LA DOMENICA DI DON GALEONE: La preghiera del Beato Don Tonino Bello

8 Agosto 2021 - 10:30

8 agosto 2021 – XIX Domenica del TO /B

Gesù, pane del cielo per l’uomo della terra!

Prima lettura: Alzati e mangia! (1Re 19,4). Seconda lettura: Scompaia da voi ogni asprezza (Ef 4,30). Terza lettura: Se uno mangia il pane del cielo, non muore (Gv 6,41).

Genti del libro   Per 54 volte nel Corano, ebrei e cristiani sono chiamati Genti del libro e 230 volte vi ricorre il termine libro, inteso come testo contenente la rivelazione di Allah. Secondo la tradizione musulmana, Dio ha fatto discendere sulla terra, sotto forma di dettatura ai suoi profeti, i libri contenenti la sua Parola (Toràh, Vangelo, Salmi, Corano). Non deve, quindi, meravigliare se sentiamo un musulmano dire: “Anch’io credo nella Bibbia!”. C’è però una differenza importante: per i musulmani la rivelazione di Dio si è incarnata in un libro, il Corano; per i cristiani, la Parola di Dio non si è fatta libro ma carne, in Gesù di Nazaret. Un giorno Dio ordinò a Ezechiele: “Figlio dell’uomo, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele” (Ez 3,1). La stessa immagine fu usata da Geremia: “Quando

le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità: la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore” (Ger 15,16). Come i profeti, come i musulmani, anche i cristiani hanno fame della Parola di Dio. La trovano in un libro, certo, ma soprattutto in una persona: Gesù, il pane della vita.

Prima lettura   L’archeologia conferma che il regno di Achàv (874-853 a.C.) fu uno dei più prosperi d’Israele. Eppure nella Bibbia troviamo su di lui un giudizio molto severo: “Nessuno si è mai venduto a fare il male agli occhi del Signore come Achàv, istigato dalla propria moglie Izevèl” (1Re 22,25). Izevèl era la giovane, tanto affascinante quanto perfida, figlia del re di Tiro; aveva convinto il marito a costruire un tempio alle divinità pagane Baal e Astarte. Ebbero così inizio in Israele la corruzione, i crimini, i sacrifici umani (1Re 16,34). Ed ecco apparire sulla scena un uomo coraggioso, che sfida Izevèl: è il profeta Elia. Le sue parole sono sferzanti come fuoco (Sir 48,1), ordina alla pioggia di non bagnare la terra per 3 anni (1Re 17,1), sfida i profeti di Baal sul monte Carmelo (1Re 18,1)… ma alla fine deve arrendersi alla regina, che lo vuole morto (1Re 19,1). Fugge verso il sud, verso il monte di Dio, Chòrev, dove Mosè 400 anni prima aveva incontrato il Signore. Parte ma il viaggio è difficile e sfiduciato si arrende. A questo punto inizia la nostra lettura. Solo una riflessione: Dio non sottrae alla prova il suo profeta, che deve attraversare il deserto, ma gli offre l’alimento necessario (pane e acqua) e questo basta. Così anche con noi: Dio non ci toglie le prove, ma ci dà la forza per superarle! La vicenda di Elia è anche la nostra!

Basta, Signore, prenditi la mia vita!   Fanno impressione queste parole disperate sulla bocca del profeta Elia. Dopo avere confuso i sacerdoti di Baal sul monte Carmelo, ora crolla; sembrava un gigante e invece le minacce di una donna lo spaventano fino alla morte. Getta la spugna. Basta con tutti, anche con Dio! Lui che aveva risuscitano una ragazza, ora desidera solo morire. Anche se porta il nome impegnativo di Elia, che significa “Il mio Dio è Iahweh”, ora si sente un uomo fragile come tutti; era stato mandato da Dio a convertire gli altri, e ora si accorge di essere un peccatore come tutti: “Io non sono migliore dei miei padri”. La crisi di Elia è anche la nostra crisi. Anche noi abbiamo conosciuto l’euforia del successo, del traguardo, dell’applauso; ma dopo ci cadono addosso lo smarrimento, la sfiducia, la stanchezza. C’è sempre un dopo. Dopo “osanna”, ci gridano “crucifige”. E se anche non ci cade addosso la grande crisi, possiamo soffrire la crisi della monotonia, della noia, del “non cambia mai nulla!”. Ieri ci sentivamo trasfigurati nella gioia del Tabor, il giorno dopo ci sentiamo sfigurati dal dubbio. Come uscirne? Ad Elia furono sufficienti una focaccia e un orcio d’acqua. E a noi?

Il pane e l’acqua, per andare avanti   Significativa diventa l’immagine di Elia che nel suo viaggio sente di non farcela più: la focaccia e l’orcio di acqua, questi due alimenti semplici, sono un segno della povertà con cui Dio ci viene incontro. Dio non va incontro a Elia su un cavallo veloce o su una carrozza dorata. Oggi la logica dei mezzi ha sopraffatto la logica dell’amore. L’amore è forte di se stesso, è capace di inventare. Nella logica evangelica la preferenza per i mezzi poveri non nasce da mania di pauperismo, ma dalla premura di salvare il primato dell’amore, per cui, anche quando vengono a mancare i mezzi, l’amore resta, vive di sé, riesce ad andare avanti. Il credente ha solo questo mezzo povero: la parola, la testimonianza di Gesù. Si possono dissolvere le tante certezze teologiche apprese in lunghi anni di studio, le tante sicurezze fondate sull’appartenenza ad un’istituzione bimillenaria, i tanti maestri più o meno carismatici che hanno segnato la nostra educazione religiosa. Cosa ci rimane del nostro viaggio? Un orcio d’acqua, una focaccia scaldata, la parola, la testimonianza di Gesù. E’ una esperienza beatificante: mentre si corrompono le basi conoscitive sulle quali siamo vissuti, ecco che sotto ritroviamo la radice viva della Parola di Gesù, pura, sicura, sine glossa. E allora anche lo scoraggiamento diventa grazia di Dio. Sì, davvero tutto è grazia!

“Nessuno ha visto il Padre”   Dobbiamo ricordare queste parole a chi presume di parlare di Dio, di organizzare addirittura una “societas christiana” di modello teocratico, insomma di fare del Dio di Gesù un Dio conosciuto. Noi non conosciamo Dio; egli non è oggetto “adeguato” della nostra mente. L’unico luogo di conoscenza è la Parola di Gesù; l’unico punto di innesto non è la ragione o la contemplazione o l’esperienza; noi somigliamo tanto a quei pesci “chiusi” in un piccolo acquario e ci crediamo padroni e conoscitori dell’universo! Il velo misterioso che ci separa dal Dio “velatus” è squarciato solo in un punto: nella vita e nella Parola di Gesù, il rivelatore del Dio misterioso! E’ la verità che ci viene proposta nella prima lettura: Elia profeta vive un momento di estremo scoraggiamento: “Ora basta, Signore! Prenditi la mia vita!”. Ha tanta voglia di morire! Quello dello scoraggiamento è un sentimento nobile, che noi non dobbiamo condannare. C’è uno scoraggiamento egoistico e uno scoraggiamento morale. Il nostro compito non è diffondere allegrie superficiali, sicurezze mondane, messaggi esaltanti, ma entrare nel tunnel della disperazione e cercare insieme le ragioni della speranza.

Se noi pensiamo alla fragilità della vita, ai tanti rischi cui siamo soggetti, allora ogni sicurezza scompare. Uno ha tanta dignità quanta è la sua apertura verso i problemi di tutti; allora dobbiamo dire che c’è una proporzione diretta tra infelicità e conoscenza: più uno conosce e più uno è infelice. Se il pessimista è uno stupido infelice, l’ottimista è uno stupido felice. A volte vengono a mancare le motivazioni per vivere, per lottare, per credere. C’è chi si rifugia nell’orto delle proprie cose, alza un muro nei confronti del mondo; c’è chi invece cade nello scoraggiamento. Quando incontriamo persone scoraggiate non dobbiamo pensare che gli mancano le ragioni; lo scoraggiato ha molte ragioni dalla parte sua; chi è credente, comprende, non giudica nessuno; quando un uomo comprende che “passa questo mondo”, che i miti consolatori non bastano, allora può arrivare a gridare come Elia: “Ora basta, Signore! Prenditi la mia vita!”. Buone vacanze e buona vita!

Signore, se ci innamorassimo di te, così come nella vita ci si innamora di una creatura e di una povera idea, il mondo cambierebbe. Siamo diventati aridi, come ciottoli di un greto disseccati dal sole d’agosto. Lascia che la nuvola della tua grazia si inchini dall’alto sulla nostra aridità. Signore, in te le fatiche si placano, le nostalgie si dissolvono, i linguaggi si unificano. Tu sei presente nel Pane, ma ti si riconosce nello spezzare il pane… Aiutaci a riconoscere il tuo Corpo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza e della solitudine.  Rendici frammenti eucaristici, come tante particole che il vento dello Spirito, soffiando sull’altare, dissemina lontano, dilatando il tuo “tabernacolo” (Don T. Bello).