La Domenica di Don Galeone: “In infiniti modi, la mente umana ha cercato se non di spiegare almeno di intuire qualcosa …” del mistero della Trinità

12 Giugno 2022 - 17:15

Solennità della Trinità (C)  ❉ 12 giugno 2022

MISTERO E LUCE !

Prima lettura: Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata (Pr 8, 22). Seconda lettura: Andiamo a Dio per mezzo di Cristo nella carità diffusa in noi dallo Spirito (Rm 5, 1). Terza lettura: Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16, 12).

 

La domenica “di Dio famiglia di amore”. La Trinità è un “mistero”, non un “problema”. Il problema è qualcosa che non conosciamo, ma che con l’affinamento della ragione, con lo sviluppo della scienza, potremo, alla fine, conoscere. Il mistero non è qualcosa di assurdo, ma è una verità superiore, accecante come il sole, che pur nella sua lucentezza non possiamo vedere se non grazie ad uno schermo oscuro; il mistero è qualcosa che mai comprenderemo, perché lui comprende noi, e ci obbliga a fare un salto, il salto nella fede. Il mistero della Trinità ci fa toccare con mano la nostra povertà epistemologica, la fragilità di ogni filosofia e teologia! Dio non si trova alla conclusione di un sillogismo o di una delle cinque vie tomiste. Il dio dei filosofi non è il Dio di Gesù Cristo. A nessuno interessa un dio motore immobile, atto puro, pensiero del pensiero, causa finale, architetto dell’universo … Abbiamo bisogno di un Dio che possiamo chiamare Padre! Le prove a priori o a posteriori non hanno mai convinto nessun incredulo. Questo mistero può essere nascosto ai sapienti e rivelato ai semplici. La più bella definizione di Dio l’ho ascoltata da un bambino: “Cosa è la Trinità? È una famiglia!”. Non lasciamoci invischiare nelle trappole della logica umana. Trinità non significa 1 = 3, ma che Dio è 1 sotto un aspetto e 3 sotto un altro aspetto. Noi non siamo politeisti! Noi veniamo dagli ebrei, e per loro, come per noi, il monoteismo è un dogma di fede centrale. Anche noi siamo trinità perché fatti a immagine della Trinità: io sono unico, eppure esisto, conosco, amo.

✩  La Trinità non è un tema per sofisticate esercitazioni teologiche; non è una riedizione purificata del politeismo; non è una festa astratta per intelletti metafisici, con lancio finale di scomuniche. Abbiamo trasformato nei secoli precedenti questa festa della “Famiglia unita” in uno scandalo della divisione. È la rivelazione perfetta, anche se misteriosa, che Dio fa della sua famiglia. Per anni, la Trinità ha suscitato in me un senso di timore; mi spaventava quel vecchio centenario, quel triangolo, quell’occhio scrutatore! Diventato adulto, ho abbandonato quei simboli lontani dalla realtà del Dio-famiglia. Forse questo è capitato anche a molti credenti. Tutto cambia quando si parla di Trinità come Famiglia: il Padre, il Figlio, lo Spirito si amano davvero. Il mistero della Trinità ci rivela che Dio non è silenzio ma Parola, non è monologo ma dialogo, non è solitudine ma famiglia. Padre, Figlio, Spirito non sono solo tre “Io” ma anche tre “Tu”. Proprio perché non è solo un “Io” ma anche un “Tu”, Dio può e vuole entrare con noi in dialogo.

✩  In infiniti modi, la mente umana ha cercato se non di “spiegare” almeno di “intuire” qualcosa di questo mistero trinitario. Sempre l’uomo si è trovato davanti l’abisso, il mistero, ed è stato necessario il silenzio, la preghiera, l’adorazione. Dio, malgrado la sua presenza all’interno della storia umana, resta sempre trascendente, totaliter alius. Tra Dio e uomo esiste una nube oscura (Nm 14,14). Davvero “Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso” (Lc 16,26).

  La mente umana può pensare solo mediante un processo di oggettivazione o di cosificazione. Ne consegue che il Trascendente, quando entra nell’ambito della nostra immanenza, diventa oggetto, cosa, quindi noi non conosciamo più Dio, ma la sua oggettivazione costruita dalla nostra mente. Anche se a tale oggettivazione diamo titoli solenni, divini appunto, come Infinito, Onnipotente, Assoluto, Eterno, Immortale … In realtà, questi titoli esprimono non Dio in sé, ma nostre rappresentazioni o nostre oggettivazioni del Trascendente. È quello che P. Ricoeur ha definito il processo di conversione diabolica in virtù del quale il Trascendente, nell’oggettivarsi nella nostra mente, degenera in cosa. A partire dalla nostra immanenza, possiamo pensare solo realtà immanenti, anche se rappresentiamo l’immanente mediante l’utilizzo di miti, teofanie, cratofanie e di titoli solenni o spaventosi. Queste rappresentazioni di Dio in realtà sono solo fenomeni culturali, che – come tutti gli organismi biologici – conoscono la nascita, lo sviluppo, la morte.

  Dopo tante parole e simboli, dopo tanti concetti e teologie, dobbiamo confessare la nostra “dotta ignoranza”: Dio resta nella nube oscura. Ignoramus et ignorabimus! Siamo tanto pieni di teologie, di teodicee, di partiti cristiani, che alla fine tutto questo ha prodotto una specie di rigetto. E ora si teorizza persino che Dio è morto, che Dio non significa niente, che appartiene alla mitologia. E forse è anche vero, perché tutte le cose dette su Dio sono sempre dette dall’uomo, e sono verità fragili come l’uomo. Di Dio si può parlare, ma è preferibile parlare a Dio, meglio ancora, ascoltare Dio. BUONA VITA!