Il CLAN DEI CASALESI e il clan degli imprenditori a disposizione: saltano fuori i nomi dei D’Abrosca di GRAZZANISE. L’autoriciclaggio e il ruolo del genero di Dante Apicella

20 Maggio 2022 - 12:47

Affrontiamo oggi i capi che vanno dal 28 al 32. Il reato citato nel titolo, cioè l’auto-riciclaggio, viene contestato sia relativamente alle attività, che Apicella svolgeva col genero ma anche quelle che lo vedevano impegnato nella gestione della CE.DAP srls

 

CASAL DI PRINCIPE/GRAZZANISE –  (g.g.) La prima parte degli addebiti, delle incolpazioni, dei capi di imputazione provvisoria, relativi alle attività economiche, realizzate da Dante Apicella grazie ad una vasta rete di prestanomi e di soci di fatto, si chiude con la contestazione che coinvolge anche un imprenditore molto noto in quel di Grazzanise.

Si tratta di Antonio D’Abrosca, 67 anni e di suo figlio 37enne Pasquale D’Abrosca. Entrambi sono indagati a piede libero e coinvolti, secondo i pubblici ministeri della Dda Antonello Ardituro (che ha lavorato sul filone Apicella) e Graziella Arlomede (impegnata sul filone Nicola Schiavone senior), insieme a Dante Apicella, in attività per le quali vengono loro contestati i reati di intestazione fittizia ai sensi dell’articolo 512 bis e, sempre in concorso, i reati di impiego di beni, società o conti correnti provenienti da attività illecita ai sensi dell’articolo 648

ter e di auto-riciclaggio, ai sensi dell’articolo 648 ter comma 1.

Ed ecco il momento che avevamo annunciato in cui andiamo a chiudere il cerchio tra i tre reati tipici dei processi economici di incanalamento del danaro, frutto dell’esercizio criminale della camorra, in questo caso del clan dei Casalesi, in tanti rivoli allo scopo di renderlo non più identificabile e dunque ascrivibile alle attività di camorra.

Va sottolineato che questa contestazione riveste un’importanza rilevante in quanto è relativa forse all’attività più recente , visto e considerato che, riguarda attività imprenditoriali svolte nell’anno 2018. L’auto-riciclaggio, dunque, regolato dall’articolo 648 ter comma 1, compare per la prima volta in questa ordinanza. In poche parole, il punto di partenza dello schema è sempre lo stesso: secondo la ricostruzione della Dda che nel filone di Apicella ha lavorato a stretto contatto di gomito con gli effettivi di polizia giudiziaria della Direzione  Investigativa Antimafia o Dia che dir si voglia, i D’Abrosca fanno sostanzialmente quello che avevano fatto Giuseppe Fusco (CLIKKA E LEGGI) e Luigi Belardo (CLIKKA E LEGGI).

In pratica, la loro azienda CE.DAP, società a responsabilità limitata semplificata quindi, sicuramente, con un capitale sociale bassissimo (dunque si tratta di una società relativamente giovane) era stata messa a disposizione di Dante Apicella.

Ora, può essere che questo abbia determinato il pieno controllo dell’esponente del clan dei casalesi oppure un parziale controllo. Ciò, inciderebbe solo sulla cifra della modulazione del reato di intestazione fittizia e sulla connotazione di Antonio e Pasquale D’Abrosca, i quali oscillerebbero tra la definizione di teste di legno propriamente dette, fino ad arrivare a quella di soci di fatto ma comunque subalterni a Dante Apicella, in quanto questi avrebbe rappresentato il vero motore dell’attività d’azienda.

Naturalmente al 512 bis viene associato prima di tutto il 648 ter che poi va a rafforzare il ruolo effettivo ricoperto da Apicella, al quale i D’Abrosca mettono a disposizione sede, conti correnti, attrezzature e tutto ciò che serve per sviluppare l’attività imprenditoriale, quell’attività i cui esiti dipendono da ciò che il clan dei Casalesi consentirà di iniettare nei processi di investimento o in quelli di determinazione degli utili, questi ultimi variamente connotati.

La caratteristica, dicevamo, del rapporto tra Dante Apicella e i D’Abrosca, sembra marcare un segno più profondo nel momento in cui ai soliti reati di intestazione fittizia, di impiego di beni, conti correnti eccetera provenienti da attività illecita, viene aggiunto anche quello dell’autoriciclaggio, cioè il 648 ter comma 1.

Nel capo 29 che proponiamo nella sua versione integrale in calce a questo articolo, bisogna concentrarsi sulla seguente parte: “(..) anche mediante il reimpiego di capitali provento di delitti di cui agli artt. 416 bis e 512 bis c.p. con i quali rimpinguare le esangui casse societarie, continuasse (L’Apicella, n.d.d.) ad esercitare le attività della Gruppo Apicella srl, la società di famiglia”.

Nel seguito dell’ordinanza, andremo a capire, perchè francamente dalla formulazione del capo non si capisce, se le “esangui casse” siano quelle della CE.DAP srls (come riteniamo, meno probabile) o della Gruppo Apicella srl, com’è più probabile.

E’ possibile, infatti, che le “esangui casse” della Gruppo Apicella srl, società in pratica disattivata del 24 luglio 2008, data di emissione dell’interdittiva antimafia a suo carico, rappresenti una espressione con la quale si intende significare che la Gruppo Apicella, sulla carta disattivata, in realtà è viva e vegeta e opera con lo schermo della CE.DAP srls dei D’Abrosca.

Il reimpiego del danaro è quello frutto di attività già oggetto di contestazione in questa ordinanza e in questo capo di imputazione provvisorio specifico. Nell’azienda fondata dai D’Abrosca vengono reimpiegati, secondo l’accusa, soldi frutto della commissione, da parte di Dante Apicella, del reato fondamentale contestatogli, cioè il 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso (da non confondere, in questa citazione specifica, con il 416 bis comma 1, che è l’aggravante costituita dall’aver favorito gli interessi del clan dei Casalesi che coinvolge anche i D’Abrosca), dunque, attività considerate a 360 gradi, ma anche quelli incassati grazie alle intestazioni fittizie, cioè all’attività dell’impresa grazzanisana, di cui i D’Abrosca sono sempre stati o sono divenuti, completamente o parzialmente, intestatari fittizi.

Di qui, il reimpiego, di qui l’auto-riciclaggio.

Sempre rimanendo al reato di auto-riciclaggio, questo viene contestato anche a Luigi Scalzone, genero di Dante Apicella. Inutile soffermarsi sui reati contestati, perchè sono sempre gli stessi, cioè l’intestazione fittizia, l’impiego di proventi di attività illecite, l’auto-riciclaggio. In  questo caso, però, non c’è dubbio sulla decifrazione del grado che illustra il peso che il camorrista ha possiede dentro ad un’azienda di cui determina completamente o parzialmente l’attività di impresa.

Nel caso del capo 30, infatti, Dante Apicella costituisce, ovviamente senza comparire col proprio nome, insieme al genero Luigi Scalzone, 35enne di Casal di Principe, la White Stone, con sede a Marigliano, manco a dirlo, nello stesso comune dove opera Giuseppe Fusco, altro socio di fatto del dominus Dante Apicella.

Qui è evidente che Luigi Scalzone si configuri come un mero prestanome, una mera testa di legno e non come un socio di fatto, come potevano invece essere considerati il già citato Giuseppe Fusco, Luigi Belardo e i due D’Abrosca di Grazzanise.

Siccome però la White Stone se la intesta Scalzone, oltre al 512 bis, viene contestato anche il 648 ter, perchè comunque ufficialmente vengono messe a disposizione di Dante Apicella le strutture materiali e immateriali, i conti, i depositi di una società che almeno nominalmente è intestata ad un’altra persona.

Va da sè che in una situazione come quella di White Stone si vada a sviluppare anche un’attività di auto-riciclaggio e cioè di reimpiego, in termini di investimento, di proventi derivati dalla commissione del reato principale, cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso e dalla commissione del reato specifico relativo a White Stone, cioè il 512 bis, cioè l’intestazione fittizia.

Il capo 31 illustra una variabile del reato di intestazione fittizia ai sensi dell’articolo 512 bis. Nella circostanza, non vengono strutturate le modalità relazionali tra un camorrista, tra il clan dei Casalesi e uno o più imprenditori che mettono a disposizione la propria azienda.

L’intestazione fittizia viene collegata infatti ad un episodio specifico: Dante Apicella, Luigi Scalzone e Fioravante Zara nominano, fittiziamente, nel 2013, Mario Zara, fratello di Fioravante, amministratore unico, dunque legale rappresentante, della Appalti Italia srl, società dedita all’acquisto di pietre da cantiere, di pietre per la pavimentazione stradale per la maggior parte provenienti dalla Sicilia.

Insomma, qui l’intestazione fittizia riguarda una carica sociale. E’ l’amministratore unico che in quanto tale diventa prestanome, testa di legno. Qui la formulazione dell’articolo 648 ter non è chiarissima. Ci si limita ad affermare che i tre indagati Dante Apicella, Luigi Scalzone e Fioravante Zara acquisiscono progressivamente il controllo di fatto di questa società.

Riteniamo che sia sottinteso il dato della messa a disposizione di sedi, conti, attrezzature, dell’attività criminale dell’Apicella, da cui l’articolo 648 ter.

Il capo 32, l’ultimo di cui ci occupiamo oggi, proietta sulla scena dell’ordinanza la famiglia Palmese. Si tratta di imprenditori di Frattamaggiore, fortemente radicati, però, a Casal di Principe, dove sono residenti. Come avete potuto capire fino ad oggi, sono intere strutture familiari ad operare in favore del clan.

In questo caso i tre fratelli Gennaro, Raffaele e Fioravante Palmese, rispettivamente, 47 anni, 44 anni, 41 anni, tutti e tre arrestati ai domiciliari. Qui viene contestato solo (si fa per dire) il reato di riciclaggio ai sensi dell’articolo 648 bis. Le società dei Palmese coinvolte sono la DAGI costruzioni srl, la PRG Costruzioni sas e la Antonio & Antonio Costruzioni srl, la prima con sede legale nella natia Frattamaggiore, la seconda a Casal di Principe, la terza, cioè Antonio & Antonio, a Casal di Principe in uno stabile di proprietà di Dante Apicella, in via Parroco Gagliardi 131.

Perchè queste aziende fanno attività di riciclaggio è facilmente comprensibile per chi sta seguendo questo nostro e lungo articolato focus, sull’ultima grande ordinanza riguardante il clan dei Casalesi, datata 3 maggio scorso.

Qui ritorna il discorso del cambio assegni: da un lato ci sono le aziende dei Palmese, tutte evidentemente controllate da Dante Apicella e, dall’altro lato, una serie di società di appoggio. Le prime emettono i titoli, le seconde consegnano il corrispettivo in danaro contante.

I nomi di chi svolge questa funzione sono sempre gli stessi: Tommaso Mangiacapra con RTM srl, Edilizia Meridionale srl, La Meridionale srl e la EMME Group srl. E ancora Luigi Belardo con una delle due sue società, cioè Italiana Pietre che aveva incrociato, seppur per un brevissimo periodo, tra il luglio e il settembre 2011, i passi di due esponenti della famiglia Palmese, precisamente Raffaele e Fioravante, titolari del pieno potere di operare sui conti, proprio a dimostrazione di una contiguità evidente. che ha finito per sgretolare anche quello schermo immaginato da Apicella e dai suoi e rappresentato dal fatto che queste transazioni, riguardassero imprese che, almeno in apparenza, potevano essere naturalmente in rapporto, naturalmente fornitrici , naturalmente clienti.

Le stesse mansioni erano svolte nella già citata Appalti Italia di Mario Zara, gestita di fatto a Luigi Scalzone, genero di Apicella e la sempre presente Edil Mascia di Antonio Magliulo.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA