Prima sequestrati e poi dissequestrati appartamento di quasi 400mq della figlia di Peppe Setola e un terreno con fabbricato a CASAL DI PRINCIPE. Ecco cosa è successo tra Corte D’Assise e Tribunale di Napoli

6 Febbraio 2024 - 17:40

In calce all’articolo in cui proviamo spiegare quella che rappresenta comunque una procedura piuttosto complessa, il testo integrale delle 14 pagine che la contiene e che sancisce il ritorno di questi immobili nella piena disponibilità dei congiunti dello stragista del clan dei casalesi

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) Proveremo a semplificare questa vicenda che presenta degli elementi nuovi rispetto alle procedure riguardanti alle misure patrimoniali di cui ci occupiamo di solito, assunte a carico di persone condannate in via definitiva e anche non definitiva. Ce ne occupiamo perchè si tratta di beni, in un primo momento sequestrati a scopo di confisca a Giuseppe Setola uno dei personaggi più noti, sicuramente il più mediatico tra gli appartenenti al clan dei casalesi, in conseguenza della fase stragista di cui diventò protagonista una 15ina di anni fa

In 14 pagine del provvedimento in questione, il cui testo integrale pubblichiamo in calce a questo articolo, viene sancito il dissequestro di un appartamento molto grande, di ben 8 vani per 380mq, intestato a

Rosaria Setola, figlia di Peppe Setola, in via Fellini, a Casal di Principe; il secondo un terreno non meglio identificato, intestato a Rosa Martino, suocera dello stesso, probabilmente anch’esso localizzato tra Casal di Principe e dintorni, recintato da un muro di cemento armato e contenente a sua volta un fabbricato edificato ma non accatastato.

Il sequestro era intervenuto recentemente a conclusione di un processo in primo grado, nel quale i giudici di una delle sezioni della Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere avevano condannato Giuseppe Setola alla pena di 28 anni per il reato di omicidio. In effetti, quando ci sono condanne di questo genere e per un reato come questo collegato, tra le altre cose, a quello associativo, può intervenire un provvedimento dello stesso giudice che ha prodotto la sentenza, e che su istanza della Procura nella cui area di competenza si è svolto il processo, procede al sequestro di immobili con finalità di confisca.

Ma questa decisione è stata impugnata dagli avvocati Mario Griffo e Paolo Di Furia i quali hanno presentato istanza alla stessa Corte d’Assise, reclamando un difetto di competenza che la stessa Corte ha riconosciuto trasmettendo gli atti al tribunale di Napoli da dove sono stati smistati sulla scrivania del giudice dell’esecuzione, Gianluigi Visco, il quale è stato chiamato a pronunciarsi, considerando, su istanza degli avvocati Griffo e Di Furia a valutare l’ultima sentenza divenuta definitiva ai danni di Giuseppe Setola.

Una condizione non riguardante invece la Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere che ha prodotto sì una sentenza temporalmente posteriore a quella del gup di Napoli ma che non è, però, definitiva.

Il giudice partenopeo, infatti, investito della funzione di tribunale di primo grado dall’accesso, evidentemente chiesto e ottenuto, da Giuseppe Setola, al rito abbreviato, lo ha condannato il 23 maggio 2022 con una sentenza che dopo la pubblicazione delle sue motivazioni ha convinto evidentemente Setola e i suoi difensori a non presentare appello al punto che la stessa è divenuta definitiva il 17 ottobre 2022.

Questa condizione che trova la sua previsione normativa nell’articolo 665 comma quattro del codice di procedura penale finisce per attribuire al gup di Napoli e non alla corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere la titolarità sull’applicazione di misure relative a sequestri patrimoniali a scopo di confisca.

Per altro, esistono dei termini ben precisi, nel dettaglio 20 giorni, che la Corte di Santa Maria Capua Vetere avrebbe dovuto rispettare conteggiandoli dal momento in cui ha deciso per la sua incompetenza. Termine entro i quali avrebbe dovuto ( articolo 27 c.p.p.) trasmettere la documentazione al tribunale di Napoli. Superando questo termine, così come è avvenuto dato che si è arrivati a circa 3 mesi, l’applicazione rigorosa del codice di procedura penale avrebbe dovuto determinare, come del resto poi è effettivamente successo, l’automatico dissequestro dei beni di cui la famiglia di Setola ha perso la disponibilità.

In conclusione, il giudice per l’esecuzione del tribunale di Napoli, dando ragione alle tesi degli avvocati Griffo e Di Furia. Ha dichiarato l’inefficacia del sequestro (perchè questo poteva fare rispetto alle sue competenze specifiche) Trattandosi del giudice dell’esecuzione l’inefficacia riguarda proprio lo sforamento del termine di 20 giorni dentro ai quali la documentazione all’altro giudice dichiaratosi incompetente, in questo caso la Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, devono essere trasmessi al giudice che viene investito della decisione riguardante le definizione della citata competenza. Conseguentemente sia l’appartamento di 385 mq che il terreno recintato dal muro di cemento con fabbricato non accatastato sono dissequestrati dalla giornata odierna. Ovviamente essendo inefficace il sequestro diventa tale anche il seguito e cioè la richiesta di confisca.

Rispetto poi alla prima decisione della Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, questa è tornata sui suoi passi e ha disposto la correzione riguardo al suo provvedimento di sequestro preventivo, assorbendo in pratica le conseguenze. Ciò alla luce dell’altro aspetto in questione ossia la competenza che appartiene al giudice che per ultimo ha prodotto una sentenza definitiva, in questo caso, ribadiamo, il gup del tribunale di Napoli. Per capirci bene fino in fondo, se Setola, però, avesse presentato ricorso contro la sentenza del 23 maggio 2022, sarebbe stata la Corte di Assise di Appello di Napoli e in caso di ulteriore ricorso di fronte alla condanna, confermata o comunque confermata ma riformata da parte del tribunale di secondo grado sarebbe stata la Corte di Cassazione a decidere la correzione del decreto di sequestro preventivo.

In pratica, al momento, questo sequestro non esiste più e non sarà reiterato a Santa Maria Capua Vetere ponendosi, in automatico anche un problema di identificazione dell’istante, per una titolarità che non avrebbe dovuto essere esercitata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere bensì dalla Procura di Napoli attraverso la sua Distrettuale della Dda.