Pentito ex killer di camorra uccide di nuovo per soldi e una donna: CONDANNATO
15 Gennaio 2025 - 09:37
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MONDRAGONE – È stata pronunciata ieri la sentenza di condanna a 20 anni di carcere per Nino Capaldo, 58 anni, già affiliato al clan di camorra Gagliardi-Fragnoli e condannato per un omicidio, il presunto assassino di Massimo Lodeserto, il cui cadavere è stato ritrovato in una cantina a Torino dopo che ne era stata denunciata la scomparsa il 30 agosto 2023, durante un litigio legato a una disputa finanziaria.
Il delitto è stato commesso mentre Capaldo si trovava agli arresti domiciliari, ma la tragedia si è consumata in una casa in via San Massimo 33, a Torino, dove l’omicida aveva invitato la vittima per un chiarimento. Secondo la ricostruzione del caso, alla base dell’omicidio non vi erano legami con la criminalità organizzata, ma un acceso conflitto per una questione di soldi. Non si trattava di un debito da saldare, ma di una disputa legata a un’attività che Lodeserto aveva condiviso con Capaldo e una donna. Quest’ultima, dopo aver avuto una relazione con Lodeserto, avrebbe raccontato a Capaldo di un presunto ammontare di 100.000 euro che Lodeserto aveva ottenuto da quell’attività. Capaldo avrebbe quindi cominciato a richiedere con insistenza il denaro, arrivando a minacciare Lodeserto in numerosi messaggi e telefonate.
Dopo la scomparsa di Lodeserto, denunciata dai familiari il 30 agosto 2023, il corpo della vittima venne ritrovato il 4 dicembre successivo, nascosto in uno scantinato di un palazzo in via San Massimo. Capaldo, una volta arrestato, ha confermato di aver ucciso Lodeserto durante una lite per questa questione di soldi, colpendolo ripetutamente con un martello.
Capaldo nel 2014 fu coinvolto in un altro omicidio, avvenuto a Mondragone, in provincia di Caserta. In quel caso, Capaldo, legato al clan Gagliardi-Fragnoli, uccise il corriere della droga Edokpa Gowin, detto “Nokia”. Il delitto si consumò a Villa Literno il 27 maggio 2014, e Capaldo fu arrestato per omicidio e occultamento del cadavere. Tuttavia, Capaldo decise di collaborare con i carabinieri, fornendo informazioni che portarono all’arresto di Giuseppe De Filippis, il suo complice, e contribuendo così al suo ingresso nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia. Dopo essere stato trasferito a Torino, dove ha vissuto sotto protezione, Capaldo ha infine commesso il delitto per cui è stato condannato.