realtà già ben consolidate dell’oasi di San Silvestro oltre che del bosco, del giardino inglese e delle serre della Reggia) di costruire una nuova cittadella nella città già soffocata dall’edilizia. E non è questo il luogo per affrontare il tema del costo spropositato di questi piani e della priorità dell’opera. Priorità che è inesistente se solo si pensa ai tanti altri urgenti bisogni della città che non hanno risposta. A cominciare da quello di un pronto soccorso ospedaliero finalmente decente, che non venga più definito “girone infernale” come fu fatto da parte di un casertano da anni al nord e che ebbe la sventura di dovervi ricoverare un parente.

Ma le “aspettative della città” sono ben altra cosa rispetto a quelle che si hanno a mente a palazzo Castropignano. Intanto la città in realtà non sa niente. Perché, come accade normalmente, essa viene messa davanti al fatto compiuto. Non è un caso se i consiglieri comunali di opposizione denunciano costantemente di essere chiamati al voto come semplici passacarte. Di questioni di enorme rilievo – sostengono – non riescono neppure ad ottenere la documentazione amministrativa da valutare. In uno degli ultimi consigli comunali si è parlato, in questo,  di ormai un metodo nel governo della città. La diocesi non è certamente da meno su tale piano. Ricorrendo ad una sintesi forse urticante ma chiara, si può dire che sul Macrico ha unito teologia e cemento. Sotto l’ampio ed accattivante ombrello ecologista ha ordinato una pianificazione dell’area secondo i suoi propri propositi e scopi, ne ha ottenuto un progetto e ha iniziato a costruirci attorno il consenso che le è stato possibile. La sua narrazione è tutta ispirata ad idealità e comunitarismo postumi. Ma a ben vedere non si tratta che di un’operazione immobiliare come un’altra. La cittadinanza, di cui questi laici e religiosi si dichiarano interpreti, resta distante.

E allora qui, interpreti per interpreti, il Comitato Macrico Verde, le cui petizioni in questi anni di militanza hanno raccolto ben oltre le 10mila firme, anche se poi gli amministratori di turno le hanno tenute per carta straccia o poco più, può con credibilità ben rivendicare la nascita di una foresta urbana, certamente più necessaria alle vere esigenze delle persone e della città.