La Domenica di Don Galeone

6 Novembre 2022 - 09:00

Oggi non è scontato che tutti credano nella risurrezione e non lo è nemmeno tra i cristiani. Nel contesto globalizzato della cultura della comunicazione via social si mescolano credenze antiche e rinnovate sulla reincarnazione.

6 novembre 2022 ✽ XXXII Domenica tempo ordinario (C)

Oltre la morte, ci aspetta il Dio dei vivi!

Prima lettura  Il re del mondo ci risusciterà a vita nuova ed eterna (2 Mac 7,1)  Seconda lettura Il Signore vi confermi in ogni opera e parola di bene (2Ts 2,16)  Terza

lettura  Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi! (Lc 20, 27).

La domenica “della fede nell’al di là”   Gli uomini di tutti i tempi hanno dovuto confrontarsi con l’enigma angosciante della morte e hanno tentato in tutti i modi di superarlo o almeno di esorcizzarlo. Possiamo parlare dell’aldilà, utilizzando una fantasia escatologica che è tipica della religiosità umana; la descrizione dell’aldilà vanta famose anagrafi culturali, come quella egiziana, greca, romana …

Gli egiziani sono ricorsi alla mummificazione per assicurare al defunto una vita nel mondo di Osiride. I popoli della Mesopotamia hanno parlato della morte come di una discesa verso «il Paese senza ritorno» e, rassegnati, hanno dovuto ammettere: «Quando gli dèi formarono l’umanità, attribuirono la morte agli uomini e trattennero la vita nelle loro mani». Altri hanno pensato alla possibilità di un ritorno alla vita di questo mondo attraverso un succedersi di innumerevoli reincarnazioni. Quante cose succedono nella nostra vita: nasciamo, cresciamo, ci innamoriamo, formiamo una famiglia, educhiamo dei figli; proviamo gioie e dolori, coltiviamo sogni e speranze… Poi un giorno tutto sembra concludersi nel nulla della morte. È proprio così?

Prima lettura (2 Mac 7, 1)  I primi libri della Bibbia mostrano chiaramente che, nei tempi più antichi, gli israeliti non credevano in un’altra vita. Se avessimo chiesto loro: «C’è una risurrezione dei morti?», essi avrebbero risposto: «Non lo sappiamo! Ciò che a noi interessa è la vita in questo mondo, vita che vogliamo piena di gioie e soddisfazioni» (Is 26,14). Identica la risposta di Giobbe: «L’uomo, nato di donna come un fiore spunta e avvizzisce. Per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora germoglia … L’uomo invece, se muore, giace inerte» (Gb 14, 1.7-13). Solo nel II secolo a.C., in Israele si inizia a parlare di un risveglio di coloro che dormono nella polvere della terra (cf. Dn 12,2). È proprio in questo tempo che va collocato l’episodio narrato nella lettura di oggi.

Dal Vangelo (Lc 20, 27)  Il problema da chiarire è cosa è questa sopravvivenza, cosa è l’al di là. In questi ultimi decenni abbiamo sempre più abbandonato l’antropologia di matrice greca, secondo la quale, essendo l’uomo composto di anima e corpo, mentre il corpo se ne va verso la corruzione, l’anima se ne va in Dio, e lì vive in attesa di riprendersi il suo corpo. Dobbiamo subito dire che si tratta di una spiegazione che usa strumenti concettuali di alta fattura, che noi possiamo ancora usare, purché lo facciamo senza presunzioni filosofiche. Oggi preferiamo ritornare al realismo biblico ed evangelico, pensando alla vita eterna non come ad una sopravvivenza del solo spirito umano, ma dell’uomo nella sua totalità. Il cristiano non crede nella risurrezione dell’anima, ma dei morti; il cristiano non crede nella vita futura, ma eterna, e se essa è eterna, allora comincia e si radica in questa terra, in questa storia. Ciò che noi costruiamo nel tempo, secondo la legge dell’amore, non va perduto: sopravvive al cospetto di Dio. Tutto ciò che è nato dall’amore, non è destinato a finire, ma a sopravvivere. Al cospetto di Dio noi vivremo con la totalità della nostra esperienza umana. Di questa esistenza ulteriore, di questo aldilà, noi già possediamo un segno, il Signore risorto, che, liberato dal sepolcro, vive presso il Padre. In cammino verso l’al di là, noi non ci appoggiamo alle passerelle fantasiose dell’immaginazione; noi ci poggiamo su ciò che è già dentro di noi, come un bambino nel seno materno, e possiamo guardare la morte e la notte senza sgomento, entrando nel mistero, con l’abbandono con cui un bambino si abbandona sulle spalle del padre, con fiducia.

Anche al tempo di Gesù le idee non erano molto chiare. I farisei, che professavano fermamente la fede nella risurrezione dei morti, continuavano a interpretarla in modo piuttosto rozzo. Nella vita futura – dicevano – gli uomini godranno di ogni piacere, avranno pane, carne e vino in abbondanza. Il Vangelo di oggi introduce un nuovo gruppo politico-religioso del quale finora nel Vangelo di Luca non si è ancora parlato, i sadducei. Di loro sappiamo che costituivano la classe dei ricchi, che erano dei collaborazionisti del governo romano, che non godevano di buona considerazione presso il popolo e che, dal punto di vista religioso, erano dei conservatori. I capi dei sacerdoti (che saranno i principali responsabili della morte di Gesù) appartenevano tutti a questa setta.

Uno dei temi teologici che li poneva in contrasto con i farisei riguardava la fede nella risurrezione dei morti: i farisei la affermavano, i sadducei la negavano. Ascoltando Gesù, i sadducei un giorno si rendono conto che, su questo punto, egli concorda più con i farisei che con loro. Per convincerlo a cambiare opinione imbastiscono una storia curiosa (vv. 28-33) e vanno a raccontargliela. La legge di Mose – dicono – stabilisce che, se un uomo muore senza lasciare discendenza, suo fratello sposi la vedova. I figli nati da questo nuovo matrimonio sono considerati figli del defunto (Dt 25,5-10). Ora c’era fra noi una donna che riuscì a «logorare», uno dopo l’altro, ben sette mariti. Poi venne meno anche lei. Ora, nella vita futura a quale dei fratelli verrà assegnata?

Gesù articola la sua risposta in due parti:
La prima: la vita futura non è la continuazione (migliorata e potenziata) di questa vita. Egli non predica un risveglio dal sepolcro per riprendere la vita di prima. Non avrebbe alcun senso far morire per poi restituire lo stesso corpo, la stessa vita. La vita con Dio è una condizione completamente nuova.
La seconda: come sarà questa vita con Dio? A questa domanda bisogna rispondere con molta circospezione, perché è sempre incombente il pericolo di proiettare nell’aldilà ciò che di positivo noi sperimentiamo nell’aldiqua. Dietro certe affermazioni, certe preghiere di molti cristiani di oggi si cela ancora un’immagine della «risurrezione dei morti» simile a quella dei farisei. Come il feto in grembo alla madre non può figurarsi il mondo che lo attende, così l’uomo non è in grado di immaginare come sarà la vita con Dio. In sintesi, non esistono due vite – la presente e la futura — ma un ‘unica vita che continua sotto due forme completamente diverse. BUONA VITA !